03 aprile 2008

Bologna e tg contro la vita

Il direttore del Foglio si è buttato da un paio di mesi in politica lanciando la sua lista "Aborto, no grazie" che evidentemente fa una gran paura, se è vero che neanche può parlare. Eppure il suo è solo e soltanto un inno alla vita; è "per", non "contro". L'argomento fa così tremare noi "moderni" che viene continuamente censurato: ieri dalla piazza principale di Bologna, ma quotidianamente anche dai nostri cuori, dalle nostre teste, dai nostri governanti, dai nostri giornali, dalle nostre tivù. Fa scandalo Ferrara: e scandalo è una parola greca che vuol dire una pietra su una strada, un inciampo. Un impedimento a quello che vorremmo. L'inciampo nel cammino alla verità è una forma di menzogna, si chiama preconcetto: uno si è già fatto, si è già fabbricato il suo parere su di lui. Ferrara non deve parlare di aborto. Stop. Che tristezza!

Dicevamo della tivù. Dal 6 febbraio 2008 al 26 marzo 2008 (quindi 49 giorni, centinaia di telegiornali) sapete lo spazio che ha avuto Giuliano Ferrara negli otto principali tg d'Italia? (Tg1, Tg2, Tg3, Rainews, Tg4, Tg5, Studio Aperto e La 7)
114 secondi, cioè 1 minuto e 54 secondi. Nulla. "Boselli il piagnone" di secondi ne ha avuti 2845, cioè 24 volte più di Giulianone. Secondo voi, il Partito Socialista Italiano prenderà 24 volte i voti di Ferrara? Cioè, se Ferrara prenderà (esempio) 200mila voti, Boselli ne prenderà 4milioni e 800mila?
Vado avanti: De Vita premier ha avuto a disposizione 1283 secondi, Fiore 636, D'Angeli 527, Riboldi 520 , Montanari 433, Ferrando 307, De Luca 146. Sorpresa (per modo di dire): Ferrara è proprio fanalino di coda.

Ribadisco: questa è censura bella e buona. Vergognosa. E' Ferrara l'unico vero censurato d'Italia. In questo Paese che parla e sparla di tutto, è rimasto tabù solo l'aborto, cioè l'uccisione legalizzata di un qualcuno. E una volta anche tu che stai leggendo queste righe eri un qualcuno indifeso. Potevano farti fuori. Grazie al cielo i tuoi genitori non l'hanno fatto. Ci fa male dirci queste cose, lo so; ma è la realtà. La verità.

Durante la contestazione Giuliano Ferrara non si scompone, parla delle «donne che sono costrette ad abortire perché sono lasciate sole dal loro uomo e dalla società: chiedetelo a loro se abortire è una libertà o se è una schiavitù sociale». Ai manifestanti dice: «Andate a vedere il film Juno, dove c’è una splendida eroina materna». Ma non mancano gli strali: «Avete mai manifestato contro la strage delle bambine in Cina? No — tuona Ferrara — perché fate solo le cose conformiste. Vi hanno spiegato che l’aborto è moderno, ma è una cosa squallida, miserabile?».

«Questa non è democrazia, mi si impedisce di parlare – è stato commento di Ferrara, costretto a lasciare la piazza sotto scorta -. Domani sarete su tutti i giornali, contenti? Avete contestato il comizio ma non siete a riusciti a impedirci di parlare a Bologna».

“Sono qui con un uovo marcio sul taschino della giacca di velluto chiaro”, dirà Giuliano Ferrara pochi minuti prima di arrivare ad Imola, quell’uovo che a Bologna, sorridendo, aveva definito “una medaglia”.

«Sapevo che Bologna era una città difficile, dura — dice Ferrara —, è la città dove è stato ucciso Marco Biagi del resto, è una città dura. E conosco fior di intellettuali progressisti che abitavano in piazza Verdi e negli ultimi anni hanno traslocato perché non apprezzavano chi la frequentava e come la città era amministrata».

Ferrara alle contestazione ci ha fatto il callo: «Finché non degenera — dice —, la contestazione è lecita. Io parlerei volentieri con quelle persone, anche per ore, se si calmassero e si mettessero a sedere per discuterne con me».

Ferrara nega che parlare in piazza Maggiore sia stata una provocazione, una sfida: «Ho parlato dappertutto, e anche a Firenze ero stato contestato duramente. Ma siamo in campagna elettorale, avrò il diritto di parlare, esporre le mie idee?». Però la contestazione era stata annunciata: «Certo, me lo aspettavo, piazza Maggiore è una piazza difficile, che fa da calamita per questo tipo di contestazioni».
Ma il giornalista rivendica di avere vinto la sfida con i contestatori: «E’ molto importante precisarlo, Matilde Leonardi, Giovanni Salizzioni e io abbiamo parlato. Ho potuto parlare per mezz’ora esporre le mie idee nonostante la contestazione e i fischi. Donne? Io ho visto tanti, tanti maschietti». “Vi piace che ogni anno nel mondo ci siano 50 milioni di aborti? A me no! L’aborto è maschio, come voi che contestate”, dirà a fine giornata Ferrara.

Sembra di essere tornati indietro di trent’anni: stessa piazza, stessi slogan, stessi scontri, in gran parte anche stessa gente. Come in un’immensa macchina del tempo dove gli eterni replicanti di se stessi devono individuare il Nemico, il Cattivo, l’Orco, contro cui sfogare la propria rabbia e la propria intolleranza. Ovviamente, «democratica e antifascista», ça va sans dire.
Succede a Bologna, piazza Maggiore ieri pomeriggio. Dove Giuliano Ferrara ha in programma il suo comizio per presentare la lista sulla moratoria dell’aborto. Succede di tutto: bottiglie lanciate verso il palco, uova all’indirizzo di Giuliano, lattine usate come una sorta di tiro a segno da Luna Park, durissime contestazioni, cariche della polizia, Ferrara scortato all’uscita dagli agenti perché possa lasciare incolume piazza Maggiore.
Lui, Giuliano, un po’ se l’aspettava. E l’aveva raccontato ridendo anche l’altra sera a Enrico Mentana che lo intervistava a Matrix: «Domani sono a Bologna, dove so che mi aspettano... Ho anche chiamato Cofferati...». E quel «so che mi aspettano» era solo il preannuncio dell’ennesima contestazione nella campagna elettorale, dove la parziale riabilitazione di Berlusconi ha privato del Nemico quelli che hanno voglia sempre e comunque di menare le mani e di battere le lingue. E quindi si sono dovuti reinventare un nuovo Cattivo, un nuovo Orco.
E chi poteva essere il nuovo Nemico, il nuovo Cattivo, il nuovo Orco? A Genova qualcuno dei centri sociali ha tirato pietre a Francesco Storace e a Mario Borghezio, altrove c’è chi pensa che Daniela Santanchè sia la reincarnazione di Crudelia Demon, solo più elegante e spietata, ma l’unico che può aspirare davvero al titolo di Supercattivo della campagna elettorale, contestato dalle Alpi alle Piramidi, quasi a ogni comizio, è Giuliano Ferrara.

Quei ragazzi urlanti, quei lanciatori di bombe-macchia, somigliano terribilmente alle tifoserie calcistiche agguerrite: in grado di farci scappare il morto, ma incapaci di spiegare cosa cavolo stanno fancendo.
La violenza, sempre latente in una società umana, così come sempre latente nell’animo umano, non riesce più ad essere trattenuta, ma non sa trovarsi una ragione per scatenarsi. Così cerca occasioni, pretesti che non macerano un fine nascosto, ma nascondono l’inesistenza di un fine (per quanto bislacco o demenziale).
Quest’anno va di moda celebrare una finta rivoluzione di quaranta anni fa. Un gorgoglio borghesuccio che in Italia (ma anche in Germania e Francia) produsse rutti terroristici, al servizio di una guerra di cui non comprendevano neanche i contorni. Si celebra, così, il falso racconto di una falsa storia, lecchinando anche qualche falso protagonista e mettendo nel conto qualche tardiva, e ridicola, rivisitazione. Ma non si considera che l’avere bruciato un paio di generazioni nella combustione ideologica ha generato un successivo periodo in cui le ceneri hanno soffocato anche le idee. Così il poliziotto muore perché assaltato allo stadio, i tifosi si minacciano negli autogrill e un gruppo di cretinetti pensano di promuovere la libertà bersagliando il comizio di una minoranza.
Per queste ragioni la giornata bolognese ci riguarda tutti, e non possiamo cavarcela solo con il rito della superficialità.

“E’ inaccettabile che una piazza venga trasformata nel luogo dell’intolleranza. Tutti devono essere in condizione di poter sostenere pubblicamente le proprie tesi e le proprie opinioni e a nessuno deve essere impedito di parlare. Trasformare la campagna elettorale da confronto tra le idee in scontro è una responsabilità grave che si assumono tutti coloro che praticano intolleranza. Non condividere un’idea non deve mai diventare azione ostile contro chi la sostiene. Per questo quello che è capitato oggi a Bologna è un danno oggettivo per la città e la sua storia di democrazia e di tolleranza”. Così in serata il sindaco di Bologna Sergio Cofferati. La contestazione è stata organizzata dai centri sociali Tpo, Vag 61, Crash e XM24. Ora il sindaco farà seguire alle parole i fatti e prenderà provvedimenti contro i responsabili? Ovviamente no.

"La coraggiosa e nobile battaglia che Giuliano Ferrara combatte, del tutto disinteressatamente sull'aborto, va evidentemente a colpire in profondita'. Non si comprenderebbe, altrimenti, l'odio e la violenza cieca che si sta scatenando contro di lui". Lo afferma il leghista Mario Borghezio a proposito delle contestazioni a Bologna nei confronti di Giuliani Ferrara. "Resta comunque da rilevare -aggiunge Borghezio- che, forse, e' meglio per qualcuno che i ragazzi dei centri sociali si scaglino contro Ferrara, ma non contro i camerieri politici del vero potere".

01 aprile 2008

Del libero arbitrio: Veltroni, Berlusconi e la vita


di Matteo Dellanoce

Il relativismo che si maschera oggi sotto la parola democratico, come ieri il comunismo, pone al centro del suo modello antropologico il motto “vietato vietare” e –conseguentemente- di fronte ad obiezioni di tipo etico si ricollega al diritto inalienabile degli individui di ricorrere al libero arbitrio.

Ma tale sottigliezza linguistica nonché semantica non è sufficiente a nascondere la menzogna culturale sottesa al modello di riferimento, ovverosia che la libertà coincida appunto con il libero arbitrio.

La prima differenza sta nel fatto alquanto evidente che il libero arbitrio è un dono della natura umana, mentre la libertà è figlia di aspre ed eroiche conquiste.

La seconda differenza riconosce la libertà -che San Paolo nelle sue predicazioni indicava come libertà dal male (Romani 6, 18)- figlia dell’uso virtuoso del libero arbitrio, contrastabile solo dall’inganno e dalla menzogna, oggi identificabile nella manipolazione mass-mediatica.

La deriva ideologica veltroniana tecnocratico-risorgimentale, che trasferisce il diritto dalla persona allo Stato e da questo al mondo della finanza globale nel nome del libero arbitrio, si scontra oggi con l’utopia berlusconiana, che fa della libertà di autorealizzazione economica l’orizzonte di riferimento della vita dell’uomo, rimanendo alquanto ondivaga sulla questione di fondo, cioè il rapporto vita-libertà, nel nome di una anarchia etica che non dà certezze sul futuro e che rischia di trasformare un’utopia in una ideologia.

Da un totalitarismo sociologicamente compassionevole ad un altro economicamente centrato? Il futuro potrebbe perciò portare con sé il rischio di ridicolizzare e svuotare di senso la libertà, che invece è continua, paziente e concreta battaglia per la creazione di un mondo in cui il potere umano sia minimale, in cui a tutti sia dato il modo di realizzarsi, autenticamente e non sulla pelle degli altri; che –ancora- necessita di essere continuamente nutrita dalla speranza, quindi dalla linfa della vita e non dalla morte.

In questo scenario e secondo queste premesse sul fondamento della “nobiltà” dell’uomo-persona per la politica, le nostre coscienze non possono esimersi dall’essere scosse, interrogate, stimolate ed anche punte dallo sforzo e dalla sfida di Ferrara, il cui essere generalmente inviso altro non è se non un segnale di conferma. Sappiamo pensare e credere che la Vita sia centro unificatore e stabilizzatore di una comunità? Se la risposta è affermativa, tale “provocazione” merita di essere colta e valorizzata con il voto, al fine di evitare che le ideologie e le utopie si fondano, rendendo la libertà e la vita una merce di scambio.
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31 marzo 2008

Riscaldamento globale?

«Se si prende il 1998 come punto di partenza, c’è stato un raffreddamento della terra. Se si prende come punto di partenza il 2002, il clima è in un plateau. Non è certo ciò che ci si doveva aspettare se è il CO2 a cambiare le temperature, perché i livelli di CO2 hanno continuato a crescere, ma le temperature di fatto sono scese negli ultimi dieci anni». Lo ha detto Jennifer Marohashi, biologa australiana, senior fellow dell’Institute of Public Affairs di Montreal, in una interessante intervista alla ABC Radio Nationa (4).

Da dieci anni la temperature scende, mentre le emissioni carboniose di origine umana salgono. «Su questo non ci sono vedute contrastanti fra gli scienziati», ha aggiunto la biologa. «Di fatto l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate change) ha riconosciuto la cosa: ha ammesso che negli ultimi otto anni, in questo secolo, la temperatura è ‘piatta’, nonostante i livelli di CO2 siano continuamente crescenti. Ciò che dovrebbe far salire le temperature. E’ qualcosa di inatteso, ma non viene discusso».

Ci sono solo delle ipotesi su questo fenomeno imprevisto dai modelli matematici: «Il capo dell’IPCC ipotizza che siano in gioco fattori naturali che compensano l’effetto-serra prodotto dal CO2, che è quello che dicono da sempre gli scettici dell’effetto-serra». Nell’ambiente scientifico «si è parlato molto dell’influenza del Sole, se andiamo verso un periodo di meno intensa attività solare, e se questo contribuisca all’attuale raffreddamento». Attuale raffreddamento, non riscaldamento.

I dati più sorprendenti vengono dal satellite «Aqua», lanciato dalla NASA soltanto nel 2002, che raccoglie dati non solo sulle temperature terrestri, ma sulla formazioni nuvolose e il vapor d’acqua. «I modelli che usiamo attualmente», spiega la Marohasy, «sono basati sull’idea che quando il CO2 crescente produce l’effetto-serra, aumenta anche il vapor acqueo nell’atmosfera, intensificando il riscaldamento. I dati del satellite ‘Aqua’ mostrano che avviene l’esatto contrario, ossia che quando (l’effetto serra) produce un aumento del riscaldamento, l’aumento del vapor d’acqua di fatto limitano l’effetto serra, lo compensano, con l’effetto di contrastare il riscaldamento anziché intensificarlo».

«Queste scoperte (del satellite Aqua) non sono messe in discussione dai meteorologi; solo, fanno fatica a ‘digerirle’. Penso che presto riconosceranno che i modelli su cui si basano hanno bisogno di una completa revisione, e che i nuovi modelli mostreranno un minore influsso dell’anidride carbonica nel riscaldamento». Secondo la biologa, la comunità metereologica mondiale cambierà i suoi paradigmi entro sei mesi. [leggi tutto]

25 marzo 2008

Apologia di una conversione

Articolo di Giuliano Ferrara

La conversione al cattolicesimo del laico musulmano Magdi Allam, il suo battesimo come Cristiano, è stata un grande fatto pubblico, amministrato con coraggiosa saggezza dalla chiesa e dal suo nuovo fedele. Spero che le eventuali ripercussioni polemiche (non voglio pensare adesso a un sovraccarico di violenza intollerante contro l’apostasia) saranno fronteggiate con altrettanta saggezza e altrettanto coraggio.

Un pregiudizio secolarista vuole che la conversione, come la fede, debba restare un fatto privato, che in questo si esprima la sua sincerità. Ma è falso. I laici veri conoscono la storia della spiritualità umana e sanno che l’interiorità può essere solo il primo nucleo di una conversione o addirittura il suo esito finale quando il vaglio pubblico di un nuovo modo di vedere il mondo, e di essere nel mondo, approdi alla certezza di fede che la creatura umana appartiene alla terra che abita e al cielo che non conosce. Tutto sta alla libertà e all’inclinazione dell’individuo. Un catecumeno non è prigioniero della trasfigurazione radicale del suo animo, è un uomo libero che liberamente si mette alla sequela di Cristo in comunione con un popolo credente e con i suoi pastori. [leggi tutto]

IL PAPA: "DARFUR E TIBET PIAGHE DELL'UMANITA'"

"Le piaghe dell'umanita' aperte e doloranti in ogni lato del pianeta, anche se spesso ignorate o volutamente nascoste, attendono di essere lenite e guarite dalle piaghe del Signore. Apriamoci con sincera fiducia al mistero pasquale". E' stato un messaggio di denuncia ma anche di grande speranza quello letto dal Pontefice dopo la messa pasquale celebrata sul sagrato di San Pietro sotto una pioggia battente. "Come non pensare - ha proseguito il Papa - ad alcune regioni africane, Darfur e Somalia, l'Iraq nel Medio Oriente e il Tibet per il quale si cerca il bene e la pace". La folla bagnata ma festante ha inneggiato un "Viva il Papa" prima che Benedetto XVI desse gli auguri di una santa Pasqua in 63 lingue, ultima il latino. La prima invece l'italiano: "agli uomini di Roma e d'Italia anche sotto la pioggia. Il Signore entri nelle vostre case". Prima di rientrare il Papa ha concesso l'indulgenza plenaria agli astanti e a tutti coloro che hanno seguito la cerimonia guardando la televisione o sentendo la radio.

(AGI) - Roma, 23 marzo -

20 marzo 2008

Diceva il vescovo di Mosul

A Mosul la situazione non migliora, come invece a Baghdad. È evidente che le forze della coalizione, guidate dagli Usa, hanno cominciato a “ripulire” il Paese dal sud, dove forti sono le influenze di Iran e Siria: Basra, Ramadi, Baquba e Baghdad. Man mano che procedevano gli Usa, i terroristi si sono spostati a nord, concentrandosi a Mosul. In questo modo l’America si è assicurata che i terroristi non vadano oltre, senza doversi scontrarsi con i curdi, alleati di Washington. Ma a questo punto la domanda urgente da porsi è: riusciranno mai a ripulire Mosul? Al momento non sembra ci sia una vero e proprio piano d’azione per normalizzare la città, ormai abbandonata a se stessa.

Noi cristiani di Mesopotamia siamo abituati alla persecuzione religiosa e alla pressione del potere politico. Dopo che Costantino è diventato cristiano la persecuzione è diminuita solo per i cristiani d’occidente, mentre in oriente abbiamo continuato a subire minacce. Anche oggi continuiamo ad essere una Chiesa dei martiri. Alle preghiere dei vespri, ad esempio, abbiamo sempre un inno speciale per i martiri.

A Mosul la persecuzione religiosa è più evidente ed accentuata che altrove perché la città è divisa su linee appunto di appartenenza religiosa. A differenza di Kirkuk, che è divisa per linee etniche: qui curdi, turcomanni e arabi si contendono i cristiani e cercano di portarli dalla loro parte in diversi modi. A Mosul la divisione tra cristiani e musulmani è molto più netta. Di questa guerra è inutile dire che soffriamo tutti, al di là dell’appartenenza religiosa, ma sta di fatto che i cristiani a Mosul vengono messi ancora davanti a scelte ben precise, oltre alla fuga: la conversione all’islam; il pagamento della jizya - la tassa di "compensazione" chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani; o la morte. I responsabili di tali azioni e intimidazioni sono i terroristi, ma anche gruppi di semplici criminali che si approfittano dell’Islam per trovare modo di arricchirsi. Intanto a Mosul sono rimasti un terzo dei cristiani.

È evidente l’attuazione di un progetto che non mira a colpire solo i cristiani, ma tutta la classe intellettuale e di professionisti, compresi i musulmani. Il fatto è che nonostante i cristiani costituiscono solo il 3 per cento della popolazione, rappresentavano il 35 per cento di quelli con un’istruzione superiore. Costringere queste persone alla fuga significa evitare che il Paese si risollevi. Significa far proliferare l’ignoranza che appoggia sempre il terrorismo.

Questo piano è in atto anche nel resto dell’Iraq: medici, avvocati, professori, giornalisti sono presi nel mirino degli attentati. Il progetto è ideato da chi gestisce la politica internazionale e dai Paesi vicini all’Iraq. Nessuno di loro vuole un Iraq libero e indipendente, perché sarebbe troppo forte: possedevamo, infatti, una grande forza intellettuale ed economica insieme. Tenendo il paese debole e diviso lo si domina meglio.

Tratto da un intervista di Asianews a Monsignor Raho nel novembre 2007

14 marzo 2008

E' morta Chiara Lubich

Anzitutto la spiritualità dell'unità suppone una profonda considerazione di Dio per quello che è: Amore, Padre.

Come si potrebbe, infatti, avere la visione dell'umanità come di una sola famiglia, senza la presenza di un Padre per tutti?

Credere al Suo amore è l'imperativo di questa nuova spiritualità, il suo punto di partenza; credere che siamo amati da Lui personalmente e comunitariamente.

Egli, infatti, ci conosce nel più intimo, segue ognuno di noi in ogni particolare. "Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati", dice il Vangelo. E non lascia alla sola iniziativa degli uomini il progredire della società, ma se ne prende cura.

Credere all'amore di Dio. E, fra le mille possibilità che l'esistenza offre, guardare a Lui come Ideale della vita.

Ma non basta credere all'amore di Dio.

La presenza e la premura di un Padre chiama ognuno ad essere figlio, a rispondere a quel particolare disegno d'amore che Egli ha su ciascuno di noi, ad attuare cioè la Sua volontà.

E si sa che la prima volontà di un padre è che i figli si trattino da fratelli, si amino; pratichino quella che può definirsi "l'arte di amare" che emerge dal Nuovo Testamento.

Essa vuole che si ami tutti senza discriminazioni; che si ami per primi, senza attendere amore dagli altri; che si ami ognuno come sé. Domanda di far propri i pensieri, i pesi, le sofferenze e le gioie dei fratelli. Vuole che si amino persino i nemici.

E dove quest'amore si vive radicalmente, la gente ne è meravigliata, vuole sapere, ed è trascinata a fare altrettanto. Nasce la rivoluzione dell'amore.

Ma, se questo amore è vissuto da più persone, diventa reciproco.

E Cristo ha lasciato proprio come norma: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi". Egli sapeva che questo amore era necessario perché nel mondo si formi quella famiglia umana universale, che supera il concetto di società internazionale; famiglia universale dove i rapporti tra persone, gruppi, popoli, sono tali da abbattere divisioni e barriere di ogni tipo, in ogni epoca.

Lo si sa che chiunque, da solo, si accinga oggi a "spostare le montagne" dell'indifferenza, se non dell'odio e della violenza, ha un compito immane e pesante. Ma ciò che è impossibile a milioni di uomini isolati e divisi, pare diventi possibile a gente che ha fatto dell'amore scambievole, della comprensione reciproca, dell'unità, il movente essenziale della vita.

E perché questo? C'è un perché.

Un elemento di questa nuova spiritualità, preziosissimo, conseguente all'amore reciproco, annunciato anch'esso dal Vangelo, dice: "Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". Cristo stesso è presente fra loro e quindi in ciascuno di loro.

E quale possibilità superiore può esistere per coloro che vogliono essere strumento di fraternità e di unità?

Questo amore reciproco, questa unità, che tanta gioia dà a chi la mette in pratica, chiede comunque impegno, allenamento quotidiano, sacrificio.

E qui appare, per i cristiani, in tutta la sua luminosità e drammaticità, quella parola che il mondo non vuole sentir pronunciare, perché ritenuta stoltezza, assurdità, non senso: croce.

L'accettarla, il saperla portare è essenziale per questa spiritualità.

Non si fa nulla di fecondo al mondo senza voler portare la croce.

Tratto dal discorso di Chiara Lubich al PPE nel 1998 [leggi tutto]

13 marzo 2008

Iraq, ucciso il vescovo di Mosul

MOSUL - "Monsgnor Rahho è morto. Lo abbiamo ritrovato privo di vita nei dintorni di Mosul. I rapitori lo avevano sepolto". Lo ha reso noto il vescovo ausiliario di Bagdad, monsignor Shlemon Warduni, che ha annunciato attraverso il Servizio Informazione Religiosa della Cei il ritrovamento del corpo di mons. Rahho.

Il vescovo era stato rapito lo scorso 29 febbraio. Due guardie di sicurezza e l'autista del Presule erano stati brutalmente uccisi a colpi di arma da fuoco dai sequestratori. La richiesta di un riscatto aveva fatto sperare che il rapimento potesse concludersi con il rilascio dell'arcivescovo.

L'informazione è alla base della prevenzione

Parte la settimana di prevenzione del tumore alla prostata

12 marzo 2008. Dal 12 al 19 marzo 2008 la World Foundation of Urology promuove per il secondo anno la Settimana Nazionale di Prevenzione del Tumore della Prostata, che coincide con la Festa del papà, allo scopo di sensibilizzare le Istituzioni e il grande pubblico nei confronti del tumore della prostata, educare a una corretta alimentazione integrata per ridurre l’incidenza di questo male e informare sulla necessità di eseguire annualmente la visita urologica e il dosaggio del PSA (Antigene Prostatico Specifico).
Durante la settimana, oltre alla distribuzione di materiale informativo, è prevista anche una raccolta fondi tramite numerosi eventi e la vendita di cravatte appositamente realizzate da un’idea di Maurizio Marinella. I proventi saranno destinati all’acquisto di apparecchiature per la chirurgia laparoscopica (minimamente invasiva) del tumore della prostata che saranno donate alle Divisioni di Urologia di 3 ospedali italiani: San Raffaele di Milano (nord), Fatebenefratelli di Roma (centro) e Acquaviva delle Fonti di Bari (sud). Il numero verde per le donazioni è 800 99 33 83.

“In Italia il tumore della prostata ha un’incidenza del 12% e ogni anno si registrano 42.804 tumori con 9.070 decessi. 17.000 nuovi casi vengono scoperti ogni anno e di questi il 20% è già allo stadio di metastasi - spiega il prof. Mauro Dimitri, Presidente della World Foundation of Urology – Ad essere maggiormente colpiti sono gli over 50, una fascia d’età che in Italia comprende circa 9.300.000 uomini, tutti potenzialmente a rischio. Il dato diventa ancora più allarmante se si considera che solo il 22% dei maschi italiani tra i 50 e i 70 anni conosce il significato del test del PSA, strumento principale di diagnosi del tumore della prostata, contro il 48% degli uomini negli Stati Uniti”.

Questi numeri fotografano la drammaticità del fenomeno che può essere arginato solo con un’adeguata attività di prevenzione e di diagnosi precoce. Già l’alimentazione da sola può cambiare l’incidenza e la mortalità del tumore alla prostata. Infatti le linee guida per una sana alimentazione sono: dieta a base vegetale, abbondanza di frutta e verdura, alto contenuto di fibre, pochi grassi, pochi cereali, farine e zuccheri raffinati, molti liquidi e un’adeguata attività fisica, che contribuisce al raggiungimento e al mantenimento di un peso ideale.

12 marzo 2008

JANJAWEED: RICEVIAMO ORDINI DA KHARTOUM

Roma, 12 mar. (Apcom) - Il comandante di circa 20.000 miliziani arabi janjaweed (diavoli a cavallo, ndr), attivi nella regione sudanese del Darfur, ammette di ricevere le armi dal governo di Khartoum e di prendere ordini direttamente dal Presidente sudanese Omar al Bashir. "Tutte le apparecchiature che abbiamo, da dove pensi che arrivino? Credi che cadano magicamente dal cielo? Appartengono al governo", ammette Mohammed Hamdan in un'intervista rilasciata alla televisione britannica Channel 4 e riportata oggi dal Daily Telegraph.

Le milizie janjaweed sono accusate dei peggiori crimini commessi nella regione sudanese dall'inizio del conflitto, nel febbraio 2003, che ha causato finora almeno 200.000 morti e oltre 2,5 milioni di profughi e sfollati. Al Bashir ha sempre negato ogni legame con i miliziani, definendoli "ladri e banditi". Hamdan ha parlato con l'emittente britannica nel suo campo nel Darfur del Sud, Um al Qura, accanto a una Toyota Land Cruise dotata di mitragliatrice e uomini armati di mortai, armi anti-aeree e Kalashnikov: "Le armi, le autovetture, tutto quello che vedi, lo riceviamo dal governo".

Hamdan, 31 anni, afferma inoltre di ricevere ordini direttamente dal Presidente sudanese. Il leader arabo precisa di averlo incontrato due volte nel settembre 2006: "Ci chiesero un incontro. Due siti erano caduti sotto il controllo dei ribelli: Un Sidir e Kiryari (nel Darfur del Nord). Dopo la loro caduta, ci chiesero, naturalmente in quanto parte delle forze armate, di andare nelle zone settentrionali. Chiedemmo delle attrezzature che sono queste che vedi ora. Loro ci rifornirono di autovetture e armi, così noi andammo a nord". Il leader janjaweed precisa che i due incontri si svolsero alla presenza del ministro della Difesa, Abdul Rahim Mohammed Hussein: "Uno degli incontri con il Presidente si svolse nella sua abitazione, mentre il secondo si tenne nel quartier generale delle forze armate".

I primi contatti con il governo di Khartoum risalgono però al 2003, quando scoppiò il conflitto. Hamdam afferma di essere stato arruolato proprio per combattere i ribelli: "C'era una chiamata generale alle armi, in tutto il Sudan, dopo lo scoppio della ribellione. Dopo fu il governo sudanese a venire da noi". Secondo il suo racconto, l'esercito "ci mandò degli ufficiali per arruolarci e addestrarci". Hamdan venne addestrato in un campo a ovest di Nyala, la capitale provinciale del Darfur del Sud, insieme ai militari. A riprova di quanto affermato, il leader janjaweed mostra il suo tesserino militare, con su scritto 'Identità degli ufficiali e dei soldati, Commissione delle forze armate per l'intelligence e la sicurezza', seguito dal numero di identificazione, una fotografia e un ologramma delle insegne militari sudanesi. Hamdan respinge infatti l'etichetta di janjaweed, senza però smentire le atrocità che gli altri combattenti arabi hanno commesso in Darfur.

"Abbiamo solo combattuto contro i ribelli - precisa parlando per sè - infatti, ci sono state volte che abbiamo ricevuto l'ordine di prendere parte a operazioni nelle aree civili". Ma Hamdan precisa di essersi rifiutato di obbedire a questi ordini, anche se c'è chi lo smentisce. Una squadra di osservatori inviata dall'Unione africana nella regione sudanese ha scritto in un rapporto che Hamdan era uno dei tre leader janjaweed che guidarono un attacco al villaggio di Adwah il 30 novembre 2004, in cui vennero uccisi oltre 200 civili e le donne picchiate e stuprate.

03 marzo 2008

Grande coalizione “petrolifera” tra Pdl e PD

I giochi sono tutti già fatti, dopo le elezioni grande coalizione e ministro degli esteri del PD (D’Alema o Fassino) figura indispensabile per mantenere i rapporti idilliaci con il dittatore venezuelano Chavez e permettere all’Eni di portare avanti un progetto molto importante sul più grande giacimento petrolifero del mondo.

L'Eni infatti rientra in Venezuela nell' upstream petrolifero con un accordo siglato appena ieri con la locale azienda di Stato: la Petróleos de Venezuela Sa, o Pdvsa.
I due gruppi costituiranno una società a capitale misto, al 40% dell'Eni e al 60% della Pdvsa, per lo sfruttamento di un'area di 670 chilometri quadrati (il blocco petrolifero Junin 5) nella cosiddetta faja dell'Orinoco, la fascia del fiume Orinoco che contiene il più grande deposito al mondo di idrocarburi pesanti, stimato nel suo insieme in 1.300 miliardi di barili di olio.

La missione in Venezuela del ministro degli Esteri Massimo D'Alema rientra nell'ambito del miglioramento delle relazioni politiche nel subcontinente, e in particolare dal sottosegretario Donato Di Santo, che ha effettuato molti viaggi nell'area. D'Alema, che ha parlato con la stampa dopo un incontro con il ministro degli Esteri venezuelano, ha sottolineato di voler «esprimere la soddisfazione per un accordo di cooperazione che assume un grande rilievo e che è per noi un risultato molto positivo e incoraggiante». Oltre alla “diplomazia economica” che ha caratterizzato una missione parallela a quella dell’Eni insomma, il responsabile della Farnesina ha voluto ribadire ancora una volta la rinnovata attenzione dell’Italia nei confronti del sub-continente, dopo anni di lacune e disinteresse. Basti pensare che erano diciassette anni che un ministro degli Esteri italiano non si faceva vedere a Caracas. E poi, tra un colloquio e l’altro, il vice premier non ha voluto mancare di fare un salto al pantheon di Simon Bolivar, “il liberatore” assurto a padre ideale della repubblica chavista. Non c'è dubbio che da queste parti più di qualcuno avrà apprezzato.

Il prossimo appuntamento, guarda caso poche settimane dopo le nuove elezioni politiche in Italia, è previsto per i primi giorni di maggio. Quindi tutti al voto con i due maggiori partiti già predisposti alla grande spartizione. Sondaggi attuali cominciano ad abituare gli italiani all’idea del pareggio, in realtà non sarà proprio così, i dati delle scorse elezioni indicano che Berlusconi vincerebbe in Senato con meno di dieci seggi di vantaggio, questa “esigua” maggioranza gli basterà per fingersi costretto alla grande coalizione con Veltroni e l’assegnazione al PD di alcuni ministeri tra cui sicuramente quello degli Esteri, con grande soddisfazione di Chavez ovviamente, il quale continuerà a stringere la mano e farsi fotografare anche in futuro con un ministro degli esteri italiano di sinistra.

La firma tra Eni e Pdvsa avrà come effetto quello di spiazzare ExxonMobil, la major rimasta fuori. Proprio nei giorni scorsi la tensione tra ExxonMobil e Pdvsa è salita alle stelle e Rafael Ramirez, ministro dell'Energia venezuelano, oltre che presidente della stessa Pdvsa, ha dichiarato al Parlamento venezuelano che «Exxon sta lavorando apertamente per fare guerra al governo di Chavez, e ha l'appoggio del Dipartimento di Stato di Washington».
La tensione è molto alta dopo che un tribunale inglese ha consentito a ExxonMobil di congelare dei beni di proprietà di Pdvsa, negli Stati Uniti. La risposta di Caracas non si è fatta attendere: Chavez ha ordinato che nei prossimi mesi si sospenda l'invio di greggio venezuelano negli Stati Uniti. Da qui accuse reciproche: secondo gli Stati Uniti quella di Chavez è una partita persa dato che il fabbisogno energetico americana dipende solo per il 10% da Caracas. I fornitori più importanti sono Arabia Saudita, Messico e Canada. Mentre Caracas ha risposto dicendo che il petrolio destinato agli Stati Uniti ha già nuovi destinatari.

22 febbraio 2008

Sagrada Familia

«In tutta la sua vita non ha mai scritto un libro, ha trasmesso tutto ai discepoli e i discepoli poi lo hanno imitato. Diceva che gli uomini non creano niente. L’uomo può solamente scoprire, dentro la natura, ciò che può fare. L’ultima frase di Gaudí fu: "Un piccolo contributo dato alle parole di Dio". L’uomo può dare il suo contributo, ma non può creare»

«C’era un unico spazio, nella Sagrada Familia, ultimato da Gaudì prima della morte, ed è stato distrutto nella guerra civile spagnola. Vi erano nascosti tutti i disegni, perciò ora non abbiamo più nessun originale. Mi hanno chiesto di restaurare questa parte e l’ho fatto. Ho realizzato una
scultura di 52 centimetri, che raffigura una persona con una bomba»

Di Etsuro Sotoo

Sono circa trent'anni che lavoro alla Sagrada Familia. Ho studiato in una scuola pubblica di Kyoto, nel mio Giappone. Dopo l'università ho insegnato per un anno, ma desideravo venire in Europa perché sapevo che qui c'erano le vere pietre; volevo conoscere l'anima delle pietre. Così mi sono imbattuto nella Sagrada Familia. Trent'anni fa non si capiva se la stessero costruendo o distruggendo. Trent'anni fa c'erano solo dieci operai, ora siamo in duecento e arrivano due milioni e mezzo di visitatori ogni anno.
Quando ho cominciato a lavorare alla cattedrale volevo conoscere il progetto di Gaudí. Per prima cosa ho realizzato le gemme di piante, per rendere l'idea che questo edificio, di 175 metri d'altezza, sarebbe ancora cresciuto. Tuttavia non sapevo dove mettere le foglie.

Secondo i miei calcoli la parte finale di una colonna aveva lo spessore di un centimetro. Una pietra spessa un centimetro è molto debole, non dura più di cento o duecento anni. Mi domandavo allora perché Gaudí avesse pensato a una struttura così debole. Per realizzare le foglie bisognava fare i calcoli, ma dove andavano collocate? Ci ho riflettuto a lungo, anche perché non c'erano indicazioni lasciate dal grande architetto. Un giorno pensai che mettendo una scultura in un punto debole l'avrei rafforzato. Quindi ho collocato le foglie nei punti più sottili della pietra. Così facendo, mi è sembrato di incontrare Gaudí per la prima volta. Ho pensato che intendesse realizzare strutture deboli pensando di rafforzarle con una scultura.

In seguito ho messo vicino al rosone duecento pietre scolpite a forma di frutto. Non riuscivo, però, a capirne il significato. Non c'era materiale scritto! Mi chiesi perché dovessero esserci frutti e foglie sopra le grandi vetrate. Al di là dei rosoni e delle vetrate, nella chiesa, si pronunciano parole come "Dio" e "Bibbia". Cosa c'entrano i frutti?

Nessuno me lo sapeva spiegare. Il mio essere giapponese mi è stato d'aiuto, perché nella nostra lingua "parola" si scrive con due ideogrammi che significano rispettivamente "foglia" e "che dice, che parla". Se scrivo "sto parlando" è come se scrivessi "sto dicendo foglie". Ecco svelato il significato: le migliaia di foglie sono le parole di Dio e le nostre anime sono i frutti che maturano nel tempo. Il nostro corpo può disgregarsi, ma l'anima è destinata al Paradiso. Questo è simboleggiato dai frutti, realizzati in vetro di Murano e pesanti quindici tonnellate ciascuno. I frutti della primavera sono sulla parte orientale, dove sorge il sole, mentre sulla parte occidentale sono collocati i frutti autunnali. Gaudí voleva dire che l'uomo ascolta molte parole e legge molti libri, quindi coltiva i frutti, riesce a far maturare i frutti. Nessuno aveva capito che le foglie rappresentavano le parole. All'inizio del Vangelo secondo Giovanni si legge: «In principio era il Verbo», il verbo, la parola, ha energia, quella forza che permette all'uomo di realizzare la propria vita. Perché Gaudí cercava di trasmettere messaggi con elementi naturali come frutti o foglie? In tutta la sua vita non ha mai scritto un libro, ha trasmesso tutto ai discepoli e i discepoli poi lo hanno imitato. Diceva che gli uomini non creano niente. L'uomo può solamente scoprire, dentro la natura, ciò che può fare. L'ultima frase di Gaudí fu: «Un piccolo contributo dato alle parole di Dio».

L'uomo può dare il suo contributo, ma non può creare. Molti mi chiedono: «Dove sono le tue sculture?». Ne ho realizzate tante, in Giappone e in Spagna, al di fuori della Sagrada Familia, ma sono tutte opere che provengono da ciò che ho imparato da Gaudí. Io non ho niente di originale e, se anche Gaudí ha imparato dalla natura, cosa c'è di originale in Gaudí? Eppure tutti visitiamo la Sagrada Familia, tutti andiamo a vedere i monumenti di Gaudí, colui che considerava il suo lavoro come un piccolo contributo alla creazione divina. Noi pensiamo che l'uomo possa creare qualunque cosa, ma non è vero. Abbiamo smesso di imparare dalla natura e questo ci conduce alla rovina.
Gaudí era un architetto. Per lungo tempo l'architettura si è contrapposta alla legge di gravità, grazie alla quale possiamo stare seduti. Se non ci fosse, galleggeremmo nell'aria. Quindi la gravità è una grande forza, eppure si pensava che l'architettura ne fosse disturbata. Gaudí diceva, invece, che il vero problema è la mancanza d'intelligenza nell'architetto.


Ci sono edifici che stanno in piedi grazie alla gravità e altri che la gravità tenta di distruggere.
Le Twin Towers di New York erano alte trecento metri e, subito dopo la loro distruzione, c'era già il progetto per un albergo alto trecento metri. Invece Gaudí con la Sagrada Familia si è fermato a un'altezza di 175 metri, perché di fianco c'è una collina di 180 metri. Gaudí non voleva costruire un edificio più alto di ciò che Dio aveva costruito.

Questa è saggezza. La scienza progredisce in modo ordinato, ma non dobbiamo dimenticarci del cuore, ossia dell'umiltà. Sarà l'umiltà a proteggere l'uomo e la razza umana.

Diceva Gaudí: «Se volete fare un buon lavoro dovete avere prima di tutto l'amore, e poi la tecnologia, l'abilità». Non c'è prima la techne, l'abilità, la competenza e poi i soldi; prima di tutto, all'inizio, ci deve essere l'amore, che è assoluto.

Poi vengono la tecnologia e i soldi. Se volete fare un buon lavoro dovete avere amore. Se si osserva la pianta della Sagrada Familia si nota che la distanza tra le colonne è di 7,5 metri. Si pensava, in Catalogna come in Giappone e in Italia, che un passo umano misurasse 75 centimetri. Dieci passi sono 7,5 metri: questo costituisce un modulo. Il doppio sono 15 metri, come l'altezza minima delle colonne. Le colonne più alte misurano 22,5 metri, cioè tre volte il modulo di 7,5 metri, e il tetto è sette volte il modulo: 52 metri. Quindi la Sagrada Familia è costruita in base a moduli di 7,5 metri ciascuno. Ci sono 90 metri dall'ingresso fino in fondo, cioè dodici volte 7,5 metri.
Gaudí ha usato questo sistema come linguaggio architettonico, ma non ha mai dimenticato il cuore.

C'era un unico spazio, nella Sagrada Familia, ultimato da Gaudí prima della morte, ed è stato distrutto nella guerra civile spagnola. Vi erano nascosti tutti i disegni, perciò ora non abbiamo più nessun originale. Mi hanno chiesto di restaurare questa parte e l'ho fatto. Ho realizzato una scultura di 52 centimetri, che raffigura una persona con una bomba. A causa di quella bomba morirono venti persone. Gaudí sosteneva che l'uomo non è perfetto, ma con l'umiltà e l'amore si può salvare dalla distruzione. Aveva detto: «Vorrei che, quando farai esplodere la bomba, tu vedessi Dio». Il messaggio di Gaudí è il seguente: quando una persona è sicura di avere completamente ragione, è in quel momento che il diavolo si insinua in lei. È questo il terrorismo: la completa sicurezza di se stessi.

13 febbraio 2008

Pressioni su Cina da Spielberg e Save Darfur

LOS ANGELES/WASHINGTON (Reuters) - Il regista e premio Oscar Steven Spielberg si è dimesso da consigliere artistico delle Olimpiadi 2008 di Pechino in polemica con la politica della Cina sul conflitto in Darfur.
"Ho deciso di annunciare formalmente la fine del mio impegno come uno dei consulenti artistici stranieri per la cerimonia di apertura e di chiusura dei Giochi Olimpici di Pechino", ha spiegato il cineasta in un comunicato, "Il governo del Sudan ha la maggior parte della responsabilità di questi crimini in corso ma la Comunità internazionale, e in particolare la Cina, dovrebbe fare di più per mettere fine alle sofferenze" sopportate dagli abitanti del Darfur.
"Ritengo che la mia coscienza non mi consenta di continuare come se nulla fosse", ha detto Spielberg in un comunicato diffuso ieri sera "A questo punto, il mio tempo e la mia energia devono essere spesi non per le cerimonie olimpiche, ma per fare tutto quel che posso per contribuire a porre fine agli indicibili crimini contro l'umanità che continuano in Darfur", ha aggiunto il regista.
Nel frattempo, un gruppo composto da vincitori del premio Nobel ha inviato una lettera al presidente cinese Hu Jintao per chiedere di fare pressione sul Sudan – alleato di Pechino – affinché interrompa le atrocità nella regione. Come partner economico-militare e membro del Consiglio di Sicurezza Onu, scrivono, “la Cina, che ospiterà le prossime Olimpiadi, ha l’opportunità e la responsabilità di contribuire per la pace in Darfur”.
La Cina è accusata di coprire diplomaticamente il regime di Khartoum, che si oppone all'invio di una forza di pace internazionale in Darfur.
Pechino si è sempre opposta, ponendo anche il veto, ad ogni intervento della comunità internazionale nella regione: qui, sostiene, è in corso una ribellione di cui si deve fare carico il governo legittimamente eletto.
Negli ultimi 6 anni Pechino è stato il principale sostenitore del governo sudanese, comprando il 70% delle esportazioni di Khartoum e vendendo armi e forniture militari. Il Sudan è il Paese estero in cui la Cina ha maggiori investimenti; circa 10mila cinesi lavorano nel paese. La Cina ha investito 1,6 milioni di miliardi di euro in Sudan, costruendo pozzi petroliferi, 600 km di oleodotti, raffinerie e porti.
Ad aprile, Spielberg aveva scritto al presidente cinese Hu Jintao per protestare contro il coinvolgimento della Cina in Sudan e chiedere un incontro, ma non aveva ottenuto risposta.
L'ambasciata cinese non ha per il momento commentato la notizia. Ma a gennaio il quotidiano del partito comunista cinese, e il ministero degli Esteri di Pechino, avevano detto che la Cina non accetterà pressioni da parte di gruppi che cercano di usare le Olimpiadi 2008 per far cambiare la politica del paese.

'Italians for Darfur' ha ricordato che la Cina, almeno a parole, si e' impegnata a intervenire per fermare le violenze in Darfur. Pechino ha sempre dato sostegno al Sudan, Paese da cui ottiene petrolio, ma ora pur di evitare che le prossime Olimpiadi siano l'occasione per rimproverarle complicita' nella guerra in Darfur, potrebbe assumere un impegno piu' forte nei confronti della comunita' internazionale". 'Italians for Darfur' e l'associazione dei rifugiati darfuriani in Italia hanno manifestato a Roma e Milano, in contemporanea con altre 20 citta' del mondo, nell'ambito della giornata di mobilitazione per il Darfur promossa dalla Save Darfur Coalition. per chiedere alla Cina di "usare l'influenza politica ed economica che esercita sul Sudan per giungere al piu' presto alla fine del conflitto", come si legge in una nota dell'associazione italiana. Inoltre, continua il comunicato, "si chiede al governo cinese di rilanciare la missione dell'inviato speciale per il Darfur, Lui Giujin, che a maggio, pur non ottenendo risultati immediati, aveva avviato un dialogo con i vertici di Khartum". Volontari italiani e rifugiati, che indossavano t-shirt con lo slogan ''Stop blood in Darfur'', hanno distribuito, materiale informativo sul conflitto e una lettera aperta indirizzata agli ambasciatori di Cina e Sudan vicino alle sedi diplomatiche dei due paesi.
Inoltre, il 24 febbraio, data vicina all'anniversario dell'inizio del conflitto, all'Auditorium Parco della musica di Roma si svolgera' un evento, a apartire dalle 18, cui parteciperanno, tra gli altri, Monica Guerritore, Fiorella Mannoia e Mariella Nava. Alla serata hanno aderito Amnesty, la Tavola della Pace, la Comunita' ebraica e l'Unione giovani ebrei d'Italia

25 gennaio 2008

01 gennaio 2008

INIZIA MISSIONE ONU-UA, SOLO 800 CASCHI BLU

El Fasher, 31 dic. (Ap) - La missione di pace congiunta Onu-Ua ha preso ufficialmente il via oggi nella regione sudanese del Darfur, ma il numero dei caschi blu presenti sul terreno lascia prevedere che non avrà immediate ripercussioni sulle condizioni di sicurezza dell'area. La forza Onu-Ua (Unamid) ha assunto il comando dell'operazione dall'Amis, la missione di pace dell'Unione africana presente in Darfur dal 2004, ma rivelatasi inadeguata per mezzi e risorse finanziarie a disposizione. La cerimonia ha avuto luogo nel nuovo quartier generale dell'Unamid a El Fasher, capitale del Darfur del Nord. Nel suo intervento, il comandante dell'Amis, Martin Agwai, si è tolto il berretto verde dell'Unione africana per indossare quello blu delle Nazioni Unite, diventando di fatto il comandante di Unamid. Lo stesso hanno fatto i peacekeeper africani. Se e come funzionerà, però, rimane da vedere. Ufficialmente, i mezzi sia finanziari che militari a disposizione di Unamid sono maggiori di quelli di Amis. Ma il condizionale è d’obbligo, visto che nonostante i ripetuti appelli da parte del segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki-Moon, nessun paese membro ha ancora fornito i mezzi di trasporto e gli elicotteri da combattimento senza i quali mantenere il controllo del territorio in Darfur, regione vasta come la Francia e con pochissime strade asfaltate, è impossibile.

Ma c’è dell’altro: il dispiegamento della forza sul terreno è andato molto a rilento e molti paesi non hanno ancora detto quante truppe daranno alla forza internazionale. Questo potrebbe rendere inefficace la missione. “Se dobbiamo avere un impatto reale sulla situazione sul terreno entro la prima metà del 2008”, ha avvisato Ban ki-Moon, “i dispiegamenti devono avvenire molto più velocemente di quanto non sia stato finora”. Una volta a pieno regime, la forza di pace sarà formata da 20.000 militari e 6.000 agenti di polizia. Oggi, sono 9.000 i peacekeeper presenti in Darfur, di cui 7.000 sono gli ex caschi verdi dell'Amis, altri 800 sono caschi blu inviati di supporto nelle ultime settimane e 1.200 sono poliziotti.

Ma il capo delle operazioni di pace in Sudan Jean-Marie Guehenno (nella foto) ha avvertito che la missione potrebbe essere un fallimento. "Rischiamo di andare avanti con il dispiegamento di una forza che non farà la differenza, che non avrà la capacità di difendersi e che comporta il rischio di umiliazione?" ha chiesto Guehenno al Consiglio di sicurezza a fine novembre. Thomas Cargill, un esperto di Africa dal Chatham House di Londra, ha detto che UNAMID potrebbe fare la differenza se è in grado di dispiegare pienamente le forze e se avrà il giusto sostegno. "Ma questi sono due grandi" se "," ha detto. "Lo scollamento tra ciò che i membri permanenti del Consiglio di sicurezza affermano di voler fare nel Darfur e di ciò che sta succedendo è molto ampia".
Il portavoce dell'Ua, Noureddine Mezni, ha annunciato per metà gennaio l'arrivo di altre truppe, ma non ha saputo precisare l'entità dei contingenti in arrivo. "Ci vorranno mesi" prima di poter avere tutti i peacekeeper sul terreno, ha aggiunto. Mezni ha quindi ribadito l'urgenza di avere a disposizione i mezzi logistici, in particolare 24 elicotteri, necessari per muoversi in una regione grande quanto la Francia e priva di infrastrutture. "In un'area come il Darfur, della grandezza della Francia, non saremo in grado di adempiere in maniera appropriata al nostro incarico sprovvisti di questi mezzi - ha sottolineato - ci appelliamo alla comunità internazionale e a quanti possono garantirci questi mezzi il prima possibile".

31 dicembre 2007

Maria Santissima Madre di Dio


1 gennaio

Maria figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui (LG, 56). Nel Concilio di Efeso (431), dove venne affermata la natura umana e divina dell’unica persona del Verbo in Gesù Cristo, venne affermata anche la maternità divina di Maria.

Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico

Martirologio Romano: Nell’ottava del Natale del Signore e nel giorno della sua Circoncisione, solennità della santa Madre di Dio, Maria: i Padri del Concilio di Efeso l’acclamarono Theotókos, perché da lei il Verbo prese la carne e il Figlio di Dio abitò in mezzo agli uomini, principe della pace, a cui fu dato il Nome che è al di sopra di ogni nome.

Tutto il 2007 del Papa

19 dicembre 2007

La bufala d'oro

Chi si aspettava un successo di spettatori e botteghino sarà rimasto deluso: il contestato film "La bussola d'oro" non ha raccolto i consensi tanto attesi.

Sarà per i messaggi, neanche tanto impliciti, contro la religione e contro Dio (in un'intervista Pullman afferma che il suo è un atto d'accusa alla teocrazia) e per il suo ateismo dichiarato che gruppi di cristiani, soprattutto nel mondo anglosassone, hanno invitato al "boicottaggio" del film.

La storia punta l'attenzione sul male rappresentato dal "Magisterium", entità religiosa che regola la vita degli uomini, sulla presenza dei "daimon", curiosi animaletti che impersonano l'anima delle persone e che vivono fuori da esse, e infine nell'uccisione di un essere, un angelo vecchissimo che si chiama Dio, che non rappresenta il Creatore, perché è stato creato dalla Polvere, la quale è, invece, espressione della divinità. Davvero stucchevole è il modo col quale viene raffigurato questo “Magisterium” (la Chiesa Cattolica) che vorrebbe eliminare dal mondo la “polvere” (il peccato originale) negando sostanzialmente agli uomini il libero arbitrio intervenendo sui bambini, prima che si corrodano definitivamente con la pubertà. Pullmann dovrebbe informarsi che l’attuale capo del “magisterium”, Joseph Ratzinger, ebbe a dire lo scorso 24 marzo 2007 che “Cristo non ci salva a dispetto della nostra umanità, ma proprio attraverso di essa”.

La bussola d’oro è solo una «saga fantasy», «gnostica» e per giunta presentata «in salsa sessantottina» che mostra un mondo «disumanizzato» in cui a trionfare è il «vuoto» dell’«amore vivificante», cioè quello di Dio. All’Osservatore Romano non sono affatto sfuggiti i pericoli nascosti nella pellicola che in America ha già registrato feroci critiche da parte del mondo cattolico.
«Fuor di metafora: secondo Pullman - si legge sul giornale d’Oltretevere - bisognerebbe chiudere le scuole cristiane e l’insegnamento della religione a scuola, per non parlare di quella violenza che è il battesimo dei bambini. Questo, in sintesi, del primo episodio della saga» dove la felicità «risiede nell’indipendenza e non nella relazione» umana.
Ma il giornale diretto da Vian si spinge ancora più in là citando Peter Hitchens che sul New Yorker ha definito Pullman «il più pericoloso scrittore della Gran Bretagna». «Non sappiamo se Pullmann sia pericoloso, certo è che nel mondo cosi’ rapresentato» si sente la mancanza della salvezza. «Non c’è salvezza perché non c’è un Salvatore: ognuno è lasciato solo con le sue capacità e l’obiettivo da raggiungere, che per Pullman è vivere liberi e indipendenti».

Nei protagonisti che dovrebbero essere “positivi” de “La bussola d’oro” troviamo volontà personale di successo, disobbedienza, vendetta, perfida scaltrezza, determinazione violenta, crudeltà, voglia di potere. La libertà è solo indipendenza e possibilità di pensarla a modo proprio, non Verità e Amore. E se in Tolkien o Lewis c’era un Re di cui si aspettava il ritorno o un altro re pronto a farsi uccidere per te, qui invece la lotta dei “buoni” è volta alla soppressione del Magisterium ed all’esclusivo affidamento alle potenzialità della ricerca scientifica.

Inoltre, nonostante nel film la vena polemica anti-cattolica sia stata notevolmente annacquata rispetto al romanzo, l’universo fantastico di Pullman resta comunque nichilista e strutturato sul caso. Non è possibile aggiustare questo in una sceneggiatura senza cambiare la storia che Pullman cerca di raccontare, che è una storia ateistica, gonfia d'astio e talvolta polemica. Allora perché promuovere un film che nella migliore delle ipotesi rischia di generare nei ragazzi, giovani e spesso impressionabili, solo un maggiore interesse per quei libri? Per i genitori cristiani, il film non può che essere considerato come un veleno spirituale per i figli, perché esso è frutto del libro da cui è tratto.

18 dicembre 2007

13 dicembre 2007

Solidarietà per i ragazzi del Darfur

Raccolta fondi per il Concerto di Natale a favore delle Missioni Salesiane

Verona (Agenzia Fides) - Il tradizionale Concerto di Natale, che per tredici edizioni si è tenuto in Vaticano, si è tenuto a Verona il 9 dicembre e sarà trasmesso su RAI 2 la sera del 24 dicembre alle 21. La Raccolta Fondi legata al Concerto di Natale è a sostegno della Fondazione Don Bosco nel mondo. Il ricavato andrà a favore delle Missioni Salesiane, soprattutto per i bambini e i ragazzi profughi del Darfur che, scappando dalla guerra, cercano di costruire il proprio futuro con il sostegno dei Salesiani. “I ragazzi in fuga dal Darfur hanno bisogno di case e scuole: aiutaci a costruirle!” La Raccolta Fondi avviene tramite il Numero Unico Solidale 48585, attivo dal 22 al 26 dicembre compreso, che permetterà di donare 1 euro per ogni SMS inviato da tutti i cellulari (Tim, Vodafone, Wind, 3) e 2 euro per ogni chiamata da rete fissa Telecom Italia. E’ un facile gesto di solidarietà per i ragazzi del Darfur, che si rifugiano presso le missioni salesiane in Sudan.

12 dicembre 2007

Locanda dei Girasoli



L'indirizzo è:
Locanda dei Girasoli - via dei Sulpici, 117/H
T 06.7610194
www.lalocandadeigirasoli.it
Paolo Zanghieri
cell: +39 333 168 58 33

15 novembre 2007

Zenit presenta Madre Trinidad

Permalink: http://www.zenit.org/article-12519?l=italian
Video in Internet della fondatrice de L’Opera della Chiesa

“Aiutami ad aiutare la Chiesa Santa di Dio”

ROMA, lunedì, 12 novembre 2007 (ZENIT.org).-“Aiutami ad aiutare la Chiesa Santa di Dio”. Con queste parole conclude madre Trinidad della Santa Madre Chiesa il suo appello in un video che si può vedere e scaricare su www.laobradelaiglesia.org.

Il titolo completo della sua testimonianza è “Anima amata, aiutami ad aiutare la Chiesa mostrandola tale qual è e Dio l’ha voluta nel suo pensiero divino” e consiste in un’esposizione teologica sulla bellezza e la ricchezza della Chiesa, sia divina che umana in virtà del suo Capo regale, Cristo.

Madre Trinidad, nata a Dos Hermanas (Siviglia, Spagna) nel 1929, è fondatrice e presidente de L’Opera della Chiesa, istituzione ecclesiale di diritto pontificio. Il suo carisma principale è la diffusione dell’amore per la Chiesa di Cristo.

Madre Trinidad vive da anni a Roma, malata. Il 15 dicembre 1996 Giovanni Paolo II le ha fatto visita e l’ha benedetta nella sua casa, in quello che lei ha definito il giorno più importante della sua vita.

Il video fa parte di un grande patrimonio: più di 300 video, 800 discorsi e 50 volumi.

03 novembre 2007

Dalla parte di chi chiede scusa di esistere

Dal sito di Paolo Rodari

È morto ieri a 82 anni, don Benzi, per un arresto cardiaco che lo ha colto nel cuore della notte. Poche ore prima, come sovente amava fare, era stato in discoteca. Non ci era andato per ballare, ma semplicemente per dire la sua ai giovani, per parlare con loro della propria fede. Poi l’acutizzarsi di quel dolore al petto che da tempo lo tormentava, fino a quelle parole dette ai suoi collaboratori stretti attorno al suo capezzale: «Muoio, muoio».
Don Oreste ha dedicato tutta la sua vita agli ultimi, a chi non ha niente. Lo ha detto anche Benedetto XVI, ieri mattina, in un telegramma inviato al vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi: è stato un «infaticabile apostolo della carità a favore degli ultimi e degli indifesi». Lo ha ricordato, sempre ieri, anche il presidente Napolitano: don Benzi è stato un «testimone della speranza e della volontà di riscatto di tante donne e tanti giovani».Il motivo di una vita consumata per gli ultimi lo si deve ricercare nella sua infanzia: «I miei genitori - scrisse un giorno -, appartenevano a quella categoria di persone che ritiene talmente di non valere nulla, che sembra sempre chiedere scusa di esistere. Quando incontro il povero, l’ultimo, il disperato, il barbone della stazione, la prostituta, in me si rifà presente l’immagine dei miei che pensavano di non valere nulla. Per questo non mi metto mai dalla parte dei potenti, ma dalla parte dei “nessuno”, di quelli che la società non fa esistere».
Erano gli anni ’30. Oreste, settimo di nove figli, viveva a San Clemente, un paesino a 20 chilometri da Rimini. La madre era casalinga mentre il padre si barcamenava con lavori saltuari. Ma l’aria, in famiglia, era sempre allegra: «Non si muove foglia, che Dio non voglia», ripeteva sempre mamma. Sono ricordi che hanno formato la personalità di don Oreste, che lo hanno portato a decidere di darsi a tutti attraverso il sacerdozio. [leggi tutto]

22 ottobre 2007

Festa di Nostra Signora di Valme

Dopo l'emozionante omaggio floreale dei piccoli alla Madonna durante l'offertorio, alla fine della Santa Messa tutti i bambini si preparano per il consueto lancio dei palloncini con attaccato il loro personale messaggio d'amore a Maria, a Cristo ed alla Chiesa.



Contemporaneamente 250.000 persone partecipano alla Romeria de Valme a Dos Hermanas...

11 ottobre 2007

Si scrive Myanmar, si pronuncia Cina

Dal 1990 a oggi la Birmania ha acquistato un potente protettore nella Cina comunista, oggi tornata alla ribalta come grande potenza e bisognosa di avere uno sbocco sull'Oceano indiano. Un testimone oculare un anno fa circa mi scriveva: «I militari stanno costringendo i contadini a coltivare l'oppio per loro e fanno della Birmania il maggior esportatore del mondo... Oggi la Cina rifornisce i militari di armi per ripagare i legni pregiati, i minerali, il gas e il petrolio; costruiscono strade, ci inondano dei loro prodotti».
I cinesi sono già in Birmania, "colonizzano" alcune regioni tribali di confine che sono autonome. Ne ho visitato una nel 2002, con la loro piccola capitale Mong Lar invasa dai cinesi: scritte cinesi, taxi cinesi, moneta cinese, ristoranti cinesi, lavori cinesi che modernizzano la città con palazzi mai visti da quelle parti, canalizzano l'acqua, assicurano elettricità e acqua corrente. È facile capire perché Cina e Russia si oppongono alle sanzioni decretate dall'Onu. Oltre all'interesse economico e strategico di queste due potenze c'è il fatto, di cui assolutamente non si parla, che il colpo di stato che il 2 marzo 1962 ha portato le forze armate al potere assoluto non era fatto solo da "militari", ma da militari "socialisti", cioè in pratica "comunisti", che si ispiravano ai modelli di sviluppo della Russia staliniana e della Cina maoista. L'hanno dimostrato subito quando hanno varato in quell'anno 1962 il Lanzin, cioè "la via birmana al socialismo", un socialismo "ispirato al buddhismo", anche se poi di buddhista non ha assolutamente nulla. Nel "Programma" del Lanzin, tra le idee di base da cui partire per una società nuova, si legge: «Al posto di dio (minuscolo) bisogna mettere l'uomo, che è l'essere supremo... La filosofia del nostro partito è una dottrina puramente mondana e umana. Essa non è una religione... La storia dell'umanità è non solo storia di nazioni e di guerre, ma anche di lotta di classe. Il socialismo intende mettere fine a questo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. L'ideale del socialismo è una società prospera, ricca, fondata sulla giustizia. Non c'è posto per la carità. Noi faremo di tutto, con metodi appropriati, per eliminare atti e opere di falsa carità e assistenza sociale. Lo stato pensa a tutto. Nutrire ed educare i figli dei lavoratori sarà esclusiva responsabilità dello stato, quando ci saranno abbastanza risorse economiche. L'attività di imprese sociali fondate sul diritto di proprietà privata è contro natura e non fa che sfociare in antagonismi sociali. La proprietà dei mezzi di produzione deve essere sociale... Un'azione può essere considerata come retta, morale, solo quando serve agli interessi dei lavoratori. Per un uomo, lavorare tutta la vita per il benessere dei suoi concittadini e per quello dell'umanità in spirito di fratellanza è il "Programma delle Beatitudini" per la Società dell'Unione Birmana». [leggi tutto]

Celebrazioni per un assassino


di Fausto Carioti

Alla voce “Vittime di Che Guevara in Cuba” appaiono oltre duecento esecuzioni. Quattordici nemici, o presunti tali, furono eliminati dal comandante, direttamente o su suo ordine, in Sierra Maestra, durante la guerriglia contro gli uomini di Fulgencio Batista, tra il 1957 e il 1958. Dal 1 al 3 gennaio del 1959, appena catturata la cittadina di Santa Clara, mandò a morte altre 23 persone. Ma il grosso del sangue il futuro idolo dei pacifisti lo versò in qualità di comandante della Cabaña, la fortezza dell’Havana adibita a prigione. Tra il 3 gennaio e il 26 novembre del 1959 sono attribuite a Guevara ben 164 esecuzioni. Vista la metodologia dell’indagine, si tratta di numeri necessariamente approssimati per difetto: altre fonti parlano di almeno quattrocento uccisioni solo nel carcere dell’Havana.

Va da sé che il processo riservato a quei disgraziati era un abominio giuridico.
Lo confermano le parole del giurista José Vilasuso, che all’epoca faceva parte del tribunale di La Cabaña: «Le direttive del Che stabilivano che dovessimo agire nel modo più risoluto, vale a dire che [gli accusati] erano tutti assassini e che il modo rivoluzionario di procedere doveva essere implacabile». Un ex comandante delle truppe di Guevara, Jaime Costa Vázquez, ha raccontato che i suoi ordini erano chiarissimi: «Nel dubbio, fucilare».

Alvaro Vargas Llosa, nel suo libro “Il mito Che Guevara e il futuro della libertà”, appena pubblicato in Italia da Lindau, ha raccolto una piccola antologia di citazioni dai diari e dagli altri scritti del Che. Il quale nel gennaio del 1954, appena arrivato a Cuba, scriveva alla moglie di sentirsi «vivo e assetato di sangue».
Non era per impulso che cedeva all’odio e alla violenza. Guevara teorizzò con lucidità il ricorso a simili strumenti. Nel messaggio che inviò nel 1967 alla Tricontinentale, l’organizzazione rivoluzionaria afro-asiatico-latinoamericana, spiegava così quale dovesse essere il motore degli eserciti rivoluzionari: «L’odio come un elemento del conflitto; un odio implacabile nei confronti del nemico, che spinge l’uomo oltre i suoi limiti naturali e lo trasforma in un’efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere».[leggi tutto]

09 ottobre 2007

L'UNICEF a sostegno di una nuova campagna ONU per l'aborto

Una nuova iniziativa globale, che include un invito a legalizzare l’aborto, è stata lanciata a New York la scorsa settimana da diverse agenzie dell’ONU e Organizzazioni non governative (ONG). Tra i patrocinatori dell’iniziativa – denominata Deliver Now for Women and Children (Agisci ora per donne e bambini) – c’è anche il Fondo delle Nazioni Unite per i bambini (UNICEF), un’agenzia che ufficialmente continua a negare ogni proprio sostegno all’aborto sotto qualsiasi forma esso sia.


Il sito web di Deliver Now presenta questa durissimo slogan: “Oltre 10milioni di morti l’anno. Troppe per poterle ignorare”. Questa enorme cifra è la sintesi di due dati: il numero di bambini morti ogni anno per qualsiasi causa, all’incirca 10 milioni, e il numero di donne morte per cause legate alla maternità, una cifra (altamente sospetta) che diverse agenzie dell’Onu fissano a 500mila.

I sostenitori dell’aborto spesso legano “aborto insicuro” e mortalità materna per spingere alla legalizzazione del cosiddetto aborto “sicuro”. I critici fanno notare che in Polonia, dove l’aborto è stato drasticamente limitato nel 1993, il paese ha mostrato da allora un rapido calo nel tasso di aborto e anche della mortalità materna. In Irlanda, dove l’aborto è tuttora illegale, si registra uno dei più bassi tassi di mortalità materna al mondo. Al contrario, negli Stati Uniti, dove dal 1973 è possibile l’aborto su richiesta, quest’anno c'è stato un aumento della mortalità materna.
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21 settembre 2007

La Cina è sempre leader nelle persecuzioni religiose

Il Dipartimento di Stato segnala piccoli progressi in Arabia
Saudita, anche se «le restrizioni sono ancora eccessivamente
rigide». Il Vietnam esce dall'elenco dei «sotto osservazione»
Denunciati «soprusi e arresti immotivati» dei cattolici. Otto i Paesi nella lista nera Usa, entra anche l'Uzbekistan

Si allunga la lista nera di Washington. La libertà religiosa nel
mondo è sempre in pericolo e le persecuzioni contro i credenti di
ogni fede sono fonte di instabilità e di violenze.
Lo attesta l'edizione 2007 del Rapporto sulla libertà religiosa
diffuso ieri nel corso di una conferenza stampa a Washington,
presente anche il segretario di Stato, Condoleezza Rice.
Illustrando il documento, l'ambasciatore e curatore del Rapporto,
John Hanford III, ha voluto spiegare che «l'impegno per la libertà
religiosa nel mondo non è un tentativo di esportare semplicemente un
metodo americano», quanto invece il riconoscimento della «libertà
religiosa come un diritto inviolabile dell'uomo».

Entrando nel dettaglio, Hanford ha sottolineato in particolare la
situazione critica per i cristiani e i cattolici in Cina e per le
minoranze in Iran, due degli otto Paesi che rientrano a pieno titolo
nella lista nera che comprende anche Myanmar, Nord Corea, Sudan,
Eritrea, Arabia Saudita e, dall'edizione 2007, l'Uzbekistan.
Malgrado le pressioni esercitate in più occasioni dallo stesso
presidente Bush su Hu Jintao e l'appello nel novembre del 2006 ad
Hanoi del segretario di Stato Rice, la libertà religiosa a Pechino
continua a essere schiacciata sotto il macigno delle pressioni
politiche e questo nonostante - si legge nel rapporto - «la
Costituzione cinese garantisca libertà di credo e di religione».
Oltre alla questione del Tibet, alla persecuzione dei fedeli del
Falun Gong e degli uiguri, al divieto per i bambini di avere
un'educazione alla fede, e alla repressione delle chiese
protestanti «illegali», il Dipartimento di Stato denuncia i soprusi,
la scia di arresti e di incarcerazioni immotivate riservati ai
cattolici e ai vescovi della Chiesa locale.
Un trend che non accenna a diminuire, è la conclusione amara del
Dipartimento di Stato.

In Iran la comunità ebraica e i gruppi cristiani sono tenuti di
fatto ai margini della società mentre negli ultimi tempi si è
radicalizzato il clima di tensione contro chiunque non faccia parte
dell'universo sciita.
In Eritrea diverse Ong hanno stimato in almeno 1900 i «prigionieri
religiosi» custoditi nelle carceri del Paese.
Mentre Myanmar ha costituito una vera e propria rete sofisticata di
spie per controllare e monitorare dall'interno i raduni e le
attività di tutte le organizzazioni, comprese quelle religiose.
Bacchettate anche per l'Europa, dove Romania e Slovacchia sono sotto
la lente per le leggi discriminatorie contro le minoranze religiose
approvate lo scorso anno.
Ma vi sono anche notizie in controtendenza.

Passi avanti sensibili verso la tolleranza sono stati compiuti in
Vietnam - fino allo scorso anno incluso nella lista nera - dove sono
stati allentati i controlli sui movimenti religiosi. E segnali
positivi vengono anche dal Bangladesh e dal Turkmenistan.
Ottimismo, ma credito ancora limitato, invece per quanto accade in
Arabia Saudita.
L'ambasciatore Hartford ha precisato che il governo ha preso
decisioni importanti per sradicare l'intolleranza e consentire ai
non-musulmani di poter possedere libri e icone religiose.
Piccoli e timidi passi che non hanno permesso al governo di Riad di
essere depennati dalla lista nera visto che, dice il rapporto, «le
restrizioni alla pratica religiosa sono ancora eccessivamente
rigide».

Dal Nostro Inviato A Washington Alberto Simoni – Avvenire 15-09-2007
Notizia del 19/09/2007 stampata dal sito web www.lucisullest.it

14 settembre 2007

Benedetto XVI, Al-Bashir, Prodi e polemiche

Castelgandolfo, 14 set. -In Darfur occorre "porre fine alle sofferenze e all'insicurezza di quelle popolazioni, assicurando loro l'assistenza umanitaria a cui hanno diritto, e si avviino progetti di sviluppo". A chiederlo è Benedetto XVI che questa mattina ha ricevuto a Castelgandolfo Omar Hassan Ahmed Al-Bashir, presidente della Repubblica del Sudan. "Al centro dei colloqui- ha reso noto un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede - e' stata la situazione politica e religiosa del Paese, con particolare riferimento all'Accordo di Pace (Comprehensive Peace Agreement) e alla situazione nel Darfur. A questo riguardo, e' stata commentata molto positivamente la convocazione dei nuovi negoziati di pace per il Darfur il 27 ottobre prossimo in Libia, la cui riuscita e' nei vivi auspici della Santa Sede.
In proposito, la nota vaticana sottolinea la necessita' che si prenda atto "dell'aspetto regionale della crisi". "In un clima molto rispettoso", come sottolineato in un briefing dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, sono stati affrontati anche "altri temi di interesse comune, come la difesa della vita e della famiglia, il rispetto e la promozione dei diritti umani, come quello fondamentale della libertà religiosa, l'importanza del dialogo interreligioso e della collaborazione tra i credenti di tutte le religioni, in particolare cristiani e musulmani, per la promozione della pace e del bene comune". "In questo contesto - conclude la nota - si e' ribadito il ruolo e il contributo positivo della Chiesa cattolica e delle sue istituzioni nella vita della societa' sudanese, specialmente nel campo educativo".

Il Vaticano sta facendo tutto il possibile per porre fine alla crisi umanitaria del Darfur, quello che Benedetto XVI ha definito come un «orrore». Ma i rapporti del Vaticano con il Sudan nel recente passato sono stati tesi.
Quando Benedetto XVI ha incontrato i diplomatici musulmani un anno fa allo scopo di disinnescare la polemica sul discorso di Ratisbona, il Sudan era l'unica nazione musulmana che non ha partecipato all’incontro.

Il Papa, che ha citato la “situazione del Darfur” anche nel discorso alle autorità politiche e al corpo diplomatico, lo scorso 7 settembre a Vienna. Lo scorso primo giugno poi, in occasione della presentazione delle lettere credenziali del nuovo ambasciatore del Sudan presso la Santa Sede, Benedetto XVI aveva avuto modo di sollecitare una soluzione del conflitto: “Non è mai troppo tardi – ha detto – per fare con coraggio le scelte necessarie” perché il Paese esca da questa crisi attraverso il dialogo e la cooperazione e nel rispetto delle minoranze, culturali, etniche e religiose.
Nel 35mo anno di rapporti diplomatici tra Santa Sede e Sudan, è la seconda volta che il presidente al-Bashir incontra un Papa ma è la sua prima volta in Vaticano e con Benedetto XVI. Nel 1993 aveva infatti incontrato Giovanni Paolo II nel corso del viaggio apostolico di quest’ultimo in Sudan. Dal 1989 è anche la prima volta che un capo di Stato africano viene in Vaticano
Ad ogni modo questo nuovo incontro con un pontefice non può essere speso dal dittatore come "riconoscimento" ma al massimo come "mediazione" disperata per evitare altri lutti ai cristiani del Sudan.

Durante il successivo colloquio con Prodi, Omar Hassan El Bashir, ha annunciato la "disponibilita'" del suo governo "per un cessate il fuoco dall'inizio dei negoziati", che coinvolga anche i ribelli che finora non hanno accettato le trattative.
Bashir sembra però non ricordare che un cessate il fuoco è stato concordato nell'aprile 2004, ma è stato spesso violato da entrambe le parti.
Il presidente del Sudan, ha spiegato che questo incontro servira' a creare "un clima positivo" in vista della conferenza di Tripoli che ha auspicato poter essere "l'ultima necessaria a portare la pace in Darfur". Bashir ha anche chiesto all'Italia di intervenire presso i paesi europei che ospitano "i ribelli, soprattutto in Francia" perche' si adoperino per convincerli a partecipare ai negoziati. "Il Sudan ha manifestato la sua disponibilita' ad andare a un negoziato con i gruppi ribelli - ha detto il presidente sudanese - ma occorre fare pressione per convincere tutti a partecipare". Il dittatore nella sua falsa veste diplomatica, sembra non ricordare che appena due settimane fa, il 25 agosto, il Governo del Sudan ha ordinato l'espulsione del Capo della delegazione della Ue, Kent Degerfelt, e dell'ambasciatore del Canada. Persone non gradite, ha detto il ministro degli Esteri sudanese per via della loro "partecipazione ad attività di ingerenza negli affari interni del Paese": il rappresentante europeo e l'ambasciatore canadese sono stati cacciati perché cercavano di occuparsi di Diritti dell'uomo
Il presidente della Repubblica del Sudan ha anche chiesto all'Italia di intervenire sui Paesi donatori affinche' mantengano gli impegni assunti ad Oslo, oltre che per sospendere le sanzioni e annullare i debiti del suo Paese. "Questo consentirebbe di avviare progetti di sviluppo nel Sud del Sudan, cosa utile in vista del referendum sull'unita' del Paese". Bashir ha anche riferito che "in Darfur si sono registrati miglioramenti sul terreno sul piano della sicurezza. Ci sono inoltre stati miglioramenti sul piano della situazione umanitaria, gli aiuti alimentari tramite il Wfp raggiungono tutti i profughi ed e' migliorata anche la situazione umanitaria". Questo, ha riferito Bashir, "sta permettendo a molti profughi di rientrare nelle loro terre". La verità però è un po’ diversa, attualmente non sono i profughi che rientrano nelle loro terre, ma nuovi "inquilini graditi al governo" che le occupano, come succede dopo ogni genocidio degno di questo nome.
Il leader sudanese parla con la doppiezza tipica di tutti i rais arabi, ma le false promesse di Bashir sembrano comunque aver convinto Prodi che ha salutato la dichiarazione del dittatore come un segnale forte e importante.

Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, al termine dell'incontro con il presidente sudanese Bashir, riferisce che si e' trattato di un confronto "lungo e approfondito, durante il quale si e' discusso con franchezza ma anche con spirito di cooperazione" sui problemi del Sudan e del Darfur.
Prodi ha riferito di aver discusso "in modo costruttivo sulle possibili soluzioni politiche" a partire dagli sviluppi delle ultime settimane che hanno portato alla decisione Onu di formare una missione ibrida di peace keeping e alla convocazione di una conferenza di pace a Tripoli per il 27 ottobre.
Anche l'Italia, ha assicurato Prodi, fara' la sua parte con "la partecipazione non solo finanziaria alla missione ibrida".
La partecipazione sara' composta di contributi (l'Italia e' tra i maggiori donors) ma anche con una messa a disposizione di mezzi di aerotrasporto e strutture logistiche come richiesto dall'Onu, a cui si aggiungono programmi di addestramento del personale impegnato nel peace keeping. Questo impegno si somma a quello gia' in atto sul piano umanitario nei campi profughi.
Infine si sta lavorando alla partecipazione a un fondo europeo per il mantenimento della pace che coinvolgera' Darfur e Corno d'Africa. Ancora non e' stato deciso quale sara' l'entita' di questo fondo, ma la cifra, decisa insieme al ministero degli Esteri e dell'Economia, dovrebbe essere fissata entro la prossima settimana.

L’incontro tra Prodi e il presidente della Repubblica del Sudan era stato preceduto da reazioni e proteste. Nei giorni scorsi, infatti, venticinque europarlamentari, guidati dalla laburista Gleyns Kinnock, hanno scritto una lettera a Napolitano e Prodi per metterli in guardia sul modo in cui avrebbero accolto Bashir. Nel testo si legge: “come parlamentari europei abbiamo ripetutamente chiesto un intervento d aparte dei nostri governi: il primo ministro Brown e il presidente Sarkozy si sono pubblicamente impegnati per mettere la parola fine alle violenze in Darfur. Nel frattempo il vostro governo è stato decisamente in silenzio”.

l'Italia e' l'unico Paese occidentale che ha accettato negli ultimi anni di incontrare Bashir, capo del governo che, secondo la comunita' internazionale, arma le milizie arabe dei janjaweed, responsabili dei massacri dei civili della regione occidentale sudanese. Secondo l'ufficio europeo di Amnesty International, e' "singolare" che il governo italiano abbia deciso di accogliere il presidente sudanese, nonostante "la crisi umanitaria in Darfur continui a essere una delle piu' drammatiche nel mondo e senza ancora un responsabile effettivo".

La visita in Italia del presidente sudanese - ha ammonito il vicepresidente della commissione Esteri del Senato, Alfredo Mantica (An) - "sia la manifestazione di un impegno forte italiano e un'assunzione di responsabilita' primaria per il processo di pace in Sudan". Mantica ha auspicato che "l'apertura improvvisa" dell'Italia al contestato presidente africano abbia finalita' esclusivamente umanitarie e non commerciali ("Voglio ricordare che il Sudan e' un Paese ricco di petrolio"). Gli ha replicato il sottosegretario agli Esteri, Famiano Crucianelli, il quale ha chiarito che la visita "fa parte della strategia italiana per porre fine al genocidio in Darfur e sostenere una presenza internazionale forte". Perche', ha incalzato Mantica, "il gioco dei sudanesi si protrae da troppo tempo e duecentomila morti pesano sulla coscienza di tutti noi".
Crucianelli ha quindi smentito "che vi possa essere alcun intento di tipo commerciale di fronte a problemi cosi' tragici che si sono consumati in Sudan, e in particolare in Darfur".
Di certo la missione italiana di Bashir e' anche di carattere economico: il presidente sudanese e' accompagnato da una delegazione di nove ministri che incontreranno, tra gli altri, i ministri per lo Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, e dei Trasporti, Alessandro Bianchi.
Mantica e Crucianelli hanno espresso posizioni opposte anche in merito all'assegnazione al presidente ruandese Paul Kagame del premio 'Abolizionista 2007' di 'Nessuno Tocchi Caino'. Mantica ha detto di essere “rimasto perplesso non solo del riconoscimento ma della ritualita’ e dell’impegno del presidente del Consiglio nel dare il premio. Credo che Nigrizia e soprattutto padre Giulio Albanese abbiano sollevato, piu’ che delle critiche, le attenzioni necessarie. Voglio ricordare che il Ruanda ha ancora truppe nel Congo, che c’e’ un problema legato allo sfruttamento delle miniere di coltan e che ancora e’ difficile immaginare questo paese come allineato agli standard accettabili da parte dell’Occidente quando si parla di democrazia, di diritti civili o stato di diritto. Mi pare che questo premio, soprattutto il modo con cui e’ stato dato, sia leggermente sopra le righe”. Attacchi a Bashir anche da Franco Moretti, coordinatore di Nigrizia, la rivista missionaria che già aveva criticato il premio di Nessuno Tocchi Caino consegnato da Prodi a Kagame. “Bashir sta cercando di farsi vedere all'estero sotto una buona luce. Dipende quindi da cosa Prodi gli dirà. Ma oltre a questo l'Italia dovrebbe impegnarsi per una conferenza internazionale e fare pressioni sulla Cina, grande protettore di Khartoum al Consiglio di sicurezza. Lo chiedessero ai profughi sudanesi cosa va detto a Bashir”. Profughi (rifugiati in Italia) che per altro hanno scritto al premier chiedendo un incontro e un impegno per un “accelerato il dispiegamento delle forze di pace, piena applicazione della nuova risoluzione Onu” e “costituzione di una no-fly zone sul Darfur”. Anche Padre Giulio Albanese non ha dubbi su quello che Roma dovrebbe esigere da Bashir. Con lui, che il fondatore di Misna definisce un “malavitoso golpista, responsabile di crimini indicibili” bisogna comunque trattare. “Nondimeno – aggiunge – se è giusto dialogare, sempre e a 360 gradi, bisogna essere chiari. Khartoum promette e non mantiene mai e se l'accettazione della forza ibrida Onu-Ua è una buona notizia, bisogna esigere garanzie. Le parole non bastano, ci vogliono segnali chiari”.

Stesse perplessita espresse da Sergio D’Elia di Nessuno tocchi Caino. Per il parlamentare della Rosa nel Pugno, il governo sudanese “è il responsabile di quanto è accaduto. Se non in prima persona, magari coprendo i miliziani Janjaweed” le dichiarazioni di Sergio D’Elia sembrano comunque totalmente incoerenti con il riconoscimento da lui stesso attribuito ad un altro tiranno africano quale Kagame. Infine Noury di AI ha accusato al Bashir “di essere il responsabile di centinaia di migliaia di morti e decine di migliaia di stupri in Darfur”. “Non stiamo incontrando un amico ma un uomo arrogante e violento”, ha proseguito l’esponente di Amnesty. Il presidente sudanese ha cercato di “ostacolare in tutti i modi la missione di peacekeeping oltre a negare l’accesso ai campi profughi alle Ong in Sudan, cercando di internazionalizzare la crisi coinvolgendo il confinante Ciad”. Da un lato ha ripetuto nella recente visita di Ban Ki-moon in Sudan il proprio sostegno alla missione Onu-Ua, e dall’altro ha nominato il suo ministro per gli Affari umanitari, Ahmed Haroun, a capo della Commissione d’inchiesta sulle violenze in Darfur. Peccato che Haroun sia stato accusato dal procuratore della Corte penale internazionale di crimini di guerra insieme ad un altro leader delle milizie Janjaweed, Ali Kosheib. “Il governo sudanese continua a rifiutarsi di collaborare con la Corte negando l'estradizione dei due uomini. L’Unione africana – conclude Noury - e il resto della comunità internazionale dovrebbero fare in modo che i mandati di arresto, emessi il 2 maggio nei confronti dei due accusati, possano essere effettivamente eseguiti”.

il governo del Sudan ha recentemente lanciato la più imponente offensiva militare da oltre un anno nel Darfur settentrionale, nella regione stanno avendo luogo bombardamenti su vasta scala, questa offensiva è caratterizzata da gravi violazioni del diritto umanitario, tra cui attacchi indiscriminati e sproporzionati e attacchi diretti contro i civili

12 settembre 2007

Olimpiadi del genocidio

La Cina e i Giochi Olimpici del 2008:

Una lettera aperta agli attivisti ed ai sostenitori del Darfur

Eric Reeves

Cosa succederebbe se 1.000 studenti e sostenitori dimostrassero
davanti all’ambascaita cinese di Washington dichiarando con striscioni, cartelloni e tshirt
che la Cina verrà giudicata responsabile per la sua complicità nel genocidio nel
Darfour? Cosa succederebbe se tali dimostrazioni continuassero e crescessero e
avessero luogo davanti alle ambasciate cinesi di altri paesi? Cosa succederebbe se
ovunque, davvero ovunque, i diplomatici ed i politici cinesi si trovassero a fronteggiare
coloro che denunciano il ruolo della Cina nel genocidio nel Darfur?

Ecco alcuni suggerimenti sulla complicità della Cina nel genocidio nel Darfur
LA CINA, NAZIONE OSPITANTE DEI GIOCHI OLIMPICI DEL 2008, È COMPLICE DEL
GENOCIDIO NEL DARFUR:
HA LASCIATO LA POPOLAZIONE CIVILE NEL DARFUR A RISCHIO
•La Cina si è astenuta dalla risoluzione 1706 (agosto 2006) del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite compromettendo il sostegno internazionale ad un’operazione di
pace di vitale importanza nel Darfur.
HA SOSTENUTO IL REGIME DI KHARTOUM
•La Cina ha ripetutamente e completamente sostenuto le pretese di sovranità
nazionale di Khartoum, rafforzando il regime nella sua sfida alle Nazioni Unite ed alla
comunità internazionale.
HA IGNORATO LE ATROCITÀ IN TUTTO IL SUDAN
• La Cina per sfruttare le ricchezze petrolifere del Sudan, ha per molti anni ignorato
abusi di massa dei diritti umani e atrocità criminali del regime di Khartoum in tutto il
Sudan
HA FORNITO LE ARMI
•La Cina è stata il maggiore fornitore di armi nell’ultimo decennio ed anche prima;
molte di queste armi sono state usate nel Darfur
HA DATO IL SUO ASSENSO AL GENOCIDIO
•La Cina ha mandato segnali diplomatici che, data la loro tiepida natura, hanno
convinto Karthoum che può completare la sua opera di sterminio dei movimenti
antigovernativi nel Darfur senza subire serie conseguenze. [leggi tutto]

11 settembre 2007

05 settembre 2007

Caino, Kagame e dintorni

...Si farebbe bene a leggere il libro di Pierre Péan, Noires Fureurs, Blancs Menteurs (“Furie nere, bianchi bugiardi”) per capire quello che è successo veramente nel 1994. Molte cose, comunque, rimangono note solo a una ristretta cerchia di amici di Kagame. Appena l’attuale presidente del Rwanda sospetta che qualcuno non mantiene il segreto, lo fa eliminare, in qualunque parte del mondo egli si trovi.

Kagame, inoltre, ha avuto un ruolo importante nella caduta di Mobutu e nella conquista del potere da parte di Laurent-Désiré Kabila, padre dell’attuale presidente dell’Rd Congo. Ricordo solo il campo profughi di Goma (nella regione del Kivu, nell’Rd Congo) dove erano ammassati due milioni di rwandesi fuggiti alle stragi dell’esercito di Kagame. Nel 1997 furono attaccati e inseguiti per tutto il territorio congolese. Solo poche migliaia riuscirono a rifugiarsi nel Congo-Brazzaville e nella Repubblica Centrafricana, attraversando fiumi e foreste... a piedi (mi dicevano i rwandesi rifugiati a Bangui), perché le scarpe si consumavano in fretta.

E oggi il presidente del Rwanda viene in Italia ed è ricevuto con tutti gli onori, come se nulla fosse successo nel suo paese in questi ultimi vent’anni. Come se in quel suo paese ci fosse una vera vita democratica. Sono inorridito ed esterrefatto! Un uomo che ha sulla coscienza milioni di morti, che dirige il suo paese con il pugno di ferro e richiama alla mente i dittatori di storia recente o passata, riceve addirittura un premio da chi si definisce difensore dei diritti umani e della pace.

Sono senza parole.

Padre Tonino Falaguasta Nyabenda [leggi tutto]