31 maggio 2006

Visitazione della Beata Vergine Maria


Festa del 'Magnificat', la Visitazione prolunga ed espande la gioia messianica della salvezza. Maria, arca della nuova alleanza, è 'teofora' e viene salutata da Elisabetta come Madre del Signore. La Visitazione è l'incontro fra la giovane madre, Maria, l'ancella del Signore, e l'anziana Elisabetta simbolo degli aspettanti di Israele. La premura affettuosa di Maria, con il suo cammino frettoloso, esprime insieme al gesto di carità anche l'annunzio che i tempi si sono compiuti. Giovanni che sussulta nel grembo materno inizia già la sua missione di Precursore. Il calendario liturgico tiene conto della narrazione evangelica che colloca la Visitazione entro i tre mesi fra l'Annunciazione e al nascita del Battista. (Mess. Rom.)


Dopo l'annuncio dell'Angelo, Maria si mette in viaggio frettolosamente" dice S. Luca) per far visita alla cugina Elisabetta e prestarle servizio. Aggregandosi probabilmente ad una carovana di pellegrini che si recano a Gerusalemme, attraversa la Samaria e raggiunge Ain-Karim, in Giudea, dove abita la famiglia di Zaccaria. E’ facile immaginare quali sentimenti pervadano il suo animo alla meditazione del mistero annunciatole dall'angelo. Sono sentimenti di umile riconoscenza verso la grandezza e la bontà di Dio, che Maria esprimerà alla presenza della cugina con l'inno del Magnificat, l'espressione "dell'amore gioioso che canta e loda l'amato" (S. Bernardino da Siena): "La mia anima esalta il Signore, e trasale di gioia il mio spirito...".
La presenza del Verbo incarnato in Maria è causa di grazia per Elisabetta che, ispirata, avverte i grandi misteri operanti nella giovane cugina, la sua dignità di Madre di Dio, la sua fede nella parola divina e la santificazione del precursore, che esulta di gioia nel seno della madre. Maria rimane presso Elisabetta fino alla nascita di Giovanni Battista, attendendo probabilmente altri otto giorni per il rito dell'imposizione del nome. Accettando questo computo del periodo trascorso presso la cugina Elisabetta, la festa della Visitazione, di origine francescana (i frati minori la celebravano già nel 1263), veniva celebrata il 2 luglio, cioè al termine della visita di Maria. Sarebbe stato più logico collocarne la memoria dopo il 25 marzo, festa dell'Annunciazione, ma si volle evitare che cadesse nel periodo quaresimale.
La festa venne poi estesa a,tutta la Chiesa latina da papa Urbano VI per propiziare con la intercessione di Maria la pace e l'unità dei cristiani divisi dal grande scisma di Occidente. Il sinodo di Basilea, nella sessione del 10 luglio 1441, confermò la festività della Visitazione, dapprima non accettata dagli Stati che parteggiavano per l'antipapa.
L'attuale calendario liturgico, non tenendo conto della cronologia suggerita dall'episodio evangelico, ha abbandonato la data tradizionale del 2 luglio (anticamente la Visitazione veniva commemorata anche in altre date) per fissarne la memoria all'ultimo giorno di maggio, quale coronamento del mese che la devozione popolare consacra al culto particolare della Vergine.
"Nell'Incarnazione - commentava S. Francesco di Sales - Maria si umilia confessando di essere la serva del Signore... Ma Maria non si indugia ad umiliarsi davanti a Dio perchè sa che carità e umiltà non sono perfette se non passano da Dio al prossimo. Non è possibile amare Dio che non vediamo, se non amiamo gli uomini che vediamo. Questa parte si compie nella Visitazione".


Autore:
Piero Bargellini

30 maggio 2006

Prima ecografia (quella vera)

Non sappiamo ancora se è maschio o femmina ma è sicuramente un bel personaggio, con quella manina sembra salutarci o forse vuole farsi beffa di noi con un simpatico:"Marameeeo"

Così Joseph si identifica con gli ebrei

Renato Farina
Con Pio XII aspettarono ad attaccarlo post mortem.
L'argomento fu il suo presunto tacere sullo sterminio degli ebrei. Con Benedetto XVI hanno cominciato subito a trattarlo da antisemita. Prima il "Nazi-Ratzi" scritto sui muri e la definizione fintamente scherzosa di "Pastore tedesco", dove tedesco sta per qualcosa di hitleriano inevitabilmente connesso con il dna del Papa bavarese. Ieri nuova dose. Repubblica ha pubblicato questo titolo in prima pagina: Quei silenzi di Ratzinger(chiaro no?). L'Unità fa di peggio: Un Papa revisionista. Non ci sarebbe nulla di male nell'aggettivo, ma nel settore dei lager significa imparentarlo con chi minimizza l'Olocausto.
Infatti l'Unità gli fa dire con un gran titolo: "Opera di un gruppo di criminali". Così il Papa spiega la Shoa> Indecente. Ratzinger entra con il capo chino ad Auschwitz, prega, si commuove, si rivolge a Dio dicendogli: "dov eri?". Condanna senza annacquamenti quel crimine obbrobrioso e chi lo ideò.
E questi invece: il silenzio, dimentica, assolve.

La materia dell'accusa è questa: il Pontefice avrebbe assolto il popolo tedesco, addossando la colpa del genocidio a un manipolo di mascalzoni. Il resto sarebbero vittime, tedeschi compresi. Mi permetto di dire: non è così. Trascrivo: < (Io) figlio del popolo tedesco - figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell'onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell'intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio. Sì, non potevo non venire qui>.

Dice una verità terribile. Hitler mostrò il nazismo come una promessa di felicità. Tale e quale Lenin coi proletari russi. L'uomo e i popoli con nazismo e comunismo sono diventati strumenti (colpevoli certo) di progetti infami. Le masse aderiscono, ma non sanno bene a che cosa.
[continua]

29 maggio 2006

La luce del Papa dissolve le nubi di Auschwitz

"Noi non possiamo scrutare il segreto di Dio – vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia. Non difenderemmo, in tal caso, l'uomo, ma contribuiremmo solo alla sua distruzione. No – in definitiva, dobbiamo rimanere con l'umile ma insistente grido verso Dio: Svégliati! Non dimenticare la tua creatura, l'uomo! E il nostro grido verso Dio deve al contempo essere un grido che penetra il nostro stesso cuore, affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio – affinché quel suo potere che Egli ha depositato nei nostri cuori non venga coperto e soffocato in noi dal fango dell'egoismo, della paura degli uomini, dell'indifferenza e dell'opportunismo. Emettiamo questo grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le forze oscure: da una parte, l'abuso del nome di Dio per la giustificazione di una violenza cieca contro persone innocenti; dall'altra, il cinismo che non conosce Dio e che schernisce la fede in Lui. Noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza – una spirale di distruzioni, in cui tutti in fin dei conti possono essere soltanto perdenti. Il Dio, nel quale noi crediamo, è un Dio della ragione – di una ragione, però, che certamente non è una neutrale matematica dell'universo, ma che è una cosa sola con l'amore, col bene. Noi preghiamo Dio e gridiamo verso gli uomini, affinché questa ragione, la ragione dell'amore e del riconoscimento della forza della riconciliazione e della pace prevalga sulle minacce circostanti dell'irrazionalità o di una ragione falsa, staccata da Dio."

28 maggio 2006

Pequenito alla quarta domenica


Durante la quarta domenica del mese dedicata alle famiglie, Pequenito gioca felice con tanti nuovi amici, purtroppo questa è l'ultima quarta domenice della stagione, ci rivediamo ad ottobre con tutti i componenti di questa simpatica chiccociurma

25 maggio 2006

Spirito di emulazione






Visti i successi con i motori di pechenito anche il secondo che arriverà a dicembre non vuole essere da meno

24 maggio 2006

Festa di Maria Ausiliatrice


“Auxilium Christianorum”; ‘Aiuto dei Cristiani’, è il bel titolo che è stato dato alla Vergine Maria in ogni tempo e così viene invocata anche nelle litanie a Lei dedicate dette anche Lauretane perché recitate inizialmente a Loreto.
Sulle virtù, la vita, la predestinazione, la maternità, la mediazione, l’intercessione, la verginità, l’immacolato concepimento, i dolori sofferti, l’assunzione di Maria, sono stati scritti migliaia di volumi, tenuti vari Concili, proclamati dogmi di fede, al punto che è sorta un’autentica scienza teologica: la Mariologia.
E sempre è stata ribadita la presenza mediatrice e soccorritrice della Madonna per chi la invoca, a lei fummo affidati come figli da Gesù sulla Croce e a noi umanità è stata indicata come madre, nella persona di Giovanni apostolo, anch’egli ai piedi della Croce.
Ma la grande occasione dell’utilizzo ufficiale del titolo “Auxilium Christianorum” si ebbe con l’invocazione del grande papa mariano e domenicano san Pio V (1566-1572), che le affidò le armate ed i destini dell’Occidente e della Cristianità, minacciati da secoli dai turchi arrivati fino a Vienna, e che nella grande battaglia navale di Lepanto (1571) affrontarono e vinsero la flotta musulmana.
Il papa istituì per questa gloriosa e definitiva vittoria, la festa del S. Rosario, ma la riconoscente invocazione alla celeste Protettrice come “Auxilium Christianorum”, non sembra doversi attribuire direttamente al papa, come venne poi detto, ma ai reduci vittoriosi che ritornando dalla battaglia, passarono per Loreto a ringraziare la Madonna; lo stendardo della flotta invece, fu inviato nella chiesa dedicata a Maria a Gaeta dove è ancora conservato.
Il grido di gioia del popolo cristiano si perpetuò in questa invocazione; il Senato veneziano fece scrivere sotto il grande quadro commemorativo della battaglia di Lepanto, nel Palazzo Ducale: “Né potenza, né armi, né condottieri ci hanno condotto alla vittoria, ma Maria del Rosario” e così a fianco agli antichi titoli di ‘Consolatrix afflictorum’ (Consolatrice degli afflitti) e ‘Refugium peccatorum’ (Rifugio dei peccatori), si aggiunse per il popolo e per la Chiesa ‘Auxilium Christianorum (Aiuto dei cristiani).
Il culto pur continuando nei secoli successivi, ebbe degli alti e bassi, finché nell’Ottocento due grandi figure della santità cattolica, per strade diverse, ravvivarono la devozione per la Madonna del Rosario con il beato Bartolo Longo a Pompei e per la Madonna Ausiliatrice con s. Giovanni Bosco a Torino.
Il grande educatore ed innovatore torinese, pose la sua opera di sacerdote e fondatore sin dall’inizio, sotto la protezione e l’aiuto di Maria Ausiliatrice, a cui si rivolgeva per ogni necessità, specie quando le cose andavano per le lunghe e s’ingarbugliavano; a Lei diceva: "E allora incominciamo a fare qualcosa?". S. Giovanni Bosco, nato il 16 agosto 1815 presso Castelnuovo d’Asti e ordinato sacerdote nel 1841, fu il più grande devoto e propagatore del culto a Maria Ausiliatrice, la cui festa era stata istituita sotto questo titolo e posta al 24 maggio, qualche decennio prima, dal papa Pio VII il 24 maggio 1815, in ringraziamento a Maria per la sua liberazione dalla ormai quinquennale prigionia napoleonica.
Il grande sacerdote, apostolo della gioventù, fece erigere in soli tre anni nel 1868, la basilica di Maria Ausiliatrice nella cittadella salesiana di Valdocco - Torino; sotto la Sua materna protezione pose gli Istituti religiosi da lui fondati e ormai sparsi in tutto il mondo: la Congregazione di S. Francesco di Sales, sacerdoti chiamati normalmente ‘Salesiani di don Bosco’; le ‘Figlie di Maria Ausiliatrice’ suore fondate con la collaborazione di s. Maria Domenica Mazzarello e per ultimi i ‘Cooperatori Salesiani’ per laici e sacerdoti che intendono vivere lo spirito di ‘Don Bosco’, come è generalmente chiamato.
Le Congregazioni sono così numerose, che si vede con gratitudine la benevola protezione di Maria Ausiliatrice nella diffusione di tante opere assistenziali ed a favore della gioventù.
Ormai la Madonna Ausiliatrice è divenuta la ‘Madonna di Don Bosco’ essa è inscindibile dalla grande Famiglia Salesiana, che ha dato alla Chiesa una schiera di santi, beati, venerabili e servi di Dio; tutti figli che si sono affidati all’aiuto della più dolce e potente delle madri.
Interi Continenti e Nazioni hanno Maria Ausiliatrice come celeste Patrona: l’Australia cattolica dal 1844, la Cina dal 1924, l’Argentina dal 1949, la Polonia fin dai primi decenni del 1800, diffusissima e antica è la devozione nei Paesi dell’Est Europeo.
Nella bella basilica torinese a Lei intitolata, dove il suo devoto figlio s. Giovanni Bosco e altre figure sante salesiane sono tumulate, vi è il bellissimo e maestoso quadro, fatto eseguire dallo stesso fondatore, che rappresenta la Madonna Ausiliatrice che con lo scettro del comando e con il Bambino in braccio, è circondata dagli Apostoli ed Evangelisti ed è sospesa su una nuvola, sullo sfondo a terra, il Santuario e l’Oratorio come appariva nel 1868, anno dell’esecuzione dell’opera del pittore Tommaso Lorenzone.
Il significato dell’intero quadro è chiarissimo; come Maria era presente insieme agli apostoli a Gerusalemme durante la Pentecoste, quindi all’inizio dell’attività della Chiesa, così ancora Lei sta a protezione e guida della Chiesa nei secoli, gli apostoli rappresentano il papa ed i vescovi.
Maria è la “Madre della Chiesa”; Ausiliatrice del popolo cristiano nella sua continua lotta per la diffusione del Regno di Dio.


Autore: Antonio Borrelli

21 maggio 2006

Primi passi di Baby Biker


Pechenito muove i suoi primi passi da solo e lo fa alla guida di uno strano chopper costruito con il motore del tagliaerbe del nonno, il telaio dell'aspirapolvere della mamma e le ruote della macchina di paperino.

Se il video non appare prova a guardarlo qui

19 maggio 2006

Quattro generazioni a confronto

Il bisnonno è sceso da Brescia per una settimana di vacanze romane, è stato a cena da noi e come potete vedere ci siamo divertiti un sacco, peccato solo che si stia insieme così di rado!
Torna a trovarci presto caro "nonno al quadrato".

18 maggio 2006

56° ASSEMBLEA CEI, DISCORSO DI BENEDETTO XVI


VESCOVI, SIATE VICINI AI SACERDOTI; TRADIZIONE CRISTIANA RICCHEZZA PER L'ITALIA

18/05/2006

Essere "costantemente vicini" ai sacerdoti, sostenendoli e "avendo a cuore il loro benessere materiale e spirituale": è uno dei passaggi iniziali del discorso che Benedetto XVI ha rivolto questa mattina ai Vescovi italiani, riuniti in Vaticano per la loro 56° assemblea generale. Il Papa ha ricordato che "l'oggetto principale di questa vostra Assemblea verte sulla vita e il ministero dei sacerdoti, nell'ottica di una Chiesa che intende essere sempre più protesa alla sua fondamentale missione evangelizzatrice".

Proprio per questo motivo, ha esortato i Vescovi "innanzitutto a curare un'attenta selezione dei candidati al sacerdozio, verificandone le predisposizioni personali ad assumere gli impegni connessi con il futuro ministero; coltivare poi la formazione, non solo negli anni del seminario ma anche nelle successive fasi della loro vita; avere a cuore il loro benessere materiale e spirituale; esercitare la nostra paternità verso di loro con animo fraterno; non lasciarli mai soli nelle fatiche del ministero, nella malattia e nella vecchiaia, come nelle inevitabili prove della vita". Benedetto XVI ha quindi aggiunto: "Quanto più saremo vicini ai nostri sacerdoti, tanto più essi a loro volta avranno verso di noi affetto e fiducia, scuseranno i nostri limiti personali, accoglieranno la nostra parola e si sentiranno solidali con noi nelle gioie e nelle difficoltà del ministero".

Richiamando un altro tema all’attenzione dei Vescovi italiani riuniti in assemblea generale in Vaticano, quello del Convegno ecclesiale nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006), Benedetto XVI ha detto: "Avendo per tema ‘Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo’, il Convegno sarà un grande momento di comunione per tutte le componenti della Chiesa in Italia". Il Papa ha poi sottolineato che, a Verona, "sarà possibile fare il punto sul cammino percorso negli ultimi anni e soprattutto guardare in avanti, per affrontare insieme il compito fondamentale di mantenere sempre viva la grande tradizione cristiana che è la principale ricchezza dell'Italia". "A partire da Cristo, infatti, e soltanto a partire da Lui, - ha poi aggiunto - dalla sua vittoria sul peccato e sulla morte, è possibile rispondere al bisogno fondamentale dell'uomo, che è bisogno di Dio, non di un Dio lontano e generico ma del Dio che in Gesù Cristo si è manifestato come l'amore che salva. Ed è anche possibile proiettare una luce nuova e liberatrice sulle grandi problematiche del tempo presente".

Nel suo discorso ai Vescovi italiani, Benedetto XVI ha voluto anche toccare il tema dei rapporti tra Stato e Chiesa, affermando tra l’altro: "Desidero infine condividere con voi la sollecitudine che vi anima nei riguardi del bene dell'Italia. Come ho avuto modo di rilevare nell'Enciclica Deus caritas est (nn. 28-29), la Chiesa è ben consapevole che ‘alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio’, cioè tra lo Stato e la Chiesa, ossia l'autonomia delle realtà temporali". Secondo il Papa, "in pari tempo, e proprio in virtù della medesima missione di salvezza, la Chiesa non può venir meno al compito di purificare la ragione, mediante la proposta della propria dottrina sociale, argomentata ‘a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano’, e di risvegliare le forze morali e spirituali, aprendo la volontà alle autentiche esigenze del bene". Ha poi concluso dicendo: "Nelle circostanze attuali, richiamando il valore che hanno per la vita non solo privata ma anche pubblica alcuni fondamentali principi etici, radicati nella grande eredità cristiana dell'Europa e in particolare dell'Italia, non commettiamo dunque alcuna violazione della laicità dello Stato, ma contribuiamo piuttosto a garantire e promuovere la dignità della persona e il bene comune della società".

Soffermandosi infine, a conclusione del discorso, sul tema della laicità e il rapporto tra Stato e Chiesa, il Papa ha ricevuto un grande applauso dai vescovi, quando ha affermato che intervenendo, sul piano dei principi, nel dibattito pubblico, "non commettiamo alcuna violazione della laicità dello Stato, ma contribuiamo a garantire e promuovere la dignità della persona e il bene comune della società ".

  • Il testo integrale del Discorso di Benedetto XVI all'Assemblea della Cei (18 maggio 2006)
  • 17 maggio 2006

    Energia e dittature


    di Emanuela Melchiorre - 2 maggio 2006

    La Cina, per soddisfare il suo crescente fabbisogno energetico, conduce una politica di approvvigionamento di grandi dimensioni che sembra, però, eccedere certi parametri di riferimento come il Pil e la domanda di petrolio, essendo questi dati correlati. I paesi ai quali si rivolge sono retti prevalentemente da regimi dittatoriali e condannati internazionalmente per le loro sistematiche violazioni dei diritti umani. Sono gli stessi dati delle dogane cinesi che confermano la spiccata propensione per le dittature.

    Primi dieci fornitori di petrolio alla Cina nel 2005 e variazione % sul 2004

    Tra i primi dieci esportatori mondiali di petrolio ci sono paesi dove la democrazia è matura, come la Norvegia, il Canada e il Regno Unito. La Cina ha scelto, invece, di approvvigionarsi presso paesi notoriamente non democratici e condannati dall'opinione pubblica internazionale, come l'Angola, l'Iran, il Sudan, il Congo Brazzaville e la Guinea Equatoriale.

    La politica di approvvigionamento energetico cinese passa per diverse vie. La Cina non soltanto si rivolge direttamente al mercato, acquistando quantità crescenti di petrolio, ma, per accaparrarsi quote di produzione, attiva diversi canali. Poiché dispone di grande liquidità, Pechino sta investendo generosamente e senza troppi scrupoli nei paesi africani, eleggendo l'Africa a territorio di caccia ideale per i suoi approvvigionamenti. Ultimo in ordine di tempo è l'investimento massiccio che il Dragone ha lanciato in Nigeria. In questo paese ha stanziato quattro miliardi di dollari per la costruzione di varie infrastrutture in cambio di licenze di sfruttamento di giacimenti petroliferi. La Cina acquisterà, inoltre, la quota di controllo della grande raffineria di Kaduna, che attualmente è una struttura inefficiente e non copre ancora il fabbisogno nazionale di benzina. Inoltre, Pechino si impegnerà a costruire una centrale elettrica ed una ferrovia.

    Come contropartita di quote di produzione di petrolio, la Cina offre anche armi e «coperture diplomatiche» a diversi paesi, primo fra tutti il Sudan, che è una delle nuove frontiere dell'oro nero, retta da un regime che si macchia di uno dei più gravi crimini contro l'umanità, quello del Darfur. La produzione sudanese ammonta a 500 mila barili al giorno. Grazie al finanziamento cinese, che dal 1990 ha raggiunto la cifra di otto miliardi di dollari, la produzione cresce a ritmi sostenuti, tanto da arrivare a 650 mila barili al giorno. Il 70% delle esportazioni sudanesi sono dirette in Cina, rendendo il paese una sorta di monopsonio energetico, cioè un monopolista dal lato della domanda. In cambio di petrolio, Khartoum chiede discrezione diplomatica, infrastrutture e armamenti. Da tempo la Cina è accusata, infatti, di vendere elicotteri militari, mine e armi leggere, seguendo la cinica logica del «business is business».

    Il dossier nucleare iraniano si è trascinato per anni grazie anche alle pressioni e le minacce di veto della Cina e della Russia. Infatti l'Iran, terzo fornitore di petrolio della Cina, costituisce una grande opportunità per Pechino, per la sua posizione geografica e per l'assenza di concorrenza delle compagnie americane dovuta alle sanzioni Usa, e può ottenere quote di produzione in cambio di sostegno diplomatico. Inoltre sono stati siglati intese e contratti miliardari per la fornitura di gas naturale.

    L'Angola è da oltre un anno il secondo fornitore di petrolio cinese. Pechino ha concesso un prestito a tasso agevolato di 2,5 miliardi di dollari in cambio di petrolio e garantisce una certa «discrezione» a livello diplomatico. Infatti l'Angola mal tollera le richieste di maggiore trasparenza mosse dal Fondo Monetario Internazionale.

    Non stupisce, infine, che in cima alla classifica delle nazioni che approvvigionano la Cina ci sia anche l'Arabia Saudita, che, sebbene sia per alcuni versi filoccidentale, è comunque ascrivibile tra le petrodittature dei nostri tempi.

    Emanuela Melchiorre

    Vescovi contro Bertinotti: ''Oscura la famiglia''


    Risposta immediata della Cei alle critiche rivolte ieri dal Presidente della Camera a Benedetto XVI: ''Non puo' pretendere di dare lezioni al Papa''

    Nella foto il presidente della Camera, Fausto BertinottiCittà del Vaticano, 17 mag. - (Adnkronos) - Arriva subito la dura risposta della Chiesa alle parole di critica rivolte al Papa in merito ala questione delle unioni civili pronunciate ieri dal Presidente della Camera Fausto Bertinotti. Il Sir, il Servizio d'informazione religiosa promossa dalla Cei, ha infatti pubblicato oggi una nota relativa alla vicenda.

    A finire sotto accusa sono le parole pronunciate da Bertinotti durante la trasmissione 'Porta a Porta'. ''Il Papa sbaglia a condannare le unioni di fatto. La sua è una presa di posizione restauratrice'' ha detto la terza carica dello Stato. ''Non vede - ha spiegato Bertinotti - che le unioni di fatto sono un arricchimento di quei valori che il Papa teme che la modernizzazione possa distruggere. Valori ai quali Benedetto XVI, invece, dovrebbe essere attento. Il Papa è preoccupato non per la famiglia ma per la modernizzazione che investe il mondo perché teme che possa aggredire le radici profonde di questa civiltà''.

    L'atteggiamento dell'ex segretario di Rifondazione comunista non è piaciuto alla Cei che lo ha paragonato in negativo a quello più equilibrato e disposto al dialogo con la Chiesa del Presidente Giorgio Napolitano. ''Proprio all'indomani dell'equilibrato messaggio di insediamento del presidente della Repubblica ecco le dichiarazioni del presidente della Camera - si legge nel testo diffuso dalla Sir- Colpisce, in un esponente di punta della sinistra, approdato a un alto incarico istituzionale, il fatto che piuttosto che usare la tribuna televisiva per dire 'qualcosa di sinistra', come forse si attendono i suoi elettori, nel Parlamento e nel Paese, finisca con l'oscurare proprio la famiglia, che in Italia, come ha sottolineato con forza lo stesso Napolitano, è una delle istituzioni più care, anche al popolo di sinistra''. Quindi si afferma che è proprio la famiglia a occuparsi ''di quei temi (giustizia, eguaglianza, educazione, assistenza, futuro, cura dei deboli, lavoro, casa) che tradizionalmente da sempre sono nelle corde della sinistra''.

    Poi l'affondo contro la visione di Bertinotti sulla famiglia tradizionale: ''Troppo antiquata la famiglia tradizionale - si legge nel testo - secondo Bertinotti: bisogna modernizzare ed introdurre altre forme di unione. E qui forse sta il punto: anche la sinistra più pura la sacrifica alla 'modernizzazione', alle ideologie radicali dei secoli scorsi, pretendendo di dare lezioni al Papa''.

    ''L'ideologia della modernizzazione - prosegue il Sir - come le altre in particolare del XX secolo è schermo fallace. Proprio guardando al futuro, alla modernità pienamente umanizzata, risalta al contrario il coerente appello di Benedetto XVI, che tantissimi non cattolici e non cristiani seguono ed apprezzano, a favore della famiglia, da tutelare e valorizzare nella sua unicita' ed identita' istituzionale''.

    Infine ancora una volta l'agenzia dei vescovi mette in discussione ''i tentativi di dare un improprio e non necessario riconoscimento giuridico a forme di unione che sono radicalmente diverse dalla famiglia, oscurano il suo ruolo sociale e contribuiscono a destabilizzarla, con gravissimi costi sociali, oggi e in prospettiva futura. Un futuro da costruire non con le lenti dell'ideologia, ma con la speranza e la concretezza della vita realmente vissuta''.

    Il grande silenzio sulla Rivoluzione Culturale


    di Bernardo Cervellera

    Il governo ha decretato un blackout totale sull’evento più doloroso e disastroso della storia del Partito comunista cinese. La paura di affrontare la storia e i rischi di ripeterla.


    Roma (AsiaNews) – Silenzio totale in Cina per il 40mo anniversario della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, iniziata il 16 maggio 1966. Il governo ha decretato che i cosiddetti “10 anni di grande caos” che hanno segnato la vita di 200 milioni di persone e il Paese con morti, distruzioni, lager, lotte interne al Partito comunista, non vengano ricordati né in speciali celebrazioni, né con articoli sui giornali. Accademici e studiosi sono stati “persuasi” a non tenere nemmeno incontri privati o discussioni sul tema, né tanto meno a partecipare a seminari e celebrazioni all’estero sull’argomento.

    Il timore della leadership è che attività o commemorazioni possano riaprire “vecchie ferite” provocate da uno dei periodi più bui nella storia del Partito comunista cinese, quando Mao Zedong, venerato come un dio dalle “Guardie Rosse”, ha scagliato i giovani del Partito contro gli anziani: ufficialmente per una campagna contro la “cultura feudale e borghese”; in pratica per distruggere i suoi nemici, raccolti attorno al presidente Liu Shaoqi. Per circa 10 anni il fervore rivoluzionario maoista si è scagliato contro i tentativi dei moderati di ridurre il potere del “Grande timoniere” e aprire a piccole riforme economiche e liberali.

    La furia rivoluzionaria iconoclasta ha distrutto università, biblioteche, gallerie d’arte; trascinato nella polvere e nell’umiliazione professori e scienziati. Personalità considerate “borghesi”, “feudali” e “oscurantisti religiosi” sono stati processati in modo sommario, irrisi dalla popolazione, torturati, uccisi, gettati nei campi di rieducazione. Chiese, templi, monasteri, libri e opere d’arte religiose sono stati distrutti o riutilizzati “per la rivoluzione”. Economia, cultura, educazione, moralità, la stessa coesione della nazione sono arrivati sull’orlo del collasso. Gli studiosi calcolano che il danno economico della Rivoluzione Culturale è pari agli investimenti totali in Cina fra il ’49 e il ’78: oltre 500 miliardi di yuan. Un danno ancora maggiore è quello alle persone. Sebbene il governo non abbia mai pubblicato cifre ufficiali, vari studiosi cinesi affermano che in quel periodo gli uccisi furono da 2 a 20 milioni; ma almeno 200 milioni – su una popolazione complessiva di 600 milioni all’epoca – sono quelli in qualche modo feriti dall’uragano ideologico.

    Lo sviluppo economico attuale e le aperture verso il mondo esterno devono molto alla Rivoluzione culturale: esse sono nate dal tentativo di cancellare i risultati del Grande Caos e voltare pagina nella storia della Cina. Nell’81, all’inizio delle aperture economiche, il Partito è riuscito a dare la colpa di quanto successo alla Banda dei quattro (la moglie di Mao, Jiang Qing, e altri 3 estremisti) e a “gravi errori” di Mao. Ma sebbene in Cina Mao è per molti sinonimo di “mostro”, il suo enorme ritratto campeggia ancora sulla piazza Tiananmen.

    Il punto è che il Pcc da una parte si dichiara innocente per la Rivoluzione Culturale, dall’altra non osa – come proposto da diversi studiosi cinesi - cancellare la faccia di Mao dalle banconote, togliere il suo ritratto dalla piazza, trasferire altrove il mausoleo che conserva il cadavere imbalsamato del Grande timoniere.

    Non permettendo a nessuno di pubblicare studi sulla Rivoluzione Culturale, il governo diviene connivente con la mitizzazione di Mao il cui culto si è diffuso fra i giovani e i poveri. Anzi, molti membri del Partito idealizzano il periodo maoista come egualitario e pieno di giustizia, criticando la situazione attuale fatta di forte sviluppo economico, ma anche di profonda corruzione e di abissali differenze fra ricchi e poveri.

    La leadership attuale ha paura che ricordare la Rivoluzione Culturale potenzi i gruppi estremisti (neo-maoisti?) del Partito, criticando le attuali riforme economiche. Da qui la decisione di tacere e di mettere a silenzio ogni studio sulla storia del Partito. Per essere sicuri di mantenere la stabilità politica, Hu Jintao ha decretato da mesi un controllo ideologico più forte sui media e sulle università, arrestando giornalisti e studiosi critici della linea del governo. Così, senza studiare la storia, Hu si è condannato a ripeterla.

    Governo Prodi, dieci anni dopo

    “Tutto a posto”. Così Prodi si è rivolto ai giornalisti che lo attendevano a piazza Santi Apostoli, sede dell’Unione, mentre a piedi si recava al Quirinale per sciogliere la riserva e presentare al capo dello Stato, Napolitano, la lista dei ministri. E così poco dopo le dodici del 17 maggio è nato il secondo governo Prodi che si è insediato esattamente a 10 anni di distanza dal primo, “ma oggi non è venerdì...” aveva chiosato il presidente del Consiglio incaricato, scherzando sulla data.

    GOVERNO IN PILLOLE. Sei ministri donna ma solo una, Livia Turco, in un dicastero che conta, le altre tutte senza portafoglio. Due vicepremier: Massimo D'Alema, che ha anche la delega agli Esteri, e Francesco Rutelli (Beni Culturali), che assicureranno il sostegno dei due partiti maggiori della coalizione, Ds e Margherita. E, per il resto, tutto - o quasi - come previsto: nove incarichi alla Quercia, sette alla Margherita (due a prodiani), uno rispettivamente a Udeur, Rosa nel pugno, Prc, Verdi, Italia dei valori e Pdci. E infine, tre personalità di alto profilo, che possono essere considerate in "quota Prodi": Tommaso Padoa Schioppa all'Economia, Giuliano Amato agli Interni, Paolo De Castro alle Politiche agricole. Tutti i partiti dell’Unione hanno almeno un rappresentante. Scongiurato il rischio “appoggio esterno” brandito, nelle trattative, da Clemente Mastella e Oliviero Di liberto.


    La lista
    PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: Romano Prodi.

    VICEPRESIDENTI DEL CONSIGLIO: Massimo D'Alema e Francesco Rutelli.

    MINISTRI SENZA PORTAFOGLIO: Vannino Chiti (Rapporti parlamento e riforme), Luigi Nicolais (Funzione pubblica e innovazione), Linda Lanzillotta (affari regionali), Emma Bonino (politiche comunitarie), Giulio Santagata (attuazione del programma), Barbara Pollastrini (pari opportunità), Giovanna Meandri (politiche giovanili e sport) e Rosy Bindi (famiglia).

    MINISTRI CON PORTAFOGLIO: Affari Esteri: Massimo D'Alema. Beni Culturali e Turismo: Francesco Rutelli. Interno: Giuliano Amato. Giustizia: Clemente Mastella. Difesa: Arturo Parisi. Economia e Finanze: Tommaso Padoa Schioppa. Sviluppo Economico: Pierluigi Bersani. Infrastrutture: Antonio Di Pietro. Politiche Agricole e Forestali: Paolo De Castro. Istruzione: Beppe Fioroni. Salute: Livia Turco. Comunicazioni: Paolo Gentiloni. Università e Ricerca: Fabio Mussi. Lavoro: Cesare Damiano. Solidarietà Sociale: Paolo Ferrero. Ambiente e Tutela del Territorio: Alfonso Pecoraro Scanio. Trasporti: Alessandro Bianchi.

    GEOGRAFIA DEL GOVERNO. Per quanto riguarda la rappresentanza geografica, il governo Prodi ha un solo ministro lombardo (Barbara Pollastrini) e uno veneto (Tommaso Padoa Schioppa). Nessun ministro siciliano. Lazio e Piemonte fanno la parte del leone: sei ministri il Lazio (D'Alema, Rutelli, Gentiloni, Fioroni, Bianchi, Melandri) e cinque il Piemonte (Bonino, Ferrero, Damiano, Amato e Turco); la Campania ha quattro ministri (Mastella, Pecoraro, Nicolais); l'Emilia Romagna tre (Prodi, Bersani, Santagata); la Toscana tre (Chiti, Bindi, Mussi); ; il Molise uno (Di Pietro); la Calabria uno (Lanzillotta); ; la Puglia uno (De Castro) e la Sardegna uno (Parisi).

    Cannes: niente applausi e qualche fischio per il filmetto di R.Howard


    CANNES - E' stato accolto nel silenzio, con qualche fischio, "l'opera di fantasia" di Ron Howard. Ieri all'anteprima per la stampa gelo in una sala strapiena per l'atteso film ispirato al celebre libro di Dan Brown. Nessun applauso alla fine della lunga proiezione.

    Il tanto atteso e criticato film di Ron Howard, tratto dall'omonimo romanzo di Dan Brown, ha subito la prima battuta d'arresto.

    Il critico Todd McCarty, tra i fortunati ad aver visto il film prima dell'apertura ufficiale prevista per questa sera, e redattore di Variety, si scaglia contro "Il Codice Da Vinci", defininendolo fiacco e noioso, pesante e sinistro.

    Addirittura la pellicola sarebbe stata accompagnata, durante la proiezione riservata ai critici, da numerose risate nei momenti cruciali: "Il regista Ron Howard e lo sceneggiatore Akiva Goldsman hanno cospirato per togliere ogni divertimento dal melodramma, lasciando l'audience con un film verboso che non è proprio fiacco, ma ci arriva più vicino di quanto ci si potrebbe aspettare da un materiale cosi' provocante" - ha aggiunto McCarty.

    Anche l'esperto di cinema del Boston Globe, Peter Brunette, ha stroncato la pellicola: "Tom Hanks sembrava uno zombie" - ha dichiarato.

    La rivelazione chiave, del romanzo come del film, ovvero la discendenza a cui avrebbero dato vita Gesù e Maria Maddalena perpetuata fino a oggi, è affidata alla frase pronunciata da Hanks: "Tu sei l'ultima discendente di Gesù Cristo". Con un'interpretazione non proprio convincente, a giudicare dall' ilarità con cui è stata accolta dagli oltre deumila giornalisti presenti alla proiezione nella sala Debussy del palazzo dei festival.
    Dei tanti giornalisti presenti mi è sembrata molto azzeccata la magistrale recensione del bravissimo Fausto Carioti

    16 maggio 2006

    Quando le "opere di fantasia" erano capolavori

    In prima visione TV il 19 Maggio 1978 su RAI DUE




    La Storia: Ci troviamo nella nebulosa di Vega, raggruppamento di corpi celesti lontano anni luce dal nostro sistema solare. Qui esiste una piccola stella di nome Fleed, dove vive una civiltà dalla tecnologia straordinariamente avanzata i cui principi sono fondati sulla giustizia e la pace. Poco distante da quest’ultima esiste invece un pianeta che ne rappresenta la sua diretta antitesi: Vega. Il suo sovrano è uno spietato tiranno accecato da sanguinosi ideali di conquista, che ambendo al controllo dell’intera nebulosa, invade Fleed con il suo esercito, massacrando senza pietà l’intera popolazione. L’unico superstite è il Principe Duke Fleed, il quale, salito a bordo del Goldrake, la sola arma del pianeta, fugge a gran velocità: un interminabile viaggio che per un gioco del destino lo condurrà sulla Terra, sulla cui superficie, ormai stremato, effettuerà un atterraggio di fortuna.Viene trovato gravemente ferito e privo di sensi dal Dottor Procton, il quale si occupa di medicarlo e di nascondere il suo veivolo in una caverna situata presso il Centro di Ricerche Spaziali, edificio dedito alla scoperta di nuove forme di vita nella galassia, da lui stesso diretto. Il dottore, ascoltando attonito l’incredibile storia del misterioso ragazzo piovuto dal cielo, decide di prendersi cura di lui come fosse suo figlio. Il tempo passa ed Actarus, questo è ora il suo nome da terrestre, trascorre una vita serena lavorando nella fattoria “La Betulla Bianca”, dove ha modo di conoscere diversi amici, tra cui Koji Kabuto (Alcor nella serie), il pilota del Mazinga Z giunto al Centro di Ricerche come esperto in ufologia. Nel frattempo la stella di Vega sta lentamente morendo, così il suo imperatore, intravedendo nella Terra una possibilità di rinascita del proprio regno, ordina ai suoi uomini di installare una base segreta come punto di osservazione sulla Luna. E’ l’alba di un nuovo incubo di morte e distruzione, al quale solo il Goldrake potrà opporsi..

    La Famiglia? La affido alla Madonna


    \\ Palazzo Apostolico : Articolo
    Di Paolo Luigi Rodari (del 15/05/2006 @ 09:53:42, in Il Tempo)
    Il Papa è tornato a parlare delle apparizioni di Fatima e della profezia detta dalla «Bianca Signora» ai pastorelli: «Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà». Lo ha fatto ieri mattina, durante la preghiera del Regina Coeli in piazza San Pietro, a un giorno dall’anniversario dell’inizio delle apparizioni - 13 maggio 1917 - e a 25 anni - 13 maggio 1981 - dall’attentato a Papa Wojtyla in cui «il Servo di Dio Giovanni Paolo II sentì di essere stato miracolosamente salvato dalla morte per l’intervento di una mano materna, come egli stesso ebbe a dire, e l’intero suo pontificato - ha continuato Ratzinger - è stato segnato da ciò che la Vergine aveva preannunciato a Fatima». Proprio ieri la statua della Madonna di Fatima era stata accolta in pazza San Pietro, fra decine di migliaia di fedeli e una lapide era stata scoperta nella piazza, nel punto preciso dove si attentò alla vita del Pontefice polacco. Benedetto XVI ha ricordato che il messaggio che la Vergine ha affidato a Fatima ai tre bambini, Francesco, Giacinta e Lucia «in continuità con quello di Lourdes, era un forte richiamo alla preghiera e alla conversione; messaggio davvero profetico considerando il secolo XX funestato da inaudite distruzioni, causate da guerre e da regimi totalitari, nonché da estese persecuzioni contro la Chiesa». La promessa di Maria, sul trionfo del suo cuore immacolato, è di conforto anche «se non sono mancate preoccupazioni e sofferenze, se ancora permangono motivi di apprensione per il futuro dell’umanità». Papa Ratzinger ha invitato tutti a invocare «Maria Santissima ringraziandola per la sua costante intercessione». Benedetto XVI ha anche chiesto alla Madonna di vegliare specialmente sui bambini e - nel giorno della loro festa - su tutte le mamme e le loro famiglie. E proprio ai bambini era riservata una parte delle parole del Papa prima del Regina Coeli. Spigando che in queste settimane molte parrocchie celebrano la prima comunione dei bambini, Benedetto XVI ha detto: «A tutti i ragazzi che in queste settimane si incontrano per la prima volta con Gesù Eucaristia desidero rivolgere un saluto speciale, augurando loro di diventare tralci della Vite che è Gesù e di crescere come suoi veri discepoli». Citando la parabola della vite e dei tralci - proclamata nel vangelo della messa di oggi - il Pontefice ha sottolineato che «la vita cristiana è mistero di comunione con Gesù… Il segreto della fecondità spirituale è l’unione con Dio, unione che si realizza soprattutto nell’eucaristia, giustamente chiamata anche “comunione”». «Una via sicura per mantenersi uniti a Cristo - ha precisato Benedetto XVI - è ricorrere all’intercessione di Maria».


    © Il Tempo 15 maggio 2006

    Il Codice da Perdi


    il fascino della verità è più forte di quello dell'illusione

    CITTÀ DEL VATICANO. Non poteva mancare, nella prolusione del cardinale Ruini, il protagonista delle polemiche di questi giorni: Dan Brown, con il suo «Codice da Vinci». Il presidente della Cei gli ha riservato una lunga parentesi. Il porporato non si è unito a quanti vedono nelle invenzioni, ambiguamente fatte passare per verità storiche, un attacco diretto ideologicamente al cristianesimo, e in particolare alla Chiesa cattolica.

    Ma ha voluto leggere in termini di opportunità lo scandalo: «Le mode editoriali e cinematografiche, oggi in particolare quella riguardante il cosiddetto Codice da Vinci, mostrano a loro volta la necessità e offrono l'occasione di un'opera capillare di catechesi, e prima ancora di informazione storica». La Chiesa deve utilizzare queste discussioni per fare chiarezza, «usufruendo anche delle attuali tecniche e metodologie di comunicazione», per aiutare la gente comune, i non specialisti, cioè quelli che non sono in grado di difendersi culturalmente, «a distinguere con chiarezza i dati certi delle origini e dello sviluppo storico del cristianesimo dalle fantasie e dalle falsificazioni, che hanno primariamente uno scopo commerciale».

    Il motivo centrale è quello - riuscito - di fare soldi; ma come effetto collaterale, ha rilevato il presidente della Conferenza Episcopale, queste falsificazioni «costituiscono anche una radicale e del tutto infondata contestazione del cuore stesso della nostra fede, a cominciare dalla croce del Signore». Non è un fenomeno nuovo, e infatti «certamente, già il Nuovo Testamento conosce la tendenza ad andare dietro alle favole, piuttosto che dare ascolto alla testimonianza della verità, ma è difficile sottrarsi alla sensazione che il grande successo di lavori come “Il Codice da Vinci” abbia a che fare con quell'odio, o quel venir meno dell'amore per se stessa che, come osservava l'allora Cardinale Ratzinger si è insinuato nella nostra civiltà».

    Era l’attuale pontefice, Benedetto XVI che scriveva: «Nella nostra società attuale grazie a Dio viene multato chi disonora la fede di Israele, la sua immagine di Dio, le sue grandi figure. Viene multato anche chiunque vilipendia il Corano e le convinzioni di fondo dell'Islam. Laddove invece si tratta di Cristo e di ciò che è sacro per i cristiani, ecco che allora la libertà di opinione appare come il bene supremo, limitare il quale sarebbe un minacciare o addirittura distruggere la tolleranza e la libertà in generale». Ruini ha concluso la parentesi invitando a «non cedere al pessimismo: alla fine il fascino della verità è più forte di quello dell'illusione, e di verità la nostra gente oggi ha una grande sete».

    Quei principi non negoziabili

    Il presidente della Cei, in apertura della 56esima assemblea generale dei vescovi italiani, invita i Poli ad una ''dialettica costruttiva e rispettosa sui problemi del Paese e sul referendum''
    Nella foto il cardinal Ruini (Infophoto)Roma, 15 mag. (Adnkronos/Ign) - I temi della famiglia, della vita, del ruolo della Chiesa ma anche l'economia, la politica - con un appello al dialogo tra i Poli - e le questioni di stringente attualità come la polemica legata al best-seller di Dan Brown 'Il Codice da Vinci'. E' un intervento a 360 gradi quello del presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini, in apertura dei lavori della 56esima assemblea generale dei vescovi italiani.



    E anche se spesso l'impegno della Chiesa in difesa di determinati valori etici ''è mal tollerato e visto come una debita intromissione nella libera coscienza delle persone e nelle autonome leggi dello Stato'', essa non può per questo ''tacere o sfumare'' le proprie posizioni, in particolare rispetto a quelli che ''il Papa ha denominato principi non negoziabili''.

    Ancora un 'no' fermo, poi, ''ai tentativi di dare un improprio e non necessario riconoscimento giuridico a forme di unione che sono radicalmente diverse dalla famiglia, oscurano il suo ruolo sociale e contribuiscono a destabilizzarla''.

    Ruini chiede inoltre, data la grave crisi demografica del nostro Paese che mette a rischio la successione delle generazioni, che la famiglia diventi la vera priorità nazionale. Su tale questione, ha spiegato il cardinale, ''occorre concentrare, al di là delle divisioni politiche ed ideologiche, uno sforzo comune, ciascuno secondo le responsabilità che gli sono proprie''.

    Il presidente della Cei ha poi schierato la Conferenza episcopale italiana a fianco di quelle spagnola e polacca nell'opposizione alla risoluzione del 18 gennaio del Parlamento di Stasburgo relativa all'omofobia. Tale risoluzione se da una parte, ha detto, ''respinge giustamente gli atteggiamenti di discriminazione, disprezzo e violenza verso le persone con tendenze omosessuali'', su un altro versante ''sollecita anche un'equiparazione dei diritti delle coppie omosessuali con quelli delle famiglie legittime, chiedendo ai Paesi membri - sia pure in maniera non vincolante, una revisione delle rispettive legislazioni nazionali''.

    Nel contesto dell'impegno della Chiesa in difesa della vita umana dal suo concepimento alla morte naturale si colloca anche ''il rifiuto dell'aborto, delitto abominevole, la cui gravità si va purtroppo oscurando nelle coscienze di molti ma che rimane un atto intrinsecamente illecito che nessuna circostanza, finalità o legge umana potrà mai giustificare''. Allo stesso modo la Chiesa, ha detto, oppone il suo rifiuto all'eutanasia e ''all'utilizzo di embrioni umani''.

    Quindi il presidente della Cei ha augurato al nuovo Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ''di poter essere, come il suo predecessore, punto di riferimento e fattore di unità sicuro e comunemente apprezzato, nel solco - come ha scritto il Papa nel suo telegramma - degli autentici valori umani e cristiani che costituiscono il mirabile patrimonio del popolo italiano''.

    Non mancano riferimenti alla situazione politica italiana con un invito al dialogo fra centrosinistra e centrodestra per affrontare i problemi del Paese e anche il confronto sul prossimo referendum sulla riforma costituzionale. Ruini ha rilevato come il governo che si formerà avrà in uno dei due rami del Parlamento ''una maggioranza assai ristretta''. ''In questa situazione - ha proseguito il cardinale - diventa ancor più importante e indispensabile, per il superiore interesse del Paese, che entrambi gli schieramenti politici, ciascuno nel proprio ruolo e tenendo conto della misura del consenso ricevuto, non si arrestino nelle contrapposizioni, ma cerchino piuttosto di dar vita a una dialettica costruttiva e davvero reciprocamente rispettosa''.

    Il presidente della Cei è tornato poi a chiedere la ''parità effettiva'' per le scuole cattoliche.

    Quindi un'analisi dell'economia italiana che sta finalmente dando ''segni di ripresa''. ''Le capacità produttive e la cosiddetta competitività del 'sistema-Italia - ha spiegato Ruini - e quindi l'incremento dell'occupazione, devono fare i conti, oltre che con il condizionamento che eserciterà per molto tempo la situazione complessiva della finanza pubblica, con alcuni ben noti problemi, con questioni come quella delle risorse energetiche - per le quali purtroppo l'Italia si trova in condizioni di massima dipendenza - delle infrastrutture, del degrado di vaste aree territoriali, che ci è stato ancora una volta tristemente ricordato da una frana che ha distrutto una famiglia ad Ischia il 30 aprile''. ''Riguardo a questi problemi deve maturare seriamente e diffondersi con rapidità nelle nostre popolazioni una consapevolezza che finora sembra mancare, insieme ad un'operosa assunzione di responsabilità da parte delle autorità politiche e amministrative''.

    Il porporato ha sottolineato la necessità che la nuova legislatura presti grande attenzione allo sviluppo del Meridione, anche in questo campo, ha aggiunto, occorre uno sforzo ''condiviso'', proprio ''perché nel Meridione si ritrova buona parte delle possibilità di un futuro più dinamico del nostro Paese''.

    Ruini ha toccato nel corso della prolusione, anche il tema delle persecuzioni religiose; il cardinale ha preso spunto dalla vicenda il don Andrea Santoro, il sacerdote della diocesi di Roma assassinato a Trebisonda in Turchia il 5 febbraio scorso. In varie parti del mondo, ha detto il cardinale, i ''i cristiani pagano con la vita, oltre che con molteplici vessazioni, il prezzo della loro fede''; oppure ''la Chiesa è comunque impedita di esercitare liberamente la propria missione'' e ''in questi ultimi tempi il nostro pensiero va in particolare alla situazione della Cina''. ''Né - ha aggiunto Ruini - possiamo dimenticare coloro ai quali è proibito, perfino con la minaccia della morte, di farsi cristiani''. Di fronte a queste persecuzioni c'è bisogno di ''una precisa assunzione di responsabilità'' anche da parte di ''Stati e organismo internazionali che pongono a proprio fondamento il riconoscimento dei diritti umani''.

    Mentre ''in Iraq e in Afghanistan, nonostante i significativi passi compiuti per realizzare legittimi assetti istituzionali, la situazione concreta si è ulteriormente complicata e aggravata e le forze italiane hanno dovuto pagare un nuovo e pesante contributo di sangue''. Il cardinale ha quindi ricordato i nomi dei militari italiani caduti a Nassiriya il 27 aprile: Nicola Ciardelli, Carlo De Trizio, Franco Lattanzio e Enrico Frassinito oltre al soldato rumeno. E i due alpini caduti a Kabul, Manuel Fiorito e Luca Polsinelli.

    14 maggio 2006

    PRIMA FESTA DELLA MAMMA



    INSOSTITUIBILE MAMMA

    Zap: "E se ti do due fustoni al posto della mamma?"

    Pechenito: "No ueeeee mammma!!"

    Zap: "Risposta sbagliata, ti prendi i due fustoni e zitto!!!"

    Pechenito: "No ueeeee mammma ueeeeeee mamma ueeeeeee ueeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!"

    Mamma:"Pechinito non piangere la mamma è qui, nessuno ti farà del male, era solo un brutto incubo"

    Un attacco al matrimonio, alla famiglia e alla libertà di coscienza

    sabato, 13 maggio 2006 ¦ Permalink
    Nota della Conferenza Episcopale Spagnola contro una risoluzione del Parlamento Europeo.
    Dura condanna della Conferenze Episcopale Spagnola di una risoluzione del Parlamento Europeo sulla omofobia (un termine inventato dalle lobbies gay in modo da non poter criticare i matrimoni omosessuali) in cui si equiparano le unioni omosessuali al matrimonio. La risoluzione è definita dai Vescovi come un serio pericolo per la vita matrimoniale e familiare e un attacco alla libertà di coscienza.
    Il Parlamento Europeo approvava il passato mese di gennaio un documento non vincolante nel quale si chiedeva ai paesi della Unione Europea l'equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio con minaccia di sanzioni. Il testo è stato proposto dai socialisti europei (condiviso da quasi tutto il centrosinistra italiano).
    Le alte sfere d'Europa si sono convertite in una autorità morale determinando quello che deve o non deve essere giusto, e castigheranno tutti quelli che non intendono il matrimonio come la unione tra due uomini o due donne e che anzi sono così arretrati da considerare che il vero matrimonio è formato da un uomo e una donna e il luogo più appropriato per la generazione e l'educazione dei figli.
    I Vescovi della Spagna si uniscono così agli episcopati di altri Paesi europei e a molte persone che hanno protestato contro la risoluzione del 18 gennaio scorso del Parlamento Europeo sull'omofobia in Europa (cfr., ZENIT, 5 febbraio 2006; ZENIT, 17 gennaio 2006), la quale attenta al corretto funzionamento della stessa Unione europea e va contro la libertà di coscienza dei suoi cittadini.
    La risoluzione (non vincolante) con cui si fa pressione sui governi europei lancia in maniera indiretta l'idea che le unioni omosessuali siano uguali al matrimonio. I Vescovi sottolineano che in questa maniera si falsifica la verità fondata nella natura dell'uomo, che è creato uomo e donna" e "rappresenta un serio pericolo per la vita matrimoniale e familiare e per tutto l'ordine della vita sociale in Europa".
    Attualmente, l'Unione Europea non ha una legge che obbliga a compiere le norme raccomandate dalla Commissione, ma se si approva l'attuale progetto di Costituzione Europea risoluzioni come questa obbligherebbero tutti gli Stati come dei nuovi diritti umani.
    I Vescovi della Spagna affermano che la pressione morale che viene esercitata con questa risoluzione va anche contro il principio di sussidiarietà perchè "pretende imporre ai cittadini della Unione una concezione della verità antropologica contraria ai valori e ai principi della nostra civiltà". Inoltre, la proposta di utilizzare metodi educativi contro l'omofobia, per l'episcopato "porta con sè il grave pericolo di introdurre questa deformazione della verità nei bambini e nei ragazzi, incidendo così negativamente nell'ambito delle coscienze".
    Sotto una nostra traduzione della Nota della CEE (Conferenza Episcopale Spagnola).
    "Su una risoluzione del Parlamento Europeo relativa alla omofobia" (Nota del Comitato Esecutivo della CEE)
    Il Parlamento Europeo ha approvato il 18 gennaio di quest'anno la risoluzione P6-TA (2006) 0018, "sull'omofobia in Europa", che condanna la denominata "omofobia", rigettando giustamente le attitudini di discriminazioni, disprezzo e violenza verso le persone di tendenze omosessuali. Ma nello stesso tempo, con questo motivo, fa un appello ai Governi dei paesi membri della Unione Europea perchè rivedano le legislazioni sulle coppie dello stesso sesso.
    Questa risoluzione, sotto il pretesto di evitare la discriminazione delle persone omosessuali, lancia indirettamente l'idea che si debbano trattare alla stessa maniera le unioni tra uomo e donna e le unioni delle persone omosessuali. Con questo si falsifica la verità fondata nella natura dell'uomo, che è creato uomo e donna. In conseguenza, la risoluzione approvata rappresenta un serio pericolo per la vita matrimoniale e familiare e per tutto l'ordine della vita sociale in Europa.
    Sebbene questa risoluzione non obbliga gli Stati membri, può rappresentare una pressione morale sugli stessi. Dimenticando il principio di sussidiarietà, che dovrebbe essere la norma nel corretto funzionamento delle Istituzioni della Unione Europea, pretende imporre ai cittadini della Unione una concezione della verità antropologica contraria ai valori e ai principi della nostra civiltà. La proposta di utilizzare metodi educativi contro l'"omofobia" porta con sè il grave pericolo di introdurre questa deformazione della verità nei bambini e nei giovani, incidendo così negativamente nell'ambito delle coscienze.
    La Conferenze Episcopale Spagnola si è pronunciata davanti le gravissime disposizioni legali adottate nel nostro paese, che suppongono una ridefinizione del matrimonio e svuotano questa istituzione del suo contenuto più elementare.
    Ci uniamo alle altre Conferenze Episcopali d'Europa e a molte persone che già hanno espresso la loro protesta contro questa risoluzione, che è un attentato al corretto funzionamento della Unione Europea e alla stessa coscienza dei cittadini. Nello stesso tempo, ci appelliamo al Parlamento Europeo perchè in futuro eviti azioni che pongono in pericolo la libertà di coscienza nell'Unione Europea.
    Link: Sobre una resolución del Parlamento Europeo relativa a la "homofobia", Comitè Ejecutivo CEE, Madrid, 11 de mayo de 2006


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    scritto da stranocristiano

    11 maggio 2006

    Buon Onomastico papà

    Matrimonio comunione di vita e di amore


    "La differenza sessuale che connota il corpo dell'uomo e della donna - ha detto il Papa nell'udienza ai partecipanti a un congresso internazionale del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia - non è dunque un semplice dato biologico, ma riveste un significato ben più profondo: esprime quella forma dell'amore con cui l'uomo e la donna, diventando una sola carne, possono realizzare un'autentica comunione di persone aperta alla trasmissione della vita e cooperano così con Dio alla generazione di nuovi esseri umani".

    Richiamando l'insegnamento di Giovanni Paolo II sull'amore, Benedetto XVI ha anche invitato a "superare una concezione privatistica dell'amore, oggi tanto diffusa". "La comunione di vita e di amore che è il matrimonio - ha detto - si configura come un autentico bene per la società. Evitare la confusione con altri tipi di unione basate su un amore debole - ha proseguito - si presenta oggi come una speciale urgenza; solo la roccia dell'amore totale e irrevocabile tra uomo e donna è capace di fondare la costruzione di una società che diventi casa per tutti gli uomini".

    'NAPOLITANO POSSA PROMUOVERE VALORI CRISTIANI'
    Il Papa in un telegramma inviato al neo presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rivolge "deferenti espressioni augurali per l'elezione", auspicando "che possa esercitare con ogni buon esito il suo alto compito". Benedetto XVI invoca anche "la costante assistenza divina" sul Capo dello Stato "per una illuminata ed efficace azione di promozione del bene comune nel solco degli autentici valori umani e cristiani che costituiscono il mirabile patrimonio del popolo italiano".
    "La differenza sessuale che connota il corpo dell'uomo e della donna - ha detto il Papa nell'udienza ai partecipanti a un congresso internazionale del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia - non è dunque un semplice dato biologico, ma riveste un significato ben più profondo: esprime quella forma dell'amore con cui l'uomo e la donna, diventando una sola carne, possono realizzare un'autentica comunione di persone aperta alla trasmissione della vita e cooperano così con Dio alla generazione di nuovi esseri umani".

    Richiamando l'insegnamento di Giovanni Paolo II sull'amore, Benedetto XVI ha anche invitato a "superare una concezione privatistica dell'amore, oggi tanto diffusa". "La comunione di vita e di amore che è il matrimonio - ha detto - si configura come un autentico bene per la società. Evitare la confusione con altri tipi di unione basate su un amore debole - ha proseguito - si presenta oggi come una speciale urgenza; solo la roccia dell'amore totale e irrevocabile tra uomo e donna è capace di fondare la costruzione di una società che diventi casa per tutti gli uomini".

    postato da: fabiotar alle ore maggio 11, 2006 14:14 | link |

    Il nuovo Consiglio Onu per i diritti umani: “un organismo inutile”


    La presenza di Cina, Arabia Saudita, Pakistan, Russia nel nuovo organismo non fa sperare in una difesa dei diritti umani. Il parere del prof. V. E. Parsi, docente di politica internazionale presso l’Università cattolica di Milano.


    Roma (AsiaNews) – “Un organismo inutile”: così l’esperto di politica internazionale Vittorio Emanuele Parsi, in un’intervista ad AsiaNews, definisce il neonato Consiglio Onu per i diritti umani. Varato ieri, esso sembra già impossibilitato a diffondere una cultura per il rispetto dei diritti umani nel mondo. Il motivo è che fra i 47 membri del nuovo organismo sono stati eletti paesi come la Cina, il Pakistan, la Russia, l’Arabia Saudita e Cuba.

    Il nuovo Consiglio, che avrà base a Ginevra, sostituisce la Commissione Onu per i diritti umani, screditata per avere al suo interno - e perfino come capi - rappresentanti di paesi che non rispettano la Carta Onu dei diritti umani.

    Il nuovo organismo si basa sulla rappresentanza regionale e sulla popolazione. Esso dà 13 seggi all’Asia; 13 all’Africa; 8 all’America Latina e caraibica; 6 all’Europa dell’Est; 7 all’Europa occidentale e ad altri (inclusi Usa, Canada, Israele). Il Consiglio si incontrerà per la prima volta il 19 giugno.

    Ecco l’intervista che il prof. V. Emanuele Parsi, ordinario di politica internazionale presso l’Università cattolica di Milano, ha rilasciato ad AsiaNews.

    Come si pensa di applicare i diritti umani in questo modo?

    La Commissione di prima era squalificata perché non era mai riuscita a influenzare la politica degli stati, ma quasi certamente questo Consiglio segnerà la stasi completa sui diritti umani.

    Le critiche fatte finora alla precedente commissione sono vere: che i diritti umani sono usati per motivi economici, come strumento delle grandi potenze (e infatti non si è mai riusciti a condannare una qualche potenza sui diritti umani); ecc.. Ma il criterio di affidare tutto alla rappresentanza regionale e alla popolazione svaluta i diritti umani e rende il loro concetto molto relativo.

    In che senso?

    Perché il nuovo criterio mette alla pari i paesi dove i diritti umani sono rispettati, con quelli dove ci sono dittature e violazioni. In questo modo si scredita tutto il Consiglio.

    I diritti umani non sono più un valore universale?

    In questi anni si è molto discusso fra coloro che affermano l’universalità dei diritti umani e chi invece sottolinea che i diritti umani sono influenzati dalle culture locali e dai ritmi storici. Su questo occorreva aprire un dibattito, tenendo alcuni punti fermi e sentendo le ragioni di uno e dell’altro. Invece, con il nuovo Consiglio, non vi sarà discussione: ognuno resta giustificato nella sua idea e ogni stato potrà applicare a suo piacimento i diritti umani.

    Quale futuro ci aspetta?

    Il nuovo Consiglio è un organismo inutile: quelli che sostengono i diritti umani non hanno possibilità di influenzare la politica degli altri. È l’errore di mettere tutto ai voti e di basarsi su rappresentatività numeriche. Se un gruppo soffre di violazione ai diritti umani in Pakistan, come potrà appellarsi al Consiglio, dove è presente il Pakistan?

    Se uno deve denunciare violazioni ai diritti umani cosa deve fare?

    Sappiamo che sarà inutile appellarsi a questo Consiglio. Ci si può sempre appellare al segretario generale e all’Assemblea.

    San Fabio e compagni Martiri in Sabina




    11 maggio

    Nicomedia, III sec. – Curi in Sabina, 305

    Fabio riprende il nome gentilizio latino “Fabius”, presente anche nel femminile Fabia, che pare essere un soprannome forse di origine etrusca, derivato da ‘faba’ la ‘fava’.
    Fabio e Fabia furono nomi che godettero presso i romani di un certo favore; dalla ‘gens’ patrizia “Fabia” discese Quinto Fabio Massimo, detto ‘il Temporeggiatore’, che fu a capo dell’esercito romano contro Annibale nella Seconda Guerra Punica.
    Dopo qualche secolo di dimenticanza, questi nomi sembrano oggi ritrovare l’antica diffusione, specie la forma maschile, assieme ai derivati Fabiano, Fabiana e Fabiola.
    Il nome Fabio è ampiamente distribuito nel Nord e nel Centro Italia, particolarmente nella provincia di Cagliari.
    In campo cristiano, volendo restringere la ricerca al solo nome Fabio, abbiamo solo tre santi con questo nome: s. Fabio il Vessillifero, martire di Cesarea di Mauritania (31 luglio), s. Fabio e compagni martiri venerati a Vienna (27 maggio) e s. Fabio e compagni martiri in Sabina (11 maggio) e di quest’ultimo parliamo in questa scheda.
    Bisogna subito dire che di s. Fabio singolarmente non si sa quasi niente, perché il martirio è accomunato ad un gruppo di martiri e confessori i cui nomi sono: Antimo prete, Massimo levita, Fabio, Basso suoi discepoli martiri sulla Via Salaria in Sabina, Sisinnio diacono, Dioclezio e Fiorenzo martiri ad Osimo nel Piceno, Faltonio Piniano e Anicia Lucina sposi, morti di morte naturale a Roma.
    Le notizie pervenuteci si leggono nella “Passio sancti Anthimi” che fu scritta fra il V e IX secolo, ritenuta dagli studiosi abbastanza leggendaria e fantasiosa; nel primo Medioevo qualche agiografo, per dare una consistenza maggiore alle poche notizie pervenute su uno o più martiri, li riuniva in un'unica ‘Passio’ dalle ingarbugliate e fantasiose vicende.
    Così avvenne per sant’Antimo e i suoi compagni, fra i quali vi è quel san Massimo levita, destinato a diventare compatrono con san Vittorino, della diocesi dell’Aquila.
    Alla fine del III secolo era proconsole dell’Asia Minore Faltonio Piniano, sposato con Anicia Lucina, imparentata con l’imperatore Gallieno.
    Consigliere di Piniano era un certo Cheremone che odiava i cristiani e aveva giurato di distruggerli con la loro religione. Per le sue insinuazioni, il presbitero Antimo e i suoi discepoli furono gettati in carcere, ma Cheremone non poté godere a lungo della persecuzione in atto, perché un giorno attraversando sul cocchio proconsolare le vie di Nicomedia, cadde rovinosamente e ancor più miseramente morì.
    Ciò terrorizzò Piniano, formalmente responsabile della persecuzione e la sua angoscia gli provocò una grave malattia dalla quale i medici non riuscivano a guarirlo.
    Lucina la moglie, che già da tempo si sentiva attratta dalla nuova religione, pensò di consultare Antimo, lo fece liberare con i discepoli e condurre al palazzo consolare; qui gli promise la libertà e cospicue ricompense se avesse guarito il marito.
    Antonio rispose che una sola cosa poteva guarirlo, che si fosse fatto cristiano. Piniano non solo accettò ma si dimostrò un catecumeno attento e sincero, cosicché Antimo riuscì ad ottenere da Dio la sua guarigione e poi lo battezzò con tutta la famiglia.
    Verso il 303 Faltonio Piniano ritornò a Roma, richiamato dall’imperatore Diocleziano (243-313), ma prima di partire riuscì a convincere Antimo e i suoi discepoli a seguirlo nella capitale dell’impero; naturalmente il suo arrivo non passò inosservato e ben presto si diffuse la notizia che aveva condotto con sé dei cristiani.
    Per sottrarli alle possibili persecuzioni, Piniano decise di allontanarli da Roma, mandandoli in due vasti poderi di sua proprietà. Il diacono Sisinnio con Dioclezio e Fiorenzo, andarono ad Osimo nel Piceno, mentre Antimo, Massimo, Basso e Fabio furono inviati presso la città sabina di Curi.
    Naturalmente non rimasero ad oziare, uscirono dal loro rifugio e ambedue i gruppi presero ad evangelizzare la regione; Antimo sempre seguito dai suoi discepoli, operò anche un miracolo, liberando dal demonio un sacerdote pagano; l’invasato distruggeva tutto ciò che gli capitava a tiro, ma si calmò solo al richiamo di Antimo che gli era andato incontro senza retrocedere.
    L’ossesso una volta guarito, per dimostrare la sua riconoscenza e la nuova fede che aveva abbracciato, atterrò l’idolo del dio Silvano, incendiando anche il bosco a lui sacro. I pagani furiosi denunciarono il grave oltraggio al proconsole Prisco, incolpando di ciò il prete Antimo, il quale fu arrestato con i discepoli.
    Seguirono interrogatori, torture, prodigi, che in questa scheda omettiamo, rimandando alla scheda propria di S. Antimo prete.
    S. Antimo fu decapitato l’11 maggio 305 e sepolto nell’Oratorio di Curi in cui era solito pregare; la stessa sorte toccò al suo erede nello zelo apostolico Massimo, decapitato il 19-20 ottobre 305 e sepolto nel suo Oratorio al XXX miglio della Salaria; Basso che intratteneva i fedeli incoraggiandoli, fu arrestato e avendo rifiutato di sacrificare a Bacco e Cerere, fu massacrato dal popolo nel mercato di Forum Novum; invece Fabio fu consegnato al console che dopo averlo fatto torturare, lo condannò alla decapitazione lungo la stessa via Salaria.
    Sisinnio, Dioclezio e Fiorenzo, sempre nel 305, non avendo voluto sacrificare agli dei, furono decapitati dal popolo. Infine Piniano e Lucina morirono naturalmente nella loro casa di Roma.
    S. Antimo, s. Basso e s. Fabio sono ricordati l’11 maggio, gli altri in giorni diversi.


    Autore: Antonio Borrelli

    Festa Sivigliana



    Ad Eindhoven gli spagnoli coronano una bella stagione
    superando gli inglesi per 4-0. Protagonista l'ex juventino Maresca

    Il Siviglia travolge il Middlesbrough
    e conquista la Coppa Uefa

    EINDHOVEN - Il Siviglia condisce la sua ottima stagione con una storica Coppa Uefa. Battuto il Middlesbrough con un secco 4-0 grazie ai gol di Luis Fabiano e Kanoutè e alla doppietta del nostro Enzo Maresca, assoluto protagonista della serata di Eindhoven. Una firma importante per un possibile rientro a casa dell'ex Juve e Fiorentina, autore di una prestazione maiuscola. Un punteggio troppo severo, ma una vittoria decisamente meritata per il Siviglia.

    Esce sconfitto invece l'altro italiano in campo, Maccarrone. Questa volta niente miracoli: il Boro, che era arrivato in finale grazie alle sue straordinarie rimonte contro il Basilea ai quarti e lo Steaua in semifinale, ha poco da recriminare perché non è mai risucito ad entrare veramente in partita. Il tecnico McClaren, futuro ct della Nazionale inglese, lascia inizialmente Maccarrone in panchina e si affida in attacco al duo Viduka-Hasselbaink. In porta torna Schwarzer, che gioca con una maschera protettiva per una frattura allo zigomo rimediata nella semifinale di Coppa d'Inghilterra contro il West Ham.

    Ramos, invece, ha a disposizione l'intera rosa, compreso l'attaccante Kanoutè che parte comunque dalla panchina. In attacco coppia formata da Saviola e Luis Fabiano. A centrocampo spazio per l'ex juventino Maresca. Inizio di gara equilibrato, ma la partita è piacevole, il ritmo è intenso e le due squadre intendono giocarsela sin dall'inizio. Il Siviglia mostra una certà fluidità di manovra con palla a terra e proponendosi con passaggi precisi. La prima occasione al 6' è per il Boro con una punizione di Rochemback, Palop è bravo a respingere il potente destro.

    Dall'altra parte, al 9', si fa vedere Adriano che dalla sinistra in area prova a servire Saviola, bravo Southgate ad anticipare in corner. Luis Fabiano mostra di essere in grande serata e in più di un'occasione prova la via della rete. Al 27' il Siviglia passa in vantaggio e il gol porta proprio la sua firma: azione tutta brasiliana con cross di Alves e preciso colpo di testa di Luis Fabiano che colpisce il palo interno sinistro e poi entra in rete. Schwarzer non può opporre resistenza. Il gol galvanizza il Siviglia, spinto dall'entusiasmo dei propri tifosi.

    Il Middlesbrough ha invece difficoltà a riprendere le redini dell'incontro e si propone sempre con azioni abbastanza prevedibili. Gli esterni Morrison e Downing non riescono ad incidere, così Viduka e compagni provano ad avanzare solo con palla lunga, quasi sempre preda dell'attenta difesa spagnola. Al 46' rischia il Siviglia con una imperfetta respinta di Palop su angolo, Morrison ci prova, poi su rimpallo la palla finisce alta.

    Ad inizio ripresa McClaren prova la carta Maccarrone (cinque gol per lui in Uefa), mandato in campo al posto di Morrison. Ramos risponde inserendo Kanoutè per Saviola. Buona la partenza degli inglesi, ma il Siviglia fa buona guardia. Al 5' spagnoli pericolosi in contropiede: bella apertura di Navas per Adriano, il suo interno destro finisce di poco fuori. Al 6' grandissima.

    Al 6' grande occasioper per il Middlesbrough: punizione da sinistra di Downing, sponda di Riggot per Viduka che da circa 6 metri conclude di destro, splendida la risposta di Palop. Immediata la replica con Navas che lascia sul posto Queudrue, e conclude in porta, Schwarzer si salva in due tempi.

    Il Boro comunque ci prova di più rispetto alla prima frazione e Maccarrone prova a metterci la sua come al 14' quando con un velenoso tiro cross costringe Palop alla deviazione in angolo. Al 31' l'episodio che cambia il volto della partita: cross di Maccarone, Javi Navarro spinge nettamente Viduka, ma per l'arbitro Fandel è tutto regolare.

    Due minuti dopo il Siviglia raddoppia in contropiede: Navas entra in area da destra, cross basso, destro di Kanoutè, respinta corta di Schwarzer, e destro vincente di Maresca ben piazzato davanti la porta. Subito il raddoppio, il Middlesbrough scompare. Al 38' il tris, sempre con Maresca: Navas entra in area da destra, cross, respinta corta di Riggot, Maresca controlla e con un sinistro preciso infila alla sinistra del portiere. Al 44' il definitivo 4-0: ancora Maresca, incontenibile, entra in area da destra e conclude di esterno destro, respinta di Schwarzer, e gol di Kanoutè.

    (10 maggio 2006)

    10 maggio 2006

    Islamizzerò l'Europa


    L'ultimo proclama di Muhammar Gheddafi, davanti alle telecamere della tv al Jazeera

    Di: liberaliperisraele

    È oggetto di attenta valutazione negli ambienti vaticani, piuttosto che in quelli politici, l’ultimo “proclama” di Muhammar Gheddafi. Davanti alle telecamere della tv araba al Jazeera, il leader libico ha affermato che l’Islam conquisterà l’Europa ma, come hanno fatto notare vari islamisti, «con un linguaggio più da missionario che da politico». O, come il best-seller Il codice da Vinci, citando i falsi Vangeli. Per Gheddafi - come ha riferito sulla Stampa di Torino Maurizio Molinari, al quale non è sfuggita la traduzione delle parole del leader libico pubblicata dal centro americano di studi sul Medio Oriente “Memri” – Maometto è «il profeta non solo dei musulmani ma di tutte le genti, se Gesù fosse stato vivo ai tempi di Maometto lo avrebbe seguito, vi sono segni che preannunciano la vittoria di Allah sull’Europa senza il ricorso a spade e fucili, non servirà una conquista. Abbiamo 50 milioni di musulmani in Europa e la trasformeranno in un continente musulmano in pochi decenni».
    Niente guerre sante o terrorismo, le “armi” dell’Islam secondo Gheddafi, ma soltanto la fede: «Se vogliamo vivere nel villaggio globale – ha detto ancora il Grande Leader - dobbiamo cercare la vera bibbia, perchè quella attuale è falsa»; e la vera bibbia è «il Vangelo di Barnaba, nel quale è scritto con chiarezza che Maometto verrà dopo Gesù». Non a caso Gheddafi nomina il vangelo di Barnaba: menzionato nel IV secolo e andato perduto, sotto questo nome circola un testo apocrifo che sarebbe stato scritto nel 1.300 e che offre un’immagine di Gesù corrispondente alla concezione islamica.
    Per il vangelo secondo Barnaba, Gesù ricevette dall’arcangelo Gabriele il libro della profezia esattamente come accadde al profeta dell’Islam. In una glossa araba del testo viene indicata l’equivalenza tra il termine ebraico Maschiah, Ahamed (Mohammed) e il greco parakletos: il degno di lode, che è appunto la traduzione del nome di Maometto. Quindi i musulmani individuarono nell’annuncio di Gesù sull’avvento del paraclito un riferimento esplicito a Maometto.
    Anche per uno dei maggiori islamisti dell’ultimo secolo, il francese Henry Corbin, il vangelo di Barnaba è «in qualche modo, il vangelo dell’Islam: poiché è nell’Islam che troviamo definitivamente espresse alcune nozioni, essenziali in quellìesoterismo cristiano delle origini di cui il vangelo di Barnaba è documento fondamentale.
    Inoltre questo vangelo presenta la figura di Gesù e la sua vicenda terrena in termini analoghi a quelli che caratterizzano la cristologia islamica: il vangelo di Barnaba, infatti, nega recisamente la divinità di Gesù e non accetta la versione della sua morte sulla croce. Infine, il testo di Barnaba contiene ripetute e circostanziate enunciazioni di Gesù concernenti il futuro avvento di Maometto». Con la tesi di un «Gheddafi predicatore» concorda, sempre sulla Stampa anche il direttore del Washington Institute, Patrick Clawson, il quale ricorda che la «svolta africana» del Colonnello (che si batte da qualche anno per la nascita di un’Unione africana sul modello Ue) è sempre stata accompagnata da inviti alla conversione all’Islam e suggerisce di «non confondere questo approccio con il fondamentalismo di gruppi come Al Qaeda che restano nemici del leader libico e che in passato hanno tentato di rovesciarlo».
    Si spiegherebbe così perché Gheddafi ha parlato di conquista islamica «senza fucili», con un metodo cioè diverso da quello di Al Qaeda: la fede, come detto, e la demografia. Nell’intervista ad al Jazeera, dopo aver ricordato che 50 milioni di musulmani sono già in Europa, il leader libico ha aggiunto che Allah «sta mobilitando la nazione musulmana della Turchia collegandola all’Unione europea» e «ciò porterà i musulmani in Europa a essere più di cento milioni»; senza contare che anche albanesi e bosniaci sono in gran parte musulmani. Di qui il bivio che ha di fronte l’Occidente: «L’Europa – afferma infatti il colonnello - predicatore - ha un destino e così l’America: devono accettare di diventare musulmane oppure dichiarare guerra ai musulmani».

    Tratto da: liberaliperisraele.ilcannocchiale.it

    Silenzio stampa sulla marcia per il Darfur

    di Martino Pillitteri - 8 maggio 2006

    La scorsa settimana è stato siglato un accordo storico e i mezzi di comunicazione italiani non l'hanno quasi notato. Stiamo parlando della guerra civile in Sudan. Le due parti, il governo centrale e i ribelli indipendentisti del Darfur (una zona del Sudan grande quanto la Francia), hanno raggiunto un accordo di massima che prevede il cessate il fuoco, il disarmo dei Janjaweed (le milizie non ufficiali filo-governative responsabili di massacri di massa), l'integrazione delle truppe ribelli nell'esercito nazionale, la creazione di forze speciali per la protezione dei civili (attualmente ammassati in campi profughi) e compensazioni per i rifugiati.

    L'accordo è arrivato dopo tre giorni di intensi negoziati tra i rappresentati delle parti, mediati dal sottosegretario di Stato americano Robert B. Zoellick, avvenuti nella capitale nigeriana Abuja. Anche se le parti in causa non sono mai state partner affidabili nel mantenere gli accordi presi, considerando il peso diplomatico della Casa Bianca, i benefici degli aiuti economici promessi, il fatto che le forze dell'Onu siano state ammesse in Sudan per coordinare aiuti e garantire stabilità, c'e da speculare sulla possibilità di una pace duratura e un ritorno privo di rischio dei profughi nelle zone d'origine. Che sia una vittoria della Casa Bianca non ci sono dubbi.

    Proprio a Washington, un paio di settimane fa, si era svolta una marcia per sensibilizzare l'opinione pubblica americana sul genocidio del Darfur e convincere il presidente Bush ad intervenire. La marcia, che in Usa ha avuto una risonanza mediatica fortissima, è stata una sorta di musica per le orecchie del presidente, che nel giro di poche ore ha mobilitato il suo staff, ricevuto degli esperti e mandato il sottosegretario Zoellick in missione in Sudan.

    Nonostante l'importanza dell'evento, la maggioranza dei mass media italiani ha tuttavia preferito occuparsi d'altro. Invece che con la marcia a favore di una risoluzione in Darfur infatti, i giornali italiani hanno riempito pagine intere con quella che Repubblica ha definito la «marcia dei nuovi schiavi d'America», ovvero quelle manifestazioni degli immigrati contrari al disegno di legge che regolerà le future norme immigratorie. Questo è il paradosso: conta di più una manifestazione di immigrati illegali che manifestano liberamente nelle città più grandi d'America contro una proposta di legge che, analizzata bene, è giusta ed equilibrata (infatti concede permesso di lavoro agli immigrati illegali che hanno la fedina penale pulita, mentre punisce severamente chi si è macchiato di atti di delinquenza) di una manifestazione, come quella per il Darfur, che è stata una marcia di civiltà e fratellanza per una causa importantissima.

    Un articolo del Washington Post rende l'idea della rilevanza dell'evento: «La cosa meravigliosa di questa manifestazione è stato vedere la composizione dei partecipanti: c'erano persone che indossavano turbanti, bandana, cappelli da baseball, c'erano imam, preti, rabbini, giovani dalle Chiese e dalle Sinagoghe. Le persone - continua l'articolo - non sono venute come ebrei, musulmani, cristiani, sikh, democratici o repubblicani, bensì si sono riuniti come una grande famiglia per convincere Bush a fare di più per fermare questa guerra civile».

    Sempre rimanendo in tema di marce, in occasione del 25 aprile e del primo maggio i paladini di sinistra della giustizia mondiale (pacifisti, centri sociali e no global italiani) hanno completamente ignorato, forse troppo impegnati a insultare Letizia Moratti, la tragedia che affligge il Sudan. Alla fine le cose sono andate come il copione: a parole si invoca giustizia e pace per tutti, ma nei fatti ci si mobilita solo per i cavalli di battaglia della sinistra, come l'Iraq e la Palestina.

    Martino Pillitteri

    “Il mondo non può ignorare l’esistenza dei LAOGAI”

    da www.stranocristiano.it

    “Il Mondo non può ignorare l’esistenza dei LAOGAI”. Con queste parole l’On. Nancy Pelosi, capogruppo del Partito Democratico al Congresso USA, ha aperto la Conferenza Internazionale su “I GULAG E I LAOGAI” svoltasi a Washington giovedì 4 maggio.

    I LAOGAI sono in Cina i campi di concentramento, almeno mille oggi, dove sono costretti a lavorare, in condizioni disumane, diversi milioni di uomini, donne e bambini a vantaggio del Partito Comunista Cinese e di numerose multinazionali che investono o producono in Cina.

    Nel suo intervento Harry Wu, Cattolico, detenuto nei LAOGAI per 19 anni e attualmente presidente della Fondazione LAOGAI, ha ricordato che mentre i LAGER nazisti furono chiusi nel 1945 ed i GULAG sovietici sono in disuso dagli anni ’90, i LAOGAI cinesi sono tuttora operanti. “I LAOGAI, creati da Mao Zedong nel 1950, furono organizzati e strutturati sul modello dei GULAG Sovietici”….. “La vita nei LAOGAI e’ tuttora orribile ed almeno 50 milioni di Cinesi hanno sofferto nei LAOGAI”, osserva Harry Wu. I pestaggi e le torture sono all’ordine del giorno. Frequenti le scariche elettriche e la sospensione per le braccia. Manfred Nowak, rappresentante della Commissione contro la Tortura , delle Nazioni Unite, ha ispezionato nel dicembre del 2005 alcune prigioni in Cina e ha recentemente denunciato il continuo abuso con la tortura sui detenuti, nel paese asiatico.

    Storici, esperti e scrittori sono intervenuti durante la Conferenza : Lee Edwards, presidente della Fondazione delle Vittime del Comunismo, Joel Kotek, autore del libro “Il Secolo dei Campi” e rappresentante dell’Associazione in memoria della Shoah, di Parigi; la scrittrice e giornalista Anne Applebaum che ha informato i presenti sulla struttura e la storia dei GULAG. Il Prof. Dieter Henzig ha osservato le molte somiglianze tra i GULAG ed i LAOGAI, come la tortura, la denuncia degli amici, il lavoro forzato ed il ricatto del cibo per costringere i detenuti al lavoro. Ha poi evidenziato la principale differenza tra i GULAG ed i LAOGAI: la “riforma del pensiero” ossia il sistematico lavaggio del cervello del detenuto dei LAOGAI, introdotto da Mao Zedong già nel 1937. La “riforma del pensiero” si attua mediante l’indottrinamento politico quotidiano e mediante l’autocritica. “Questa autocritica” ha spiegato il Prof. Heinzig,

    “ha luogo davanti ai sorveglianti ed agli altri detenuti ed e’ finalizzata a riformare la personalità di chi si auto-accusa”. Trattasi di una vera e propria “riprogrammazione del cervello” ha precisato, durante il dibattito, Harry Wu.

    Oltre alla stampa, ai ricercatori, ai collaboratori ed amici della Fondazione, al Convegno erano presenti numerosi sopravvissuti dei LAOGAI. Il Ven. Palden Gyatso, Lama Tibetano, detenuto per 33 anni. La Signora Rebya Kadeer, Musulmana-Uighura della provincia dello Xinjiang, imprigionata per 6 anni. La religiosa Tibetana Ama Adhe, detenuta per 27 anni. Lu Decheng, uno degli studenti di Piazza Tianamen che e’ stato imprigionato per quasi 10 anni, fino al 1998. Xu Wenli, nei di lavoro forzato 16 anni, per avere cercato di organizzare il Partito Democratico Cinese. Wu Yashan, nato in Manciuria ed ex soldato dell’Armata Popolare Cinese, ingiustamente accusato di essere “di destra”, imprigionato nei LAOGAI per quasi 20 anni.

    La tragedia dei LAOGAI e’ attuale. I LAOGAI sono operativi oggi. Questi campi di lavoro forzato producono di tutto e sono sempre più attivi nell’esportazione. Si puo’ ragionevolmente sostenere, quindi, che la tanto decantata “competitività cinese” nasce dal lavoro forzato.

    Inoltre,
    i LAOGAI sono solo un particolare dell’attuale realtà cinese e della “pedagogia del terrore” , coperta da “segreto di stato”, che in Cina ancora oggi si pratica. Decine di migliaia di esecuzioni di massa davanti a folle appositamente riunite. Migliaia di organi espiantati dai condannati a morte e venduti con alti profitti. Collagene preso dalla pelle dei morti per produrre cosmetici. Decine di migliaia di aborti e sterilizzazioni forzate. Persecuzione sistematica contro I Cristiani e i credenti di tutte le Religioni e abuso della psichiatria a scopo repressivo politico.

    Queste sono le realtà della Cina, oscurate e/o rimosse. Se ne parla poco per non disturbare i commerci internazionali.