20 marzo 2008

Diceva il vescovo di Mosul

A Mosul la situazione non migliora, come invece a Baghdad. È evidente che le forze della coalizione, guidate dagli Usa, hanno cominciato a “ripulire” il Paese dal sud, dove forti sono le influenze di Iran e Siria: Basra, Ramadi, Baquba e Baghdad. Man mano che procedevano gli Usa, i terroristi si sono spostati a nord, concentrandosi a Mosul. In questo modo l’America si è assicurata che i terroristi non vadano oltre, senza doversi scontrarsi con i curdi, alleati di Washington. Ma a questo punto la domanda urgente da porsi è: riusciranno mai a ripulire Mosul? Al momento non sembra ci sia una vero e proprio piano d’azione per normalizzare la città, ormai abbandonata a se stessa.

Noi cristiani di Mesopotamia siamo abituati alla persecuzione religiosa e alla pressione del potere politico. Dopo che Costantino è diventato cristiano la persecuzione è diminuita solo per i cristiani d’occidente, mentre in oriente abbiamo continuato a subire minacce. Anche oggi continuiamo ad essere una Chiesa dei martiri. Alle preghiere dei vespri, ad esempio, abbiamo sempre un inno speciale per i martiri.

A Mosul la persecuzione religiosa è più evidente ed accentuata che altrove perché la città è divisa su linee appunto di appartenenza religiosa. A differenza di Kirkuk, che è divisa per linee etniche: qui curdi, turcomanni e arabi si contendono i cristiani e cercano di portarli dalla loro parte in diversi modi. A Mosul la divisione tra cristiani e musulmani è molto più netta. Di questa guerra è inutile dire che soffriamo tutti, al di là dell’appartenenza religiosa, ma sta di fatto che i cristiani a Mosul vengono messi ancora davanti a scelte ben precise, oltre alla fuga: la conversione all’islam; il pagamento della jizya - la tassa di "compensazione" chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani; o la morte. I responsabili di tali azioni e intimidazioni sono i terroristi, ma anche gruppi di semplici criminali che si approfittano dell’Islam per trovare modo di arricchirsi. Intanto a Mosul sono rimasti un terzo dei cristiani.

È evidente l’attuazione di un progetto che non mira a colpire solo i cristiani, ma tutta la classe intellettuale e di professionisti, compresi i musulmani. Il fatto è che nonostante i cristiani costituiscono solo il 3 per cento della popolazione, rappresentavano il 35 per cento di quelli con un’istruzione superiore. Costringere queste persone alla fuga significa evitare che il Paese si risollevi. Significa far proliferare l’ignoranza che appoggia sempre il terrorismo.

Questo piano è in atto anche nel resto dell’Iraq: medici, avvocati, professori, giornalisti sono presi nel mirino degli attentati. Il progetto è ideato da chi gestisce la politica internazionale e dai Paesi vicini all’Iraq. Nessuno di loro vuole un Iraq libero e indipendente, perché sarebbe troppo forte: possedevamo, infatti, una grande forza intellettuale ed economica insieme. Tenendo il paese debole e diviso lo si domina meglio.

Tratto da un intervista di Asianews a Monsignor Raho nel novembre 2007

Nessun commento: