31 marzo 2008

Riscaldamento globale?

«Se si prende il 1998 come punto di partenza, c’è stato un raffreddamento della terra. Se si prende come punto di partenza il 2002, il clima è in un plateau. Non è certo ciò che ci si doveva aspettare se è il CO2 a cambiare le temperature, perché i livelli di CO2 hanno continuato a crescere, ma le temperature di fatto sono scese negli ultimi dieci anni». Lo ha detto Jennifer Marohashi, biologa australiana, senior fellow dell’Institute of Public Affairs di Montreal, in una interessante intervista alla ABC Radio Nationa (4).

Da dieci anni la temperature scende, mentre le emissioni carboniose di origine umana salgono. «Su questo non ci sono vedute contrastanti fra gli scienziati», ha aggiunto la biologa. «Di fatto l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate change) ha riconosciuto la cosa: ha ammesso che negli ultimi otto anni, in questo secolo, la temperatura è ‘piatta’, nonostante i livelli di CO2 siano continuamente crescenti. Ciò che dovrebbe far salire le temperature. E’ qualcosa di inatteso, ma non viene discusso».

Ci sono solo delle ipotesi su questo fenomeno imprevisto dai modelli matematici: «Il capo dell’IPCC ipotizza che siano in gioco fattori naturali che compensano l’effetto-serra prodotto dal CO2, che è quello che dicono da sempre gli scettici dell’effetto-serra». Nell’ambiente scientifico «si è parlato molto dell’influenza del Sole, se andiamo verso un periodo di meno intensa attività solare, e se questo contribuisca all’attuale raffreddamento». Attuale raffreddamento, non riscaldamento.

I dati più sorprendenti vengono dal satellite «Aqua», lanciato dalla NASA soltanto nel 2002, che raccoglie dati non solo sulle temperature terrestri, ma sulla formazioni nuvolose e il vapor d’acqua. «I modelli che usiamo attualmente», spiega la Marohasy, «sono basati sull’idea che quando il CO2 crescente produce l’effetto-serra, aumenta anche il vapor acqueo nell’atmosfera, intensificando il riscaldamento. I dati del satellite ‘Aqua’ mostrano che avviene l’esatto contrario, ossia che quando (l’effetto serra) produce un aumento del riscaldamento, l’aumento del vapor d’acqua di fatto limitano l’effetto serra, lo compensano, con l’effetto di contrastare il riscaldamento anziché intensificarlo».

«Queste scoperte (del satellite Aqua) non sono messe in discussione dai meteorologi; solo, fanno fatica a ‘digerirle’. Penso che presto riconosceranno che i modelli su cui si basano hanno bisogno di una completa revisione, e che i nuovi modelli mostreranno un minore influsso dell’anidride carbonica nel riscaldamento». Secondo la biologa, la comunità metereologica mondiale cambierà i suoi paradigmi entro sei mesi. [leggi tutto]

25 marzo 2008

Apologia di una conversione

Articolo di Giuliano Ferrara

La conversione al cattolicesimo del laico musulmano Magdi Allam, il suo battesimo come Cristiano, è stata un grande fatto pubblico, amministrato con coraggiosa saggezza dalla chiesa e dal suo nuovo fedele. Spero che le eventuali ripercussioni polemiche (non voglio pensare adesso a un sovraccarico di violenza intollerante contro l’apostasia) saranno fronteggiate con altrettanta saggezza e altrettanto coraggio.

Un pregiudizio secolarista vuole che la conversione, come la fede, debba restare un fatto privato, che in questo si esprima la sua sincerità. Ma è falso. I laici veri conoscono la storia della spiritualità umana e sanno che l’interiorità può essere solo il primo nucleo di una conversione o addirittura il suo esito finale quando il vaglio pubblico di un nuovo modo di vedere il mondo, e di essere nel mondo, approdi alla certezza di fede che la creatura umana appartiene alla terra che abita e al cielo che non conosce. Tutto sta alla libertà e all’inclinazione dell’individuo. Un catecumeno non è prigioniero della trasfigurazione radicale del suo animo, è un uomo libero che liberamente si mette alla sequela di Cristo in comunione con un popolo credente e con i suoi pastori. [leggi tutto]

IL PAPA: "DARFUR E TIBET PIAGHE DELL'UMANITA'"

"Le piaghe dell'umanita' aperte e doloranti in ogni lato del pianeta, anche se spesso ignorate o volutamente nascoste, attendono di essere lenite e guarite dalle piaghe del Signore. Apriamoci con sincera fiducia al mistero pasquale". E' stato un messaggio di denuncia ma anche di grande speranza quello letto dal Pontefice dopo la messa pasquale celebrata sul sagrato di San Pietro sotto una pioggia battente. "Come non pensare - ha proseguito il Papa - ad alcune regioni africane, Darfur e Somalia, l'Iraq nel Medio Oriente e il Tibet per il quale si cerca il bene e la pace". La folla bagnata ma festante ha inneggiato un "Viva il Papa" prima che Benedetto XVI desse gli auguri di una santa Pasqua in 63 lingue, ultima il latino. La prima invece l'italiano: "agli uomini di Roma e d'Italia anche sotto la pioggia. Il Signore entri nelle vostre case". Prima di rientrare il Papa ha concesso l'indulgenza plenaria agli astanti e a tutti coloro che hanno seguito la cerimonia guardando la televisione o sentendo la radio.

(AGI) - Roma, 23 marzo -

20 marzo 2008

Diceva il vescovo di Mosul

A Mosul la situazione non migliora, come invece a Baghdad. È evidente che le forze della coalizione, guidate dagli Usa, hanno cominciato a “ripulire” il Paese dal sud, dove forti sono le influenze di Iran e Siria: Basra, Ramadi, Baquba e Baghdad. Man mano che procedevano gli Usa, i terroristi si sono spostati a nord, concentrandosi a Mosul. In questo modo l’America si è assicurata che i terroristi non vadano oltre, senza doversi scontrarsi con i curdi, alleati di Washington. Ma a questo punto la domanda urgente da porsi è: riusciranno mai a ripulire Mosul? Al momento non sembra ci sia una vero e proprio piano d’azione per normalizzare la città, ormai abbandonata a se stessa.

Noi cristiani di Mesopotamia siamo abituati alla persecuzione religiosa e alla pressione del potere politico. Dopo che Costantino è diventato cristiano la persecuzione è diminuita solo per i cristiani d’occidente, mentre in oriente abbiamo continuato a subire minacce. Anche oggi continuiamo ad essere una Chiesa dei martiri. Alle preghiere dei vespri, ad esempio, abbiamo sempre un inno speciale per i martiri.

A Mosul la persecuzione religiosa è più evidente ed accentuata che altrove perché la città è divisa su linee appunto di appartenenza religiosa. A differenza di Kirkuk, che è divisa per linee etniche: qui curdi, turcomanni e arabi si contendono i cristiani e cercano di portarli dalla loro parte in diversi modi. A Mosul la divisione tra cristiani e musulmani è molto più netta. Di questa guerra è inutile dire che soffriamo tutti, al di là dell’appartenenza religiosa, ma sta di fatto che i cristiani a Mosul vengono messi ancora davanti a scelte ben precise, oltre alla fuga: la conversione all’islam; il pagamento della jizya - la tassa di "compensazione" chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani; o la morte. I responsabili di tali azioni e intimidazioni sono i terroristi, ma anche gruppi di semplici criminali che si approfittano dell’Islam per trovare modo di arricchirsi. Intanto a Mosul sono rimasti un terzo dei cristiani.

È evidente l’attuazione di un progetto che non mira a colpire solo i cristiani, ma tutta la classe intellettuale e di professionisti, compresi i musulmani. Il fatto è che nonostante i cristiani costituiscono solo il 3 per cento della popolazione, rappresentavano il 35 per cento di quelli con un’istruzione superiore. Costringere queste persone alla fuga significa evitare che il Paese si risollevi. Significa far proliferare l’ignoranza che appoggia sempre il terrorismo.

Questo piano è in atto anche nel resto dell’Iraq: medici, avvocati, professori, giornalisti sono presi nel mirino degli attentati. Il progetto è ideato da chi gestisce la politica internazionale e dai Paesi vicini all’Iraq. Nessuno di loro vuole un Iraq libero e indipendente, perché sarebbe troppo forte: possedevamo, infatti, una grande forza intellettuale ed economica insieme. Tenendo il paese debole e diviso lo si domina meglio.

Tratto da un intervista di Asianews a Monsignor Raho nel novembre 2007

14 marzo 2008

E' morta Chiara Lubich

Anzitutto la spiritualità dell'unità suppone una profonda considerazione di Dio per quello che è: Amore, Padre.

Come si potrebbe, infatti, avere la visione dell'umanità come di una sola famiglia, senza la presenza di un Padre per tutti?

Credere al Suo amore è l'imperativo di questa nuova spiritualità, il suo punto di partenza; credere che siamo amati da Lui personalmente e comunitariamente.

Egli, infatti, ci conosce nel più intimo, segue ognuno di noi in ogni particolare. "Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati", dice il Vangelo. E non lascia alla sola iniziativa degli uomini il progredire della società, ma se ne prende cura.

Credere all'amore di Dio. E, fra le mille possibilità che l'esistenza offre, guardare a Lui come Ideale della vita.

Ma non basta credere all'amore di Dio.

La presenza e la premura di un Padre chiama ognuno ad essere figlio, a rispondere a quel particolare disegno d'amore che Egli ha su ciascuno di noi, ad attuare cioè la Sua volontà.

E si sa che la prima volontà di un padre è che i figli si trattino da fratelli, si amino; pratichino quella che può definirsi "l'arte di amare" che emerge dal Nuovo Testamento.

Essa vuole che si ami tutti senza discriminazioni; che si ami per primi, senza attendere amore dagli altri; che si ami ognuno come sé. Domanda di far propri i pensieri, i pesi, le sofferenze e le gioie dei fratelli. Vuole che si amino persino i nemici.

E dove quest'amore si vive radicalmente, la gente ne è meravigliata, vuole sapere, ed è trascinata a fare altrettanto. Nasce la rivoluzione dell'amore.

Ma, se questo amore è vissuto da più persone, diventa reciproco.

E Cristo ha lasciato proprio come norma: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi". Egli sapeva che questo amore era necessario perché nel mondo si formi quella famiglia umana universale, che supera il concetto di società internazionale; famiglia universale dove i rapporti tra persone, gruppi, popoli, sono tali da abbattere divisioni e barriere di ogni tipo, in ogni epoca.

Lo si sa che chiunque, da solo, si accinga oggi a "spostare le montagne" dell'indifferenza, se non dell'odio e della violenza, ha un compito immane e pesante. Ma ciò che è impossibile a milioni di uomini isolati e divisi, pare diventi possibile a gente che ha fatto dell'amore scambievole, della comprensione reciproca, dell'unità, il movente essenziale della vita.

E perché questo? C'è un perché.

Un elemento di questa nuova spiritualità, preziosissimo, conseguente all'amore reciproco, annunciato anch'esso dal Vangelo, dice: "Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". Cristo stesso è presente fra loro e quindi in ciascuno di loro.

E quale possibilità superiore può esistere per coloro che vogliono essere strumento di fraternità e di unità?

Questo amore reciproco, questa unità, che tanta gioia dà a chi la mette in pratica, chiede comunque impegno, allenamento quotidiano, sacrificio.

E qui appare, per i cristiani, in tutta la sua luminosità e drammaticità, quella parola che il mondo non vuole sentir pronunciare, perché ritenuta stoltezza, assurdità, non senso: croce.

L'accettarla, il saperla portare è essenziale per questa spiritualità.

Non si fa nulla di fecondo al mondo senza voler portare la croce.

Tratto dal discorso di Chiara Lubich al PPE nel 1998 [leggi tutto]

13 marzo 2008

Iraq, ucciso il vescovo di Mosul

MOSUL - "Monsgnor Rahho è morto. Lo abbiamo ritrovato privo di vita nei dintorni di Mosul. I rapitori lo avevano sepolto". Lo ha reso noto il vescovo ausiliario di Bagdad, monsignor Shlemon Warduni, che ha annunciato attraverso il Servizio Informazione Religiosa della Cei il ritrovamento del corpo di mons. Rahho.

Il vescovo era stato rapito lo scorso 29 febbraio. Due guardie di sicurezza e l'autista del Presule erano stati brutalmente uccisi a colpi di arma da fuoco dai sequestratori. La richiesta di un riscatto aveva fatto sperare che il rapimento potesse concludersi con il rilascio dell'arcivescovo.

L'informazione è alla base della prevenzione

Parte la settimana di prevenzione del tumore alla prostata

12 marzo 2008. Dal 12 al 19 marzo 2008 la World Foundation of Urology promuove per il secondo anno la Settimana Nazionale di Prevenzione del Tumore della Prostata, che coincide con la Festa del papà, allo scopo di sensibilizzare le Istituzioni e il grande pubblico nei confronti del tumore della prostata, educare a una corretta alimentazione integrata per ridurre l’incidenza di questo male e informare sulla necessità di eseguire annualmente la visita urologica e il dosaggio del PSA (Antigene Prostatico Specifico).
Durante la settimana, oltre alla distribuzione di materiale informativo, è prevista anche una raccolta fondi tramite numerosi eventi e la vendita di cravatte appositamente realizzate da un’idea di Maurizio Marinella. I proventi saranno destinati all’acquisto di apparecchiature per la chirurgia laparoscopica (minimamente invasiva) del tumore della prostata che saranno donate alle Divisioni di Urologia di 3 ospedali italiani: San Raffaele di Milano (nord), Fatebenefratelli di Roma (centro) e Acquaviva delle Fonti di Bari (sud). Il numero verde per le donazioni è 800 99 33 83.

“In Italia il tumore della prostata ha un’incidenza del 12% e ogni anno si registrano 42.804 tumori con 9.070 decessi. 17.000 nuovi casi vengono scoperti ogni anno e di questi il 20% è già allo stadio di metastasi - spiega il prof. Mauro Dimitri, Presidente della World Foundation of Urology – Ad essere maggiormente colpiti sono gli over 50, una fascia d’età che in Italia comprende circa 9.300.000 uomini, tutti potenzialmente a rischio. Il dato diventa ancora più allarmante se si considera che solo il 22% dei maschi italiani tra i 50 e i 70 anni conosce il significato del test del PSA, strumento principale di diagnosi del tumore della prostata, contro il 48% degli uomini negli Stati Uniti”.

Questi numeri fotografano la drammaticità del fenomeno che può essere arginato solo con un’adeguata attività di prevenzione e di diagnosi precoce. Già l’alimentazione da sola può cambiare l’incidenza e la mortalità del tumore alla prostata. Infatti le linee guida per una sana alimentazione sono: dieta a base vegetale, abbondanza di frutta e verdura, alto contenuto di fibre, pochi grassi, pochi cereali, farine e zuccheri raffinati, molti liquidi e un’adeguata attività fisica, che contribuisce al raggiungimento e al mantenimento di un peso ideale.

12 marzo 2008

JANJAWEED: RICEVIAMO ORDINI DA KHARTOUM

Roma, 12 mar. (Apcom) - Il comandante di circa 20.000 miliziani arabi janjaweed (diavoli a cavallo, ndr), attivi nella regione sudanese del Darfur, ammette di ricevere le armi dal governo di Khartoum e di prendere ordini direttamente dal Presidente sudanese Omar al Bashir. "Tutte le apparecchiature che abbiamo, da dove pensi che arrivino? Credi che cadano magicamente dal cielo? Appartengono al governo", ammette Mohammed Hamdan in un'intervista rilasciata alla televisione britannica Channel 4 e riportata oggi dal Daily Telegraph.

Le milizie janjaweed sono accusate dei peggiori crimini commessi nella regione sudanese dall'inizio del conflitto, nel febbraio 2003, che ha causato finora almeno 200.000 morti e oltre 2,5 milioni di profughi e sfollati. Al Bashir ha sempre negato ogni legame con i miliziani, definendoli "ladri e banditi". Hamdan ha parlato con l'emittente britannica nel suo campo nel Darfur del Sud, Um al Qura, accanto a una Toyota Land Cruise dotata di mitragliatrice e uomini armati di mortai, armi anti-aeree e Kalashnikov: "Le armi, le autovetture, tutto quello che vedi, lo riceviamo dal governo".

Hamdan, 31 anni, afferma inoltre di ricevere ordini direttamente dal Presidente sudanese. Il leader arabo precisa di averlo incontrato due volte nel settembre 2006: "Ci chiesero un incontro. Due siti erano caduti sotto il controllo dei ribelli: Un Sidir e Kiryari (nel Darfur del Nord). Dopo la loro caduta, ci chiesero, naturalmente in quanto parte delle forze armate, di andare nelle zone settentrionali. Chiedemmo delle attrezzature che sono queste che vedi ora. Loro ci rifornirono di autovetture e armi, così noi andammo a nord". Il leader janjaweed precisa che i due incontri si svolsero alla presenza del ministro della Difesa, Abdul Rahim Mohammed Hussein: "Uno degli incontri con il Presidente si svolse nella sua abitazione, mentre il secondo si tenne nel quartier generale delle forze armate".

I primi contatti con il governo di Khartoum risalgono però al 2003, quando scoppiò il conflitto. Hamdam afferma di essere stato arruolato proprio per combattere i ribelli: "C'era una chiamata generale alle armi, in tutto il Sudan, dopo lo scoppio della ribellione. Dopo fu il governo sudanese a venire da noi". Secondo il suo racconto, l'esercito "ci mandò degli ufficiali per arruolarci e addestrarci". Hamdan venne addestrato in un campo a ovest di Nyala, la capitale provinciale del Darfur del Sud, insieme ai militari. A riprova di quanto affermato, il leader janjaweed mostra il suo tesserino militare, con su scritto 'Identità degli ufficiali e dei soldati, Commissione delle forze armate per l'intelligence e la sicurezza', seguito dal numero di identificazione, una fotografia e un ologramma delle insegne militari sudanesi. Hamdan respinge infatti l'etichetta di janjaweed, senza però smentire le atrocità che gli altri combattenti arabi hanno commesso in Darfur.

"Abbiamo solo combattuto contro i ribelli - precisa parlando per sè - infatti, ci sono state volte che abbiamo ricevuto l'ordine di prendere parte a operazioni nelle aree civili". Ma Hamdan precisa di essersi rifiutato di obbedire a questi ordini, anche se c'è chi lo smentisce. Una squadra di osservatori inviata dall'Unione africana nella regione sudanese ha scritto in un rapporto che Hamdan era uno dei tre leader janjaweed che guidarono un attacco al villaggio di Adwah il 30 novembre 2004, in cui vennero uccisi oltre 200 civili e le donne picchiate e stuprate.

03 marzo 2008

Grande coalizione “petrolifera” tra Pdl e PD

I giochi sono tutti già fatti, dopo le elezioni grande coalizione e ministro degli esteri del PD (D’Alema o Fassino) figura indispensabile per mantenere i rapporti idilliaci con il dittatore venezuelano Chavez e permettere all’Eni di portare avanti un progetto molto importante sul più grande giacimento petrolifero del mondo.

L'Eni infatti rientra in Venezuela nell' upstream petrolifero con un accordo siglato appena ieri con la locale azienda di Stato: la Petróleos de Venezuela Sa, o Pdvsa.
I due gruppi costituiranno una società a capitale misto, al 40% dell'Eni e al 60% della Pdvsa, per lo sfruttamento di un'area di 670 chilometri quadrati (il blocco petrolifero Junin 5) nella cosiddetta faja dell'Orinoco, la fascia del fiume Orinoco che contiene il più grande deposito al mondo di idrocarburi pesanti, stimato nel suo insieme in 1.300 miliardi di barili di olio.

La missione in Venezuela del ministro degli Esteri Massimo D'Alema rientra nell'ambito del miglioramento delle relazioni politiche nel subcontinente, e in particolare dal sottosegretario Donato Di Santo, che ha effettuato molti viaggi nell'area. D'Alema, che ha parlato con la stampa dopo un incontro con il ministro degli Esteri venezuelano, ha sottolineato di voler «esprimere la soddisfazione per un accordo di cooperazione che assume un grande rilievo e che è per noi un risultato molto positivo e incoraggiante». Oltre alla “diplomazia economica” che ha caratterizzato una missione parallela a quella dell’Eni insomma, il responsabile della Farnesina ha voluto ribadire ancora una volta la rinnovata attenzione dell’Italia nei confronti del sub-continente, dopo anni di lacune e disinteresse. Basti pensare che erano diciassette anni che un ministro degli Esteri italiano non si faceva vedere a Caracas. E poi, tra un colloquio e l’altro, il vice premier non ha voluto mancare di fare un salto al pantheon di Simon Bolivar, “il liberatore” assurto a padre ideale della repubblica chavista. Non c'è dubbio che da queste parti più di qualcuno avrà apprezzato.

Il prossimo appuntamento, guarda caso poche settimane dopo le nuove elezioni politiche in Italia, è previsto per i primi giorni di maggio. Quindi tutti al voto con i due maggiori partiti già predisposti alla grande spartizione. Sondaggi attuali cominciano ad abituare gli italiani all’idea del pareggio, in realtà non sarà proprio così, i dati delle scorse elezioni indicano che Berlusconi vincerebbe in Senato con meno di dieci seggi di vantaggio, questa “esigua” maggioranza gli basterà per fingersi costretto alla grande coalizione con Veltroni e l’assegnazione al PD di alcuni ministeri tra cui sicuramente quello degli Esteri, con grande soddisfazione di Chavez ovviamente, il quale continuerà a stringere la mano e farsi fotografare anche in futuro con un ministro degli esteri italiano di sinistra.

La firma tra Eni e Pdvsa avrà come effetto quello di spiazzare ExxonMobil, la major rimasta fuori. Proprio nei giorni scorsi la tensione tra ExxonMobil e Pdvsa è salita alle stelle e Rafael Ramirez, ministro dell'Energia venezuelano, oltre che presidente della stessa Pdvsa, ha dichiarato al Parlamento venezuelano che «Exxon sta lavorando apertamente per fare guerra al governo di Chavez, e ha l'appoggio del Dipartimento di Stato di Washington».
La tensione è molto alta dopo che un tribunale inglese ha consentito a ExxonMobil di congelare dei beni di proprietà di Pdvsa, negli Stati Uniti. La risposta di Caracas non si è fatta attendere: Chavez ha ordinato che nei prossimi mesi si sospenda l'invio di greggio venezuelano negli Stati Uniti. Da qui accuse reciproche: secondo gli Stati Uniti quella di Chavez è una partita persa dato che il fabbisogno energetico americana dipende solo per il 10% da Caracas. I fornitori più importanti sono Arabia Saudita, Messico e Canada. Mentre Caracas ha risposto dicendo che il petrolio destinato agli Stati Uniti ha già nuovi destinatari.