21 settembre 2007

La Cina è sempre leader nelle persecuzioni religiose

Il Dipartimento di Stato segnala piccoli progressi in Arabia
Saudita, anche se «le restrizioni sono ancora eccessivamente
rigide». Il Vietnam esce dall'elenco dei «sotto osservazione»
Denunciati «soprusi e arresti immotivati» dei cattolici. Otto i Paesi nella lista nera Usa, entra anche l'Uzbekistan

Si allunga la lista nera di Washington. La libertà religiosa nel
mondo è sempre in pericolo e le persecuzioni contro i credenti di
ogni fede sono fonte di instabilità e di violenze.
Lo attesta l'edizione 2007 del Rapporto sulla libertà religiosa
diffuso ieri nel corso di una conferenza stampa a Washington,
presente anche il segretario di Stato, Condoleezza Rice.
Illustrando il documento, l'ambasciatore e curatore del Rapporto,
John Hanford III, ha voluto spiegare che «l'impegno per la libertà
religiosa nel mondo non è un tentativo di esportare semplicemente un
metodo americano», quanto invece il riconoscimento della «libertà
religiosa come un diritto inviolabile dell'uomo».

Entrando nel dettaglio, Hanford ha sottolineato in particolare la
situazione critica per i cristiani e i cattolici in Cina e per le
minoranze in Iran, due degli otto Paesi che rientrano a pieno titolo
nella lista nera che comprende anche Myanmar, Nord Corea, Sudan,
Eritrea, Arabia Saudita e, dall'edizione 2007, l'Uzbekistan.
Malgrado le pressioni esercitate in più occasioni dallo stesso
presidente Bush su Hu Jintao e l'appello nel novembre del 2006 ad
Hanoi del segretario di Stato Rice, la libertà religiosa a Pechino
continua a essere schiacciata sotto il macigno delle pressioni
politiche e questo nonostante - si legge nel rapporto - «la
Costituzione cinese garantisca libertà di credo e di religione».
Oltre alla questione del Tibet, alla persecuzione dei fedeli del
Falun Gong e degli uiguri, al divieto per i bambini di avere
un'educazione alla fede, e alla repressione delle chiese
protestanti «illegali», il Dipartimento di Stato denuncia i soprusi,
la scia di arresti e di incarcerazioni immotivate riservati ai
cattolici e ai vescovi della Chiesa locale.
Un trend che non accenna a diminuire, è la conclusione amara del
Dipartimento di Stato.

In Iran la comunità ebraica e i gruppi cristiani sono tenuti di
fatto ai margini della società mentre negli ultimi tempi si è
radicalizzato il clima di tensione contro chiunque non faccia parte
dell'universo sciita.
In Eritrea diverse Ong hanno stimato in almeno 1900 i «prigionieri
religiosi» custoditi nelle carceri del Paese.
Mentre Myanmar ha costituito una vera e propria rete sofisticata di
spie per controllare e monitorare dall'interno i raduni e le
attività di tutte le organizzazioni, comprese quelle religiose.
Bacchettate anche per l'Europa, dove Romania e Slovacchia sono sotto
la lente per le leggi discriminatorie contro le minoranze religiose
approvate lo scorso anno.
Ma vi sono anche notizie in controtendenza.

Passi avanti sensibili verso la tolleranza sono stati compiuti in
Vietnam - fino allo scorso anno incluso nella lista nera - dove sono
stati allentati i controlli sui movimenti religiosi. E segnali
positivi vengono anche dal Bangladesh e dal Turkmenistan.
Ottimismo, ma credito ancora limitato, invece per quanto accade in
Arabia Saudita.
L'ambasciatore Hartford ha precisato che il governo ha preso
decisioni importanti per sradicare l'intolleranza e consentire ai
non-musulmani di poter possedere libri e icone religiose.
Piccoli e timidi passi che non hanno permesso al governo di Riad di
essere depennati dalla lista nera visto che, dice il rapporto, «le
restrizioni alla pratica religiosa sono ancora eccessivamente
rigide».

Dal Nostro Inviato A Washington Alberto Simoni – Avvenire 15-09-2007
Notizia del 19/09/2007 stampata dal sito web www.lucisullest.it

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