Maria tu mi sostieni fin da piccolino, dammi forza e illuminami sempre, mio faro di luce
11 ottobre 2007
Celebrazioni per un assassino
di Fausto Carioti
Alla voce “Vittime di Che Guevara in Cuba” appaiono oltre duecento esecuzioni. Quattordici nemici, o presunti tali, furono eliminati dal comandante, direttamente o su suo ordine, in Sierra Maestra, durante la guerriglia contro gli uomini di Fulgencio Batista, tra il 1957 e il 1958. Dal 1 al 3 gennaio del 1959, appena catturata la cittadina di Santa Clara, mandò a morte altre 23 persone. Ma il grosso del sangue il futuro idolo dei pacifisti lo versò in qualità di comandante della Cabaña, la fortezza dell’Havana adibita a prigione. Tra il 3 gennaio e il 26 novembre del 1959 sono attribuite a Guevara ben 164 esecuzioni. Vista la metodologia dell’indagine, si tratta di numeri necessariamente approssimati per difetto: altre fonti parlano di almeno quattrocento uccisioni solo nel carcere dell’Havana.
Va da sé che il processo riservato a quei disgraziati era un abominio giuridico.
Lo confermano le parole del giurista José Vilasuso, che all’epoca faceva parte del tribunale di La Cabaña: «Le direttive del Che stabilivano che dovessimo agire nel modo più risoluto, vale a dire che [gli accusati] erano tutti assassini e che il modo rivoluzionario di procedere doveva essere implacabile». Un ex comandante delle truppe di Guevara, Jaime Costa Vázquez, ha raccontato che i suoi ordini erano chiarissimi: «Nel dubbio, fucilare».
Alvaro Vargas Llosa, nel suo libro “Il mito Che Guevara e il futuro della libertà”, appena pubblicato in Italia da Lindau, ha raccolto una piccola antologia di citazioni dai diari e dagli altri scritti del Che. Il quale nel gennaio del 1954, appena arrivato a Cuba, scriveva alla moglie di sentirsi «vivo e assetato di sangue».
Non era per impulso che cedeva all’odio e alla violenza. Guevara teorizzò con lucidità il ricorso a simili strumenti. Nel messaggio che inviò nel 1967 alla Tricontinentale, l’organizzazione rivoluzionaria afro-asiatico-latinoamericana, spiegava così quale dovesse essere il motore degli eserciti rivoluzionari: «L’odio come un elemento del conflitto; un odio implacabile nei confronti del nemico, che spinge l’uomo oltre i suoi limiti naturali e lo trasforma in un’efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere».[leggi tutto]
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