14 marzo 2008

E' morta Chiara Lubich

Anzitutto la spiritualità dell'unità suppone una profonda considerazione di Dio per quello che è: Amore, Padre.

Come si potrebbe, infatti, avere la visione dell'umanità come di una sola famiglia, senza la presenza di un Padre per tutti?

Credere al Suo amore è l'imperativo di questa nuova spiritualità, il suo punto di partenza; credere che siamo amati da Lui personalmente e comunitariamente.

Egli, infatti, ci conosce nel più intimo, segue ognuno di noi in ogni particolare. "Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati", dice il Vangelo. E non lascia alla sola iniziativa degli uomini il progredire della società, ma se ne prende cura.

Credere all'amore di Dio. E, fra le mille possibilità che l'esistenza offre, guardare a Lui come Ideale della vita.

Ma non basta credere all'amore di Dio.

La presenza e la premura di un Padre chiama ognuno ad essere figlio, a rispondere a quel particolare disegno d'amore che Egli ha su ciascuno di noi, ad attuare cioè la Sua volontà.

E si sa che la prima volontà di un padre è che i figli si trattino da fratelli, si amino; pratichino quella che può definirsi "l'arte di amare" che emerge dal Nuovo Testamento.

Essa vuole che si ami tutti senza discriminazioni; che si ami per primi, senza attendere amore dagli altri; che si ami ognuno come sé. Domanda di far propri i pensieri, i pesi, le sofferenze e le gioie dei fratelli. Vuole che si amino persino i nemici.

E dove quest'amore si vive radicalmente, la gente ne è meravigliata, vuole sapere, ed è trascinata a fare altrettanto. Nasce la rivoluzione dell'amore.

Ma, se questo amore è vissuto da più persone, diventa reciproco.

E Cristo ha lasciato proprio come norma: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi". Egli sapeva che questo amore era necessario perché nel mondo si formi quella famiglia umana universale, che supera il concetto di società internazionale; famiglia universale dove i rapporti tra persone, gruppi, popoli, sono tali da abbattere divisioni e barriere di ogni tipo, in ogni epoca.

Lo si sa che chiunque, da solo, si accinga oggi a "spostare le montagne" dell'indifferenza, se non dell'odio e della violenza, ha un compito immane e pesante. Ma ciò che è impossibile a milioni di uomini isolati e divisi, pare diventi possibile a gente che ha fatto dell'amore scambievole, della comprensione reciproca, dell'unità, il movente essenziale della vita.

E perché questo? C'è un perché.

Un elemento di questa nuova spiritualità, preziosissimo, conseguente all'amore reciproco, annunciato anch'esso dal Vangelo, dice: "Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". Cristo stesso è presente fra loro e quindi in ciascuno di loro.

E quale possibilità superiore può esistere per coloro che vogliono essere strumento di fraternità e di unità?

Questo amore reciproco, questa unità, che tanta gioia dà a chi la mette in pratica, chiede comunque impegno, allenamento quotidiano, sacrificio.

E qui appare, per i cristiani, in tutta la sua luminosità e drammaticità, quella parola che il mondo non vuole sentir pronunciare, perché ritenuta stoltezza, assurdità, non senso: croce.

L'accettarla, il saperla portare è essenziale per questa spiritualità.

Non si fa nulla di fecondo al mondo senza voler portare la croce.

Tratto dal discorso di Chiara Lubich al PPE nel 1998 [leggi tutto]

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