30 luglio 2006

L’ABBRONZATURA, IL LIFTING E LA “BELLA RAGAZZA” DI NAZARETH



Guardatevi attorno: tutto è un grido verso quel 15 agosto...

Sembra ieri che abbiamo vinto il campionato del mondo di calcio e già le belle bandiere tricolori messe a sventolare sulle finestre, sulle terrazze, nei bar o nei bagni al mare si sono scolorite. Erano così scintillanti. Ora sono inguardabili. Ne vedi alcune sfilacciate e strappate dal vento, altre consunte dal sole, altre ancora sporcate dalla pioggia. E’ incredibile come facciano presto, le bandiere, a sciuparsi. Tutte le bandiere. Non fai in tempo a crepare per loro che sono già diventate un cencio indecente. Da vessilli garruli e trionfanti in poco tempo diventano stracci tristi e smorti. E’ la parabola inevitabile delle cose. E anche dei sogni.

Eppure c’è una speranza. Splenderà proprio a Ferragosto e molti non se ne accorgeranno. E’ vero che le bandiere si consumano, i vestiti si sgualciscono, il giornale di ieri è già ingiallito e illeggibile, i campi di grano appena ieri pieni di spighe dorate, sembrano già steppe autunnali. I boschi cominciano a ingiallire e anche i fiori appassiscono. “Se son rose sfioriranno” dice una fulminante battuta di Montanelli. Una polvere impalpabile si posa incessantemente su tutte le cose. Guardi casa tua, ti sembra solida e robusta e invece ha bisogno di continua manutenzione, perché tutto invecchia e si guasta, si corrompe. Tutto tende al disordine, tutto decade e s’incasina, dice un fondamentale principio della fisica. Tutto si consuma.

Di solito evitiamo distrattamente di pensarci. Ma la prima cosa a decadere, consumarsi, guastarsi è il nostro stesso corpo. Osservare gli esseri umani sulla spiaggia, in questi giorni d’estate, è impressionante. Il vigore e la formosa armonia dei corpi giovani, orgogliosamente esibiti, fanno pensare alla scultura gotica, quella che rende leggero il marmo delle cattedrali e dà quasi la sensazione che lo proietti nel cielo vincendo la forza di gravità. Ma nel giro di qualche anno la forza di gravità si prenderà la sua rivincita: tutto cala, cade, si affloscia, si sforma, si usura. La terra chiama la terra verso di sé. Polvere sei e polvere tornerai. E allora cominciano i poderosi e continui lavori di manutenzione: tingere quei capelli imbiancati, tirar su quei glutei cadenti, stirare quelle rughe, consumare quel grasso in eccesso, cancellare quelle borse sotto gli occhi. Lavori interminabili, continui, costosi, instancabili come per tirar su ogni giorno un muro che la notte crolla. E poi la visita dall’oculista perché non si legge più bene senza occhiali e i capelli che cadono. E quei doloretti alle spalle.

Si tenta di fermare in ogni modo (vanamente) l’invecchiamento. Si vorrebbe fermare l’attimo come il Faust di Goethe, ma svaniscono perfino gli imperi millenari, figuriamoci i singoli. “Tutto al mondo passa e quasi orma non lascia”, avverte Leopardi. Gli attimi della vita quotidiana sembrano non passare mai, ma sono gli anni che corrono imperterriti. Implacabili. In un batter d’occhio. E un sottile strato di polvere copre tutte le cose. Quella noia impalpabile che alla fine ammoscia perfino gli amori più ardenti e gli ideali più infiammati. E’ il peso della natura decaduta. La forza di gravità.

D’altra parte perfino i giovani investono giornate e sforzi sovrumani nell’immane quanto vana opera di manutenzione: a “scolpirsi” in palestra, a profumarsi e abbronzarsi. Poveretti, è come costruire i castelli sulla sabbia, come scrivere un nome amato sul bagnasciuga, questo illusorio fuggire dall’offesa del tempo. In fin dei conti è della carnalità del nostro essere che abbiamo terrore. Tutto ci ricorda il suo continuo corrompersi. Sudare è segno del degrado biologico a cui siamo sottoposti, l’odore stesso del corpo deve essere bandito, la nostra società è asettica: è proibito sudare, i corpi devono emanare solo profumo, nulla che sia segno di putrefazione.

L’epoca apparentemente più “materialista” ed edonista, la nostra, in realtà ha orrore della carne. Siamo tutti gnostici senza saperlo. Lo dimostrano l’enorme crescita delle nostre spese per cosmetici e l’orrore che abbiamo per il corpo malato, per la carne sofferente. Lo sconvolgente crocifisso di Grunewald, il più drammatico di tutta la storia dell’arte, fu concepito dal pittore tedesco del Quattrocento per i malati di lebbra e di Fuoco di S. Antonio che affollavano quella cappella disperatamente per pregare, ritrovando sulle carne devastata del Dio-Uomo, le proprie stesse piaghe, il proprio strazio.

Alla fine gli unici trionfalmente “materialisti” restano i cristiani. “E’ una Carne che salva la carne”, diceva un padre della Chiesa come s. Ambrogio. Nei “Fratelli Karamazov” – ottima lettura per l’estate - Dostoevskij racconta la storia di un parricidio che è più di un parricidio. Il vecchio Fedor Pavlovic Karamazov, padre dei tre fratelli, esprime infatti al massimo la terrestre carnalità che ci fa orrore: viene descritto volgare e violento, meschino e cinico, un “misero buffone”. E’ fisicamente calvo, nasone, bocca larga, doppio mento. Provoca ripulsa fisica nei tre figli. Ma mentre Ivan e Dimitrij lo disprezzano apertamente, Alioscia si fa monaco e pensa di evitare l’odio della carne scegliendo lo spirito e scegliendo un “padre spirituale” come il santo starets Zosima. Però il monaco gli dà la lezione più importante morendo: il suo corpo infatti comincia subito a emanare cattivo odore. Alesa prima ne è scioccato, sconvolto, poi comprende che anche quel santo è fatto di carne come suo padre: esce dalla stanza, scoppia in un pianto dirotto e gettandosi a terra abbraccia tutto il creato. Comprende che la fede in Cristo non è una fuga nello spirituale, ma è la certezza sull’unico Dio che ha preso la carne umana e il suo dolore vincendo la forza di gravità della natura decaduta, che ha manifestato con i miracoli il suo dominio sul creato, sulla malattia e perfino sulla putrefazione della carne con la resurrezione.

Alioscia comprende che il destino dell’uomo non è la decomposizione buia e disperata del corpo e non è neanche solo la “salvezza dell’anima”, ma è la resurrezione della carne, la glorificazione di tutto il nostro essere e la “divinizzazione”. E capisce che questa forza è entrata nella storia e questa nuova storia è già cominciata. Con la prima creatura che vive già questa glorificazione della carne, questa eterna giovinezza, questa bellezza che non si corrompe e non passa: Maria.

Nel paesetto dove mi trovo, sulla costa toscana vicino a Bolgheri, la chiesina è in mezzo alla pineta, vicino al mare. La parrocchia celebra la sua festa il 15 agosto: l’Assunta, cioè l’Assunzione di Maria in cielo in corpo e anima. Così a ferragosto si porta in processione per le vie, normalmente popolate di gente in costume, alle prese con le guerre dei corpi, la raffigurazione della “Bella Ragazza” di Nazareth, del suo corpo che è già in Cielo, glorificato, del suo volto eternamente giovane, bellissimo. Come il suo cuore. I cristiani sono considerati strani soggetti. Ma in realtà danno corpo alla segreta speranza di tutti.

© “Libero” 25 luglio 2006

[Antonio Socci]

23 luglio 2006

I diritti di Israele: una prova per l’Occidente


Al di là delle differenti opinioni sulla nuova crisi in Medio Oriente, emerge che per gran parte del mondo il diritto di Israele all’esistenza è una variabile dipendente, non un principio inviolabile delle relazioni internazionali. Anche il nostro Occidente legittima pienamente non soltanto degli Stati che non hanno relazioni diplomatiche con Israele, ma si dicono pronti ad averle qualora sorgesse uno Stato palestinese, ma legittima anche quegli Stati e gruppi che hanno scatenato una guerra del terrore e predicano l’annientamento di Israele.
È una riflessione che s’impone quando da parte dei governi, dei parlamenti nazionali e dell’Unione Europea si deplora l’uso «eccessivo» della forza o la reazione «sproporzionata » di Israele, limitandosi a mettere a confronto un certo numero di israeliani uccisi contro un numero maggiore di vittime palestinesi e libanesi, l’impiego di aerei e lanciamissili contro kamikaze e razzi. Senza contestualizzare gli eventi bellici, citando en passant la volontà di distruggere Israele quasi si trattasse di uno dei tanti elementi della crisi. Finendo per mettere sullo stesso piano l’attentato terroristico sferrato da chi disconosce il diritto di Israele all’esistenza e la rappresaglia militare di chi difende il proprio diritto alla vita. E nella condanna indistinta della violenza e nell’appello generico alla pace, si finisce di fatto per legittimare il terrorismo. Occultandone la natura aggressiva, giustificandolo come «reazione» ai bombardamenti, nobilitandolo come «resistenza » all’occupazione. In questo clima saturo di disinformazione la realtà viene mistificata, i pregiudizi religiosi e ideologici nei confronti di Israele riesplodono con modalità e graduazioni diverse.
Ebbene, una corretta informazione fa emergere come l’inizio della crisi sia stato l’attentato terroristico compiuto il 25 giugno scorso da un commando di Hamas, partito da Gaza non più occupata, che ha ucciso due soldati israeliani e rapito un terzo. Un’iniziativa che ha voluto sabotare la speranza della ripresa del negoziato, riaffiorata dopo il vertice tra il presidente palestinese Abu Mazen e il premier israeliano Olmert a Petra il 22 giugno, sotto gli auspici del re giordano Abdallah II. Un copione già visto quando nell’ottobre del 1993 Hamas scatenò per la prima volta i suoi kamikaze sugli autobus a Gerusalemme e Tel Aviv per sabotare il nascente processo di pace siglato il 13 settembre 1993 a Camp David tra Arafat e Rabin. Successivamente alla rappresaglia militare israeliana a Gaza, è scattata la seconda fase della crisi. L’8 luglio i terroristi dell’Hezbollah sono penetrati in territorio israeliano, partendo dal Libano meridionale che non è più occupato dal 2000, uccidendo otto soldati e sequestrandone due. In questo caso si è trattato di un terrorismo su procura per scatenare un conflitto in Libano al fine di alleggerire la pressione della comunità internazionale nei confronti dell’Iran sulla questione del nucleare. Un copione simile a quello di Saddam, quando il 3 giugno 1982 commissionò a Abu Nidal l’uccisione dell’ambasciatore israeliano a Londra, Shlomo Argov, determinando la decisione israeliana di invadere il Libano il 6 giugno, al fine di distogliere l’attenzione dal massacro, con i gas chimici, di migliaia di soldati iraniani a un passo dalla presa di Bassora.
La legittimazione di Hamas, Hezbollah, Assad e Ahmadinejad viene accreditata sulla base del fatto che sono stati liberamente eletti dai rispettivi popoli. Ebbene, oggi è l’Occidente per primo, dal momento che è impegnato nella diffusione della democrazia nel mondo, a dover rispondere a un quesito fondamentale: può essere considerato democratico chi nega il diritto all’esistenza di Israele e pratica il terrorismo per distruggerlo? Ed è l’Occidente per primo, a circa 60 anni dall’Olocausto degli ebrei frutto del regime nazista andato anch’esso al potere democraticamente, a doversi pronunciare in modo inequivocabile sulla legittimità delle forze islamiche «democratiche» che stanno promuovendo una guerra volta a cancellare la patria degli ebrei dalla carta geografica. Ecco perché dovrebbe essere proprio l’Occidente a prendere l’iniziativa di accreditare sul piano del diritto internazionale che il diritto di Israele all’esistenza è un principio inalienabile e un valore incontrovertibile che sostanzia la democrazia. Che, pertanto, predicare e operare per la distruzione di Israele è un crimine contro l’umanità e una negazione della democrazia, che non può prescindere dal riconoscimento del diritto alla vita e alla libertà di tutti.
Magdi Allam

20 luglio 2006

C’è un piano: saldare Libano e Iraq

JUSTO LACUNZA BALDA

RAZZI SULLE CITTÀ della Galilea,
bombardamenti sul Libano.
Distruzione, macerie e morti
da una parte e dall’altra. Fuga
di civili ed evacuazione di migliaia
di turisti di ogni nazionalità.
Crollo dell’economia
libanese, appelli al cessate il
fuoco e ipotesi di invio di soldati
dell’Onu. La cronaca degli
ultimi giorni della crisi che
insanguina il Medio Oriente è
già molto drammatica e preoccupa
le opinioni pubbliche di
tutto il mondo. Ma il conflitto
in corso è soltanto l’occhio del
ciclone che si prepara. Che potrebbe
avere dimensioni più
vaste e più distruttive. Perché
sulla scena non ci sono soltanto
il primo ministro israeliano,
Olmert, e il leader di Hezbollah,
Nasrallah, che si sfidano e
si accusano a vicenda.
Due voci dal mondo sciita
infiammano le masse e gettano
legna sul fuoco della crisi. Il
leader iracheno della “Mahdi
Army”, Moqtada al-Sadr, ha
dichiarato a Najaf - era venerdì
14 luglio - che “gli iracheni
non rimarranno con le braccia
incrociate” perché il conflitto
del Libano “è colpa degli Stati
Uniti, la più grande potenza
straniera che appoggia Israele”.
Le sue parole sono un tentativo
di saldare la guerra in
Iraq a quella in Libano. E non
sono rimaste isolatei. A favore
di Hezbollah, nato nel 1982
per volontà dell’imam Khomeini
per sfidare lo Stato di
Israele, si è schierato immediatamente
l’Iran. Nel suo discorso
televisivo di domenica
16 luglio, l’ayatollah Ali Khamenei,
leader supremo della
Repubblica Islamica, ha dichiarato:
“Bush dice che Hezbollah
deve essere disarmato
ed è quello che l’America e
Israele vogliono. Ma non
accadrà mai… I sionisti
sono un un tumore infetto”.
Non c’è dubbio
che le dichiarazioni
dal pulpito sciita
rappresentano l’ispirazione
islamica
per i militanti di
Hamas e di Hezbollah.
La leadership
iraniana offre
anche la soluzione
per estirpare il “tumore
infetto”: continuare
la lotta contro
Israele fino alla
morte.
Le due prese di posizione
dell’Islam sciita,
quella di al-Sadr e quella
di Khamenei, puntano
in una unica direzione:
coinvolgere
il mondo musulmano
su scala
globale. Negli ultimi
anni gli isla-
mici di Hamas e di Hezbollah
hanno creato una rete internazionale
di supporto logistico,
di aiuti finanziari e di appoggi
di ogni genere alla loro causa
principale: distruggere Israele
sotto il paravento della difesa
dei diritti dei palestinesi. Con
le elezioni politiche, i due mo-
vimenti integralisti hanno trovato
anche uno spazio istituzionale
nei governi di Gaza e
del Libano. Questo ha permesso
ai falchi dei due movimenti
di far arrivare la sfida contro
Israele fino al conflitto militare
in corso. Diciamolo chiaramente:
si tratta di una guerra
armata, ormai dichiarata da
anni, contro lo Stato di Israele.
Secondo il progetto islamista
di Hamas e di Hezbollah,
Israele non ha diritto ad esistere.
Questo significa che
il futuro del popolo palestinese
non interessa ai
registi e agli esecutori
di questo piano di distruzione.
Hamas e
Hezbollah vogliono
che i palestinesi e gli
israeliani continuino
a farsi la guerra, a
combattere apertamente
e a distruggersi
a vicenda. Hamas e
Hezbollah si ostinano
a non voler capire - o
fanno finta di non capire -
che la nascita dello Stato palestinese
e il futuro di quel popolo
sono fondamentalmente
legati proprio all’esistenza
e al rispetto dello
Stato di Israele.
Questa è l’unica
realtà, forse amara
per molti ma salutare
per tutti, che con-
ta nel momento attuale. Nessuna
forza internazionale di
pace, nessuna mediazione politica,
nessuna voce potrà trovare
delle soluzioni giuste ed
eque senza riconoscere il diritto
dell’uno e dell’altro ad
esistere e a costruire il loro futuro
insieme.
Può sembrare una pazzia,
ma la pace nel Medio Oriente
non ha un’altra strada percorribile
se non quella di sostenere
contemporaneamente israeliani
e palestinesi. E per questo
i burattinai delle guerre sante,
i predicatori dell’odio razzista,
i sostenitori del terrore
programmato devono essere
sconfitti. Domani potrebbe essere
troppo tardi per il nostro
mondo esposto all’allagamento
del conflitto.
La ragione è semplice. I movimenti
Hamas e Hezbollah
sono in sintonia oggettiva con
al-Qaeda, onnipresente nel
mondo islamico, particolarmente
in Iraq e in Afghanistan.
Lo ha chiarito lo stesso Osama
bin Laden nella sua “dichiarazione
di guerra” dell’ormai
lontano 23 agosto 1996 che era
diretta contro “gli americani,
gli ebrei e i crociati”. Questi
collegamenti sembrano sfuggire
a molti leader occidentali.
Ma non tenerne conto potrebbe
rendere vane le loro proposte
di soluzioni per il futuro.

09 luglio 2006

La famiglia è fondata sul matrimonio indissolubile tra uomo e donna

Nella cultura attuale si esalta molto spesso la libertà dell'individuo inteso come soggetto autonomo, come se egli si facesse da solo e bastasse a sé stesso, al di fuori della sua relazione con gli altri come anche della sua responsabilità nei confronti degli altri. Si cerca di organizzare la vita sociale solo a partire da desideri soggettivi e mutevoli, senza riferimento alcuno ad una verità oggettiva previa come sono la dignità di ogni essere umano e i suoi doveri e diritti inalienabili al cui servizio deve mettersi ogni gruppo sociale.

La Chiesa non cessa di ricordare che la vera libertà dell'essere umano proviene dall’essere stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. Perciò, l'educazione cristiana è educazione alla libertà e per la libertà. "Noi facciamo il bene non come schiavi che non sono liberi di fare diversamente, ma lo facciamo perché portiamo personalmente la responsabilità per il mondo; perché amiamo la verità e il bene, perché amiamo Dio stesso e quindi anche le sue creature. È questa la libertà vera, alla quale lo Spirito Santo vuole condurci" [Leggi tutto]

08 luglio 2006

Quando la Spagna «rossa» perseguitò i cristiani


Il 26 giugno scorso Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione dei decreti con cui si riconosce il martirio di 148 religiose e religiosi e di una laica, assassinati in Spagna tra il 1936 e il 1937 per mano dei comunisti-repubblicani al potere. Con questo atto la Chiesa ha inteso rendere l'ennesimo, doveroso tributo a chi ha testimoniato la fede cristiana subendo persecuzioni ed atrocità infinite, ancorché sconosciute ai più. L'opinione pubblica prevalente, infatti, sembra vieppiù ignorare quelle vicende, perché delle guerra civile spagnola si è sempre offerta (a partire dai testi scolastici) una visione unidirezionale di derivazione marxista, che addossava tutte le nefandezze alle falangi franchiste, fatalmente assolvendo da ogni colpa la fazione sinistrorsa. Fazione che invece si macchiò di una tra le più sanguinose persecuzioni attuate contro i cattolici nell'intera storia dell'umanità.

Tale persecuzione non trae origine dalla guerra civile, ma dalla ideologia marxista importata dall'Unione Sovietica. Ne è prova il fatto che ancor prima dell'inizio della guerra civile i rossi avevano già scatenato la lotta contro la Chiesa, facendo centinaia di martiri nelle zone di loro occupazione. Nel 1931, a Madrid, ad esempio, le 80 suore del convento della Visitazione erano state trucidate da una pattuglia delle Unità rivoluzionarie e il convento dato alle fiamme. Appresa questa notizia, il massone Manuel Azana, allora ministro repubblicano della guerra, aveva così commentato: «Bueno! Tutti i conventi e i religiosi della Spagna non valgono la vita di un solo repubblicano!».

Quando si scatena la guerra civile, affluiscono dall'estero vari contingenti armati, a partire dalle Brigate social-comuniste internazionali, tra le quali quella italiana capeggiata da Pietro Nenni. Nel diario di Nenni, riportato da Vittorio Messori su Avvenire del 9 marzo 2001, è scritto quanto segue: «Mi rammarico di non essere riuscito a sfondare le difese di Saragozza per poter fare pulizia del clero di quella città ed incendiare la grande Basilica della Madonna del Pilar». Ed è così che, poco alla volta, prende corpo la grande mattanza dei cattolici spagnoli. Nella lettera pastorale collettiva dei vescovi spagnoli del 1° luglio 1937 (ancora nel pieno della persecuzione) si leggono queste parole: «Non crediamo che nella storia del cristianesimo e nello spazio di poche settimane si sia dato un simile scatenarsi dell'odio contro Gesù Cristo e la sua sacra religione». Tanto grande è stata la sacrilega strage cui soggiacque la Spagna, che il Delegato dei Rossi spagnoli inviato al Congresso dei «Senza Dio», a Mosca, potè dire: «La Spagna ha superato di molto l'opera dei Soviet, poichè la Chiesa in Spagna è stata completamente annientata».

La persecuzione spagnola mietè quasi 7.000 martiri, molti dei quali vennero atrocemente torturati. Secondo recenti studi del vescovo di Merida-Badajoz, Antonio Montero, tra il luglio 1936 e l'aprile 1939, subirono il martirio 6.832 persone di cui 4.184 appartenenti al clero diocesano, 12 vescovi, 1 amministratore apostolico, 2.365 religiosi e 238 tra suore e seminaristi. Di questi 6.832 martiri, 238 sono stati beatificati. Le efferatezze dei «Rossi» spagnoli raggiunsero livelli raccapriccianti: si torturarono religiosi e laici, si demolirono chiese, si profanarono le tombe e i cimiteri, si fece scempio dei cadaveri dei Santi. Don Massimo Astrua, nel suo fondamentale libro Perseguiteranno anche voi - I martiri cristiani del 20° secolo (Mimep Docete), riporta la seguente testimonianza degli anziani contadini di Villacarrillo, in Andalusia: «Vennero i rossi e, lasciando le macchine sulla strada, salirono in paese a piedi. Qui presero con la forza i sacerdoti e alcuni uomini che avevano tentato di opporsi al loro arresto e li condussero giù, nel prato che dalla strada si distende verso il Guadilimar. Estrassero quindi dalle macchine alcune bottiglie di benzina e ne infilarono il collo in bocca ai malcapitati, per costringerli a ingoiarne qualche sorso. Le vittime si contorcevano in terra dal dolore. Allora alcuni miliziani portarono dei giornali a cui avevano appiccato il fuoco e li avvicinarono alla bocca dei martiri che subito esplosero come bombe».

Dei 6832 martiri spagnoli si ricordano in particolare le figure di Monsignor Florentino Asensio Barroso e quella del sacerdote Manuel Albert Gines. Monsignor Barroso era vescovo di Barbastro, una piccola cittadina dei Pirenei centrali; predicò nella sua cattedrale fino alla domenica 19 luglio 1936: il giorno dopo fu arrestato. La sera prima aveva detto ai suoi fedeli: «Bisogna essere pronti a tutto, anche al martirio». Dei suoi 139 preti diocesani, 113 furono martirizzati insieme a 5 seminaristi e alla totalità delle 3 Comunità religiose presenti in Diocesi. Quasi tutte le sue chiese vennero incendiate, saccheggiate o distrutte. Monsignor Barroso fu torturato, orrendamente mutilato e poi, legato con un filo di ferro, fu costretto a camminare fino al luogo della fucilazione, mentre i suoi torturatori lo schernivano. Morì perdonando i suoi persecutori. Manuel Gines fu arrestato insieme a 42 contadini, uomini e donne, nei dintorni di Calanda, paesino conosciuto per il miracolo, avvenuto quattro secoli prima, della Vergine del Pilar. Tra percosse ed insulti, furono tutti allineati lungo il muro del cimitero e subito fucilati perchè «rei confessi di essere cattolici praticanti».

Vincenzo Merlo