di Martino Pillitteri - 8 maggio 2006
La scorsa settimana è stato siglato un accordo storico e i mezzi di comunicazione italiani non l'hanno quasi notato. Stiamo parlando della guerra civile in Sudan. Le due parti, il governo centrale e i ribelli indipendentisti del Darfur (una zona del Sudan grande quanto la Francia), hanno raggiunto un accordo di massima che prevede il cessate il fuoco, il disarmo dei Janjaweed (le milizie non ufficiali filo-governative responsabili di massacri di massa), l'integrazione delle truppe ribelli nell'esercito nazionale, la creazione di forze speciali per la protezione dei civili (attualmente ammassati in campi profughi) e compensazioni per i rifugiati.
L'accordo è arrivato dopo tre giorni di intensi negoziati tra i rappresentati delle parti, mediati dal sottosegretario di Stato americano Robert B. Zoellick, avvenuti nella capitale nigeriana Abuja. Anche se le parti in causa non sono mai state partner affidabili nel mantenere gli accordi presi, considerando il peso diplomatico della Casa Bianca, i benefici degli aiuti economici promessi, il fatto che le forze dell'Onu siano state ammesse in Sudan per coordinare aiuti e garantire stabilità, c'e da speculare sulla possibilità di una pace duratura e un ritorno privo di rischio dei profughi nelle zone d'origine. Che sia una vittoria della Casa Bianca non ci sono dubbi.
Proprio a Washington, un paio di settimane fa, si era svolta una marcia per sensibilizzare l'opinione pubblica americana sul genocidio del Darfur e convincere il presidente Bush ad intervenire. La marcia, che in Usa ha avuto una risonanza mediatica fortissima, è stata una sorta di musica per le orecchie del presidente, che nel giro di poche ore ha mobilitato il suo staff, ricevuto degli esperti e mandato il sottosegretario Zoellick in missione in Sudan.
Nonostante l'importanza dell'evento, la maggioranza dei mass media italiani ha tuttavia preferito occuparsi d'altro. Invece che con la marcia a favore di una risoluzione in Darfur infatti, i giornali italiani hanno riempito pagine intere con quella che Repubblica ha definito la «marcia dei nuovi schiavi d'America», ovvero quelle manifestazioni degli immigrati contrari al disegno di legge che regolerà le future norme immigratorie. Questo è il paradosso: conta di più una manifestazione di immigrati illegali che manifestano liberamente nelle città più grandi d'America contro una proposta di legge che, analizzata bene, è giusta ed equilibrata (infatti concede permesso di lavoro agli immigrati illegali che hanno la fedina penale pulita, mentre punisce severamente chi si è macchiato di atti di delinquenza) di una manifestazione, come quella per il Darfur, che è stata una marcia di civiltà e fratellanza per una causa importantissima.
Un articolo del Washington Post rende l'idea della rilevanza dell'evento: «La cosa meravigliosa di questa manifestazione è stato vedere la composizione dei partecipanti: c'erano persone che indossavano turbanti, bandana, cappelli da baseball, c'erano imam, preti, rabbini, giovani dalle Chiese e dalle Sinagoghe. Le persone - continua l'articolo - non sono venute come ebrei, musulmani, cristiani, sikh, democratici o repubblicani, bensì si sono riuniti come una grande famiglia per convincere Bush a fare di più per fermare questa guerra civile».
Sempre rimanendo in tema di marce, in occasione del 25 aprile e del primo maggio i paladini di sinistra della giustizia mondiale (pacifisti, centri sociali e no global italiani) hanno completamente ignorato, forse troppo impegnati a insultare Letizia Moratti, la tragedia che affligge il Sudan. Alla fine le cose sono andate come il copione: a parole si invoca giustizia e pace per tutti, ma nei fatti ci si mobilita solo per i cavalli di battaglia della sinistra, come l'Iraq e la Palestina.
Martino Pillitteri
1 commento:
Grazie a te Fabrizio per tutto quello che stai facendo per il Darfur.
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