31 marzo 2008

Riscaldamento globale?

«Se si prende il 1998 come punto di partenza, c’è stato un raffreddamento della terra. Se si prende come punto di partenza il 2002, il clima è in un plateau. Non è certo ciò che ci si doveva aspettare se è il CO2 a cambiare le temperature, perché i livelli di CO2 hanno continuato a crescere, ma le temperature di fatto sono scese negli ultimi dieci anni». Lo ha detto Jennifer Marohashi, biologa australiana, senior fellow dell’Institute of Public Affairs di Montreal, in una interessante intervista alla ABC Radio Nationa (4).

Da dieci anni la temperature scende, mentre le emissioni carboniose di origine umana salgono. «Su questo non ci sono vedute contrastanti fra gli scienziati», ha aggiunto la biologa. «Di fatto l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate change) ha riconosciuto la cosa: ha ammesso che negli ultimi otto anni, in questo secolo, la temperatura è ‘piatta’, nonostante i livelli di CO2 siano continuamente crescenti. Ciò che dovrebbe far salire le temperature. E’ qualcosa di inatteso, ma non viene discusso».

Ci sono solo delle ipotesi su questo fenomeno imprevisto dai modelli matematici: «Il capo dell’IPCC ipotizza che siano in gioco fattori naturali che compensano l’effetto-serra prodotto dal CO2, che è quello che dicono da sempre gli scettici dell’effetto-serra». Nell’ambiente scientifico «si è parlato molto dell’influenza del Sole, se andiamo verso un periodo di meno intensa attività solare, e se questo contribuisca all’attuale raffreddamento». Attuale raffreddamento, non riscaldamento.

I dati più sorprendenti vengono dal satellite «Aqua», lanciato dalla NASA soltanto nel 2002, che raccoglie dati non solo sulle temperature terrestri, ma sulla formazioni nuvolose e il vapor d’acqua. «I modelli che usiamo attualmente», spiega la Marohasy, «sono basati sull’idea che quando il CO2 crescente produce l’effetto-serra, aumenta anche il vapor acqueo nell’atmosfera, intensificando il riscaldamento. I dati del satellite ‘Aqua’ mostrano che avviene l’esatto contrario, ossia che quando (l’effetto serra) produce un aumento del riscaldamento, l’aumento del vapor d’acqua di fatto limitano l’effetto serra, lo compensano, con l’effetto di contrastare il riscaldamento anziché intensificarlo».

«Queste scoperte (del satellite Aqua) non sono messe in discussione dai meteorologi; solo, fanno fatica a ‘digerirle’. Penso che presto riconosceranno che i modelli su cui si basano hanno bisogno di una completa revisione, e che i nuovi modelli mostreranno un minore influsso dell’anidride carbonica nel riscaldamento». Secondo la biologa, la comunità metereologica mondiale cambierà i suoi paradigmi entro sei mesi. [leggi tutto]

25 marzo 2008

Apologia di una conversione

Articolo di Giuliano Ferrara

La conversione al cattolicesimo del laico musulmano Magdi Allam, il suo battesimo come Cristiano, è stata un grande fatto pubblico, amministrato con coraggiosa saggezza dalla chiesa e dal suo nuovo fedele. Spero che le eventuali ripercussioni polemiche (non voglio pensare adesso a un sovraccarico di violenza intollerante contro l’apostasia) saranno fronteggiate con altrettanta saggezza e altrettanto coraggio.

Un pregiudizio secolarista vuole che la conversione, come la fede, debba restare un fatto privato, che in questo si esprima la sua sincerità. Ma è falso. I laici veri conoscono la storia della spiritualità umana e sanno che l’interiorità può essere solo il primo nucleo di una conversione o addirittura il suo esito finale quando il vaglio pubblico di un nuovo modo di vedere il mondo, e di essere nel mondo, approdi alla certezza di fede che la creatura umana appartiene alla terra che abita e al cielo che non conosce. Tutto sta alla libertà e all’inclinazione dell’individuo. Un catecumeno non è prigioniero della trasfigurazione radicale del suo animo, è un uomo libero che liberamente si mette alla sequela di Cristo in comunione con un popolo credente e con i suoi pastori. [leggi tutto]

IL PAPA: "DARFUR E TIBET PIAGHE DELL'UMANITA'"

"Le piaghe dell'umanita' aperte e doloranti in ogni lato del pianeta, anche se spesso ignorate o volutamente nascoste, attendono di essere lenite e guarite dalle piaghe del Signore. Apriamoci con sincera fiducia al mistero pasquale". E' stato un messaggio di denuncia ma anche di grande speranza quello letto dal Pontefice dopo la messa pasquale celebrata sul sagrato di San Pietro sotto una pioggia battente. "Come non pensare - ha proseguito il Papa - ad alcune regioni africane, Darfur e Somalia, l'Iraq nel Medio Oriente e il Tibet per il quale si cerca il bene e la pace". La folla bagnata ma festante ha inneggiato un "Viva il Papa" prima che Benedetto XVI desse gli auguri di una santa Pasqua in 63 lingue, ultima il latino. La prima invece l'italiano: "agli uomini di Roma e d'Italia anche sotto la pioggia. Il Signore entri nelle vostre case". Prima di rientrare il Papa ha concesso l'indulgenza plenaria agli astanti e a tutti coloro che hanno seguito la cerimonia guardando la televisione o sentendo la radio.

(AGI) - Roma, 23 marzo -

20 marzo 2008

Diceva il vescovo di Mosul

A Mosul la situazione non migliora, come invece a Baghdad. È evidente che le forze della coalizione, guidate dagli Usa, hanno cominciato a “ripulire” il Paese dal sud, dove forti sono le influenze di Iran e Siria: Basra, Ramadi, Baquba e Baghdad. Man mano che procedevano gli Usa, i terroristi si sono spostati a nord, concentrandosi a Mosul. In questo modo l’America si è assicurata che i terroristi non vadano oltre, senza doversi scontrarsi con i curdi, alleati di Washington. Ma a questo punto la domanda urgente da porsi è: riusciranno mai a ripulire Mosul? Al momento non sembra ci sia una vero e proprio piano d’azione per normalizzare la città, ormai abbandonata a se stessa.

Noi cristiani di Mesopotamia siamo abituati alla persecuzione religiosa e alla pressione del potere politico. Dopo che Costantino è diventato cristiano la persecuzione è diminuita solo per i cristiani d’occidente, mentre in oriente abbiamo continuato a subire minacce. Anche oggi continuiamo ad essere una Chiesa dei martiri. Alle preghiere dei vespri, ad esempio, abbiamo sempre un inno speciale per i martiri.

A Mosul la persecuzione religiosa è più evidente ed accentuata che altrove perché la città è divisa su linee appunto di appartenenza religiosa. A differenza di Kirkuk, che è divisa per linee etniche: qui curdi, turcomanni e arabi si contendono i cristiani e cercano di portarli dalla loro parte in diversi modi. A Mosul la divisione tra cristiani e musulmani è molto più netta. Di questa guerra è inutile dire che soffriamo tutti, al di là dell’appartenenza religiosa, ma sta di fatto che i cristiani a Mosul vengono messi ancora davanti a scelte ben precise, oltre alla fuga: la conversione all’islam; il pagamento della jizya - la tassa di "compensazione" chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani; o la morte. I responsabili di tali azioni e intimidazioni sono i terroristi, ma anche gruppi di semplici criminali che si approfittano dell’Islam per trovare modo di arricchirsi. Intanto a Mosul sono rimasti un terzo dei cristiani.

È evidente l’attuazione di un progetto che non mira a colpire solo i cristiani, ma tutta la classe intellettuale e di professionisti, compresi i musulmani. Il fatto è che nonostante i cristiani costituiscono solo il 3 per cento della popolazione, rappresentavano il 35 per cento di quelli con un’istruzione superiore. Costringere queste persone alla fuga significa evitare che il Paese si risollevi. Significa far proliferare l’ignoranza che appoggia sempre il terrorismo.

Questo piano è in atto anche nel resto dell’Iraq: medici, avvocati, professori, giornalisti sono presi nel mirino degli attentati. Il progetto è ideato da chi gestisce la politica internazionale e dai Paesi vicini all’Iraq. Nessuno di loro vuole un Iraq libero e indipendente, perché sarebbe troppo forte: possedevamo, infatti, una grande forza intellettuale ed economica insieme. Tenendo il paese debole e diviso lo si domina meglio.

Tratto da un intervista di Asianews a Monsignor Raho nel novembre 2007

14 marzo 2008

E' morta Chiara Lubich

Anzitutto la spiritualità dell'unità suppone una profonda considerazione di Dio per quello che è: Amore, Padre.

Come si potrebbe, infatti, avere la visione dell'umanità come di una sola famiglia, senza la presenza di un Padre per tutti?

Credere al Suo amore è l'imperativo di questa nuova spiritualità, il suo punto di partenza; credere che siamo amati da Lui personalmente e comunitariamente.

Egli, infatti, ci conosce nel più intimo, segue ognuno di noi in ogni particolare. "Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati", dice il Vangelo. E non lascia alla sola iniziativa degli uomini il progredire della società, ma se ne prende cura.

Credere all'amore di Dio. E, fra le mille possibilità che l'esistenza offre, guardare a Lui come Ideale della vita.

Ma non basta credere all'amore di Dio.

La presenza e la premura di un Padre chiama ognuno ad essere figlio, a rispondere a quel particolare disegno d'amore che Egli ha su ciascuno di noi, ad attuare cioè la Sua volontà.

E si sa che la prima volontà di un padre è che i figli si trattino da fratelli, si amino; pratichino quella che può definirsi "l'arte di amare" che emerge dal Nuovo Testamento.

Essa vuole che si ami tutti senza discriminazioni; che si ami per primi, senza attendere amore dagli altri; che si ami ognuno come sé. Domanda di far propri i pensieri, i pesi, le sofferenze e le gioie dei fratelli. Vuole che si amino persino i nemici.

E dove quest'amore si vive radicalmente, la gente ne è meravigliata, vuole sapere, ed è trascinata a fare altrettanto. Nasce la rivoluzione dell'amore.

Ma, se questo amore è vissuto da più persone, diventa reciproco.

E Cristo ha lasciato proprio come norma: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi". Egli sapeva che questo amore era necessario perché nel mondo si formi quella famiglia umana universale, che supera il concetto di società internazionale; famiglia universale dove i rapporti tra persone, gruppi, popoli, sono tali da abbattere divisioni e barriere di ogni tipo, in ogni epoca.

Lo si sa che chiunque, da solo, si accinga oggi a "spostare le montagne" dell'indifferenza, se non dell'odio e della violenza, ha un compito immane e pesante. Ma ciò che è impossibile a milioni di uomini isolati e divisi, pare diventi possibile a gente che ha fatto dell'amore scambievole, della comprensione reciproca, dell'unità, il movente essenziale della vita.

E perché questo? C'è un perché.

Un elemento di questa nuova spiritualità, preziosissimo, conseguente all'amore reciproco, annunciato anch'esso dal Vangelo, dice: "Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". Cristo stesso è presente fra loro e quindi in ciascuno di loro.

E quale possibilità superiore può esistere per coloro che vogliono essere strumento di fraternità e di unità?

Questo amore reciproco, questa unità, che tanta gioia dà a chi la mette in pratica, chiede comunque impegno, allenamento quotidiano, sacrificio.

E qui appare, per i cristiani, in tutta la sua luminosità e drammaticità, quella parola che il mondo non vuole sentir pronunciare, perché ritenuta stoltezza, assurdità, non senso: croce.

L'accettarla, il saperla portare è essenziale per questa spiritualità.

Non si fa nulla di fecondo al mondo senza voler portare la croce.

Tratto dal discorso di Chiara Lubich al PPE nel 1998 [leggi tutto]

13 marzo 2008

Iraq, ucciso il vescovo di Mosul

MOSUL - "Monsgnor Rahho è morto. Lo abbiamo ritrovato privo di vita nei dintorni di Mosul. I rapitori lo avevano sepolto". Lo ha reso noto il vescovo ausiliario di Bagdad, monsignor Shlemon Warduni, che ha annunciato attraverso il Servizio Informazione Religiosa della Cei il ritrovamento del corpo di mons. Rahho.

Il vescovo era stato rapito lo scorso 29 febbraio. Due guardie di sicurezza e l'autista del Presule erano stati brutalmente uccisi a colpi di arma da fuoco dai sequestratori. La richiesta di un riscatto aveva fatto sperare che il rapimento potesse concludersi con il rilascio dell'arcivescovo.

L'informazione è alla base della prevenzione

Parte la settimana di prevenzione del tumore alla prostata

12 marzo 2008. Dal 12 al 19 marzo 2008 la World Foundation of Urology promuove per il secondo anno la Settimana Nazionale di Prevenzione del Tumore della Prostata, che coincide con la Festa del papà, allo scopo di sensibilizzare le Istituzioni e il grande pubblico nei confronti del tumore della prostata, educare a una corretta alimentazione integrata per ridurre l’incidenza di questo male e informare sulla necessità di eseguire annualmente la visita urologica e il dosaggio del PSA (Antigene Prostatico Specifico).
Durante la settimana, oltre alla distribuzione di materiale informativo, è prevista anche una raccolta fondi tramite numerosi eventi e la vendita di cravatte appositamente realizzate da un’idea di Maurizio Marinella. I proventi saranno destinati all’acquisto di apparecchiature per la chirurgia laparoscopica (minimamente invasiva) del tumore della prostata che saranno donate alle Divisioni di Urologia di 3 ospedali italiani: San Raffaele di Milano (nord), Fatebenefratelli di Roma (centro) e Acquaviva delle Fonti di Bari (sud). Il numero verde per le donazioni è 800 99 33 83.

“In Italia il tumore della prostata ha un’incidenza del 12% e ogni anno si registrano 42.804 tumori con 9.070 decessi. 17.000 nuovi casi vengono scoperti ogni anno e di questi il 20% è già allo stadio di metastasi - spiega il prof. Mauro Dimitri, Presidente della World Foundation of Urology – Ad essere maggiormente colpiti sono gli over 50, una fascia d’età che in Italia comprende circa 9.300.000 uomini, tutti potenzialmente a rischio. Il dato diventa ancora più allarmante se si considera che solo il 22% dei maschi italiani tra i 50 e i 70 anni conosce il significato del test del PSA, strumento principale di diagnosi del tumore della prostata, contro il 48% degli uomini negli Stati Uniti”.

Questi numeri fotografano la drammaticità del fenomeno che può essere arginato solo con un’adeguata attività di prevenzione e di diagnosi precoce. Già l’alimentazione da sola può cambiare l’incidenza e la mortalità del tumore alla prostata. Infatti le linee guida per una sana alimentazione sono: dieta a base vegetale, abbondanza di frutta e verdura, alto contenuto di fibre, pochi grassi, pochi cereali, farine e zuccheri raffinati, molti liquidi e un’adeguata attività fisica, che contribuisce al raggiungimento e al mantenimento di un peso ideale.

12 marzo 2008

JANJAWEED: RICEVIAMO ORDINI DA KHARTOUM

Roma, 12 mar. (Apcom) - Il comandante di circa 20.000 miliziani arabi janjaweed (diavoli a cavallo, ndr), attivi nella regione sudanese del Darfur, ammette di ricevere le armi dal governo di Khartoum e di prendere ordini direttamente dal Presidente sudanese Omar al Bashir. "Tutte le apparecchiature che abbiamo, da dove pensi che arrivino? Credi che cadano magicamente dal cielo? Appartengono al governo", ammette Mohammed Hamdan in un'intervista rilasciata alla televisione britannica Channel 4 e riportata oggi dal Daily Telegraph.

Le milizie janjaweed sono accusate dei peggiori crimini commessi nella regione sudanese dall'inizio del conflitto, nel febbraio 2003, che ha causato finora almeno 200.000 morti e oltre 2,5 milioni di profughi e sfollati. Al Bashir ha sempre negato ogni legame con i miliziani, definendoli "ladri e banditi". Hamdan ha parlato con l'emittente britannica nel suo campo nel Darfur del Sud, Um al Qura, accanto a una Toyota Land Cruise dotata di mitragliatrice e uomini armati di mortai, armi anti-aeree e Kalashnikov: "Le armi, le autovetture, tutto quello che vedi, lo riceviamo dal governo".

Hamdan, 31 anni, afferma inoltre di ricevere ordini direttamente dal Presidente sudanese. Il leader arabo precisa di averlo incontrato due volte nel settembre 2006: "Ci chiesero un incontro. Due siti erano caduti sotto il controllo dei ribelli: Un Sidir e Kiryari (nel Darfur del Nord). Dopo la loro caduta, ci chiesero, naturalmente in quanto parte delle forze armate, di andare nelle zone settentrionali. Chiedemmo delle attrezzature che sono queste che vedi ora. Loro ci rifornirono di autovetture e armi, così noi andammo a nord". Il leader janjaweed precisa che i due incontri si svolsero alla presenza del ministro della Difesa, Abdul Rahim Mohammed Hussein: "Uno degli incontri con il Presidente si svolse nella sua abitazione, mentre il secondo si tenne nel quartier generale delle forze armate".

I primi contatti con il governo di Khartoum risalgono però al 2003, quando scoppiò il conflitto. Hamdam afferma di essere stato arruolato proprio per combattere i ribelli: "C'era una chiamata generale alle armi, in tutto il Sudan, dopo lo scoppio della ribellione. Dopo fu il governo sudanese a venire da noi". Secondo il suo racconto, l'esercito "ci mandò degli ufficiali per arruolarci e addestrarci". Hamdan venne addestrato in un campo a ovest di Nyala, la capitale provinciale del Darfur del Sud, insieme ai militari. A riprova di quanto affermato, il leader janjaweed mostra il suo tesserino militare, con su scritto 'Identità degli ufficiali e dei soldati, Commissione delle forze armate per l'intelligence e la sicurezza', seguito dal numero di identificazione, una fotografia e un ologramma delle insegne militari sudanesi. Hamdan respinge infatti l'etichetta di janjaweed, senza però smentire le atrocità che gli altri combattenti arabi hanno commesso in Darfur.

"Abbiamo solo combattuto contro i ribelli - precisa parlando per sè - infatti, ci sono state volte che abbiamo ricevuto l'ordine di prendere parte a operazioni nelle aree civili". Ma Hamdan precisa di essersi rifiutato di obbedire a questi ordini, anche se c'è chi lo smentisce. Una squadra di osservatori inviata dall'Unione africana nella regione sudanese ha scritto in un rapporto che Hamdan era uno dei tre leader janjaweed che guidarono un attacco al villaggio di Adwah il 30 novembre 2004, in cui vennero uccisi oltre 200 civili e le donne picchiate e stuprate.

03 marzo 2008

Grande coalizione “petrolifera” tra Pdl e PD

I giochi sono tutti già fatti, dopo le elezioni grande coalizione e ministro degli esteri del PD (D’Alema o Fassino) figura indispensabile per mantenere i rapporti idilliaci con il dittatore venezuelano Chavez e permettere all’Eni di portare avanti un progetto molto importante sul più grande giacimento petrolifero del mondo.

L'Eni infatti rientra in Venezuela nell' upstream petrolifero con un accordo siglato appena ieri con la locale azienda di Stato: la Petróleos de Venezuela Sa, o Pdvsa.
I due gruppi costituiranno una società a capitale misto, al 40% dell'Eni e al 60% della Pdvsa, per lo sfruttamento di un'area di 670 chilometri quadrati (il blocco petrolifero Junin 5) nella cosiddetta faja dell'Orinoco, la fascia del fiume Orinoco che contiene il più grande deposito al mondo di idrocarburi pesanti, stimato nel suo insieme in 1.300 miliardi di barili di olio.

La missione in Venezuela del ministro degli Esteri Massimo D'Alema rientra nell'ambito del miglioramento delle relazioni politiche nel subcontinente, e in particolare dal sottosegretario Donato Di Santo, che ha effettuato molti viaggi nell'area. D'Alema, che ha parlato con la stampa dopo un incontro con il ministro degli Esteri venezuelano, ha sottolineato di voler «esprimere la soddisfazione per un accordo di cooperazione che assume un grande rilievo e che è per noi un risultato molto positivo e incoraggiante». Oltre alla “diplomazia economica” che ha caratterizzato una missione parallela a quella dell’Eni insomma, il responsabile della Farnesina ha voluto ribadire ancora una volta la rinnovata attenzione dell’Italia nei confronti del sub-continente, dopo anni di lacune e disinteresse. Basti pensare che erano diciassette anni che un ministro degli Esteri italiano non si faceva vedere a Caracas. E poi, tra un colloquio e l’altro, il vice premier non ha voluto mancare di fare un salto al pantheon di Simon Bolivar, “il liberatore” assurto a padre ideale della repubblica chavista. Non c'è dubbio che da queste parti più di qualcuno avrà apprezzato.

Il prossimo appuntamento, guarda caso poche settimane dopo le nuove elezioni politiche in Italia, è previsto per i primi giorni di maggio. Quindi tutti al voto con i due maggiori partiti già predisposti alla grande spartizione. Sondaggi attuali cominciano ad abituare gli italiani all’idea del pareggio, in realtà non sarà proprio così, i dati delle scorse elezioni indicano che Berlusconi vincerebbe in Senato con meno di dieci seggi di vantaggio, questa “esigua” maggioranza gli basterà per fingersi costretto alla grande coalizione con Veltroni e l’assegnazione al PD di alcuni ministeri tra cui sicuramente quello degli Esteri, con grande soddisfazione di Chavez ovviamente, il quale continuerà a stringere la mano e farsi fotografare anche in futuro con un ministro degli esteri italiano di sinistra.

La firma tra Eni e Pdvsa avrà come effetto quello di spiazzare ExxonMobil, la major rimasta fuori. Proprio nei giorni scorsi la tensione tra ExxonMobil e Pdvsa è salita alle stelle e Rafael Ramirez, ministro dell'Energia venezuelano, oltre che presidente della stessa Pdvsa, ha dichiarato al Parlamento venezuelano che «Exxon sta lavorando apertamente per fare guerra al governo di Chavez, e ha l'appoggio del Dipartimento di Stato di Washington».
La tensione è molto alta dopo che un tribunale inglese ha consentito a ExxonMobil di congelare dei beni di proprietà di Pdvsa, negli Stati Uniti. La risposta di Caracas non si è fatta attendere: Chavez ha ordinato che nei prossimi mesi si sospenda l'invio di greggio venezuelano negli Stati Uniti. Da qui accuse reciproche: secondo gli Stati Uniti quella di Chavez è una partita persa dato che il fabbisogno energetico americana dipende solo per il 10% da Caracas. I fornitori più importanti sono Arabia Saudita, Messico e Canada. Mentre Caracas ha risposto dicendo che il petrolio destinato agli Stati Uniti ha già nuovi destinatari.

22 febbraio 2008

Sagrada Familia

«In tutta la sua vita non ha mai scritto un libro, ha trasmesso tutto ai discepoli e i discepoli poi lo hanno imitato. Diceva che gli uomini non creano niente. L’uomo può solamente scoprire, dentro la natura, ciò che può fare. L’ultima frase di Gaudí fu: "Un piccolo contributo dato alle parole di Dio". L’uomo può dare il suo contributo, ma non può creare»

«C’era un unico spazio, nella Sagrada Familia, ultimato da Gaudì prima della morte, ed è stato distrutto nella guerra civile spagnola. Vi erano nascosti tutti i disegni, perciò ora non abbiamo più nessun originale. Mi hanno chiesto di restaurare questa parte e l’ho fatto. Ho realizzato una
scultura di 52 centimetri, che raffigura una persona con una bomba»

Di Etsuro Sotoo

Sono circa trent'anni che lavoro alla Sagrada Familia. Ho studiato in una scuola pubblica di Kyoto, nel mio Giappone. Dopo l'università ho insegnato per un anno, ma desideravo venire in Europa perché sapevo che qui c'erano le vere pietre; volevo conoscere l'anima delle pietre. Così mi sono imbattuto nella Sagrada Familia. Trent'anni fa non si capiva se la stessero costruendo o distruggendo. Trent'anni fa c'erano solo dieci operai, ora siamo in duecento e arrivano due milioni e mezzo di visitatori ogni anno.
Quando ho cominciato a lavorare alla cattedrale volevo conoscere il progetto di Gaudí. Per prima cosa ho realizzato le gemme di piante, per rendere l'idea che questo edificio, di 175 metri d'altezza, sarebbe ancora cresciuto. Tuttavia non sapevo dove mettere le foglie.

Secondo i miei calcoli la parte finale di una colonna aveva lo spessore di un centimetro. Una pietra spessa un centimetro è molto debole, non dura più di cento o duecento anni. Mi domandavo allora perché Gaudí avesse pensato a una struttura così debole. Per realizzare le foglie bisognava fare i calcoli, ma dove andavano collocate? Ci ho riflettuto a lungo, anche perché non c'erano indicazioni lasciate dal grande architetto. Un giorno pensai che mettendo una scultura in un punto debole l'avrei rafforzato. Quindi ho collocato le foglie nei punti più sottili della pietra. Così facendo, mi è sembrato di incontrare Gaudí per la prima volta. Ho pensato che intendesse realizzare strutture deboli pensando di rafforzarle con una scultura.

In seguito ho messo vicino al rosone duecento pietre scolpite a forma di frutto. Non riuscivo, però, a capirne il significato. Non c'era materiale scritto! Mi chiesi perché dovessero esserci frutti e foglie sopra le grandi vetrate. Al di là dei rosoni e delle vetrate, nella chiesa, si pronunciano parole come "Dio" e "Bibbia". Cosa c'entrano i frutti?

Nessuno me lo sapeva spiegare. Il mio essere giapponese mi è stato d'aiuto, perché nella nostra lingua "parola" si scrive con due ideogrammi che significano rispettivamente "foglia" e "che dice, che parla". Se scrivo "sto parlando" è come se scrivessi "sto dicendo foglie". Ecco svelato il significato: le migliaia di foglie sono le parole di Dio e le nostre anime sono i frutti che maturano nel tempo. Il nostro corpo può disgregarsi, ma l'anima è destinata al Paradiso. Questo è simboleggiato dai frutti, realizzati in vetro di Murano e pesanti quindici tonnellate ciascuno. I frutti della primavera sono sulla parte orientale, dove sorge il sole, mentre sulla parte occidentale sono collocati i frutti autunnali. Gaudí voleva dire che l'uomo ascolta molte parole e legge molti libri, quindi coltiva i frutti, riesce a far maturare i frutti. Nessuno aveva capito che le foglie rappresentavano le parole. All'inizio del Vangelo secondo Giovanni si legge: «In principio era il Verbo», il verbo, la parola, ha energia, quella forza che permette all'uomo di realizzare la propria vita. Perché Gaudí cercava di trasmettere messaggi con elementi naturali come frutti o foglie? In tutta la sua vita non ha mai scritto un libro, ha trasmesso tutto ai discepoli e i discepoli poi lo hanno imitato. Diceva che gli uomini non creano niente. L'uomo può solamente scoprire, dentro la natura, ciò che può fare. L'ultima frase di Gaudí fu: «Un piccolo contributo dato alle parole di Dio».

L'uomo può dare il suo contributo, ma non può creare. Molti mi chiedono: «Dove sono le tue sculture?». Ne ho realizzate tante, in Giappone e in Spagna, al di fuori della Sagrada Familia, ma sono tutte opere che provengono da ciò che ho imparato da Gaudí. Io non ho niente di originale e, se anche Gaudí ha imparato dalla natura, cosa c'è di originale in Gaudí? Eppure tutti visitiamo la Sagrada Familia, tutti andiamo a vedere i monumenti di Gaudí, colui che considerava il suo lavoro come un piccolo contributo alla creazione divina. Noi pensiamo che l'uomo possa creare qualunque cosa, ma non è vero. Abbiamo smesso di imparare dalla natura e questo ci conduce alla rovina.
Gaudí era un architetto. Per lungo tempo l'architettura si è contrapposta alla legge di gravità, grazie alla quale possiamo stare seduti. Se non ci fosse, galleggeremmo nell'aria. Quindi la gravità è una grande forza, eppure si pensava che l'architettura ne fosse disturbata. Gaudí diceva, invece, che il vero problema è la mancanza d'intelligenza nell'architetto.


Ci sono edifici che stanno in piedi grazie alla gravità e altri che la gravità tenta di distruggere.
Le Twin Towers di New York erano alte trecento metri e, subito dopo la loro distruzione, c'era già il progetto per un albergo alto trecento metri. Invece Gaudí con la Sagrada Familia si è fermato a un'altezza di 175 metri, perché di fianco c'è una collina di 180 metri. Gaudí non voleva costruire un edificio più alto di ciò che Dio aveva costruito.

Questa è saggezza. La scienza progredisce in modo ordinato, ma non dobbiamo dimenticarci del cuore, ossia dell'umiltà. Sarà l'umiltà a proteggere l'uomo e la razza umana.

Diceva Gaudí: «Se volete fare un buon lavoro dovete avere prima di tutto l'amore, e poi la tecnologia, l'abilità». Non c'è prima la techne, l'abilità, la competenza e poi i soldi; prima di tutto, all'inizio, ci deve essere l'amore, che è assoluto.

Poi vengono la tecnologia e i soldi. Se volete fare un buon lavoro dovete avere amore. Se si osserva la pianta della Sagrada Familia si nota che la distanza tra le colonne è di 7,5 metri. Si pensava, in Catalogna come in Giappone e in Italia, che un passo umano misurasse 75 centimetri. Dieci passi sono 7,5 metri: questo costituisce un modulo. Il doppio sono 15 metri, come l'altezza minima delle colonne. Le colonne più alte misurano 22,5 metri, cioè tre volte il modulo di 7,5 metri, e il tetto è sette volte il modulo: 52 metri. Quindi la Sagrada Familia è costruita in base a moduli di 7,5 metri ciascuno. Ci sono 90 metri dall'ingresso fino in fondo, cioè dodici volte 7,5 metri.
Gaudí ha usato questo sistema come linguaggio architettonico, ma non ha mai dimenticato il cuore.

C'era un unico spazio, nella Sagrada Familia, ultimato da Gaudí prima della morte, ed è stato distrutto nella guerra civile spagnola. Vi erano nascosti tutti i disegni, perciò ora non abbiamo più nessun originale. Mi hanno chiesto di restaurare questa parte e l'ho fatto. Ho realizzato una scultura di 52 centimetri, che raffigura una persona con una bomba. A causa di quella bomba morirono venti persone. Gaudí sosteneva che l'uomo non è perfetto, ma con l'umiltà e l'amore si può salvare dalla distruzione. Aveva detto: «Vorrei che, quando farai esplodere la bomba, tu vedessi Dio». Il messaggio di Gaudí è il seguente: quando una persona è sicura di avere completamente ragione, è in quel momento che il diavolo si insinua in lei. È questo il terrorismo: la completa sicurezza di se stessi.

13 febbraio 2008

Pressioni su Cina da Spielberg e Save Darfur

LOS ANGELES/WASHINGTON (Reuters) - Il regista e premio Oscar Steven Spielberg si è dimesso da consigliere artistico delle Olimpiadi 2008 di Pechino in polemica con la politica della Cina sul conflitto in Darfur.
"Ho deciso di annunciare formalmente la fine del mio impegno come uno dei consulenti artistici stranieri per la cerimonia di apertura e di chiusura dei Giochi Olimpici di Pechino", ha spiegato il cineasta in un comunicato, "Il governo del Sudan ha la maggior parte della responsabilità di questi crimini in corso ma la Comunità internazionale, e in particolare la Cina, dovrebbe fare di più per mettere fine alle sofferenze" sopportate dagli abitanti del Darfur.
"Ritengo che la mia coscienza non mi consenta di continuare come se nulla fosse", ha detto Spielberg in un comunicato diffuso ieri sera "A questo punto, il mio tempo e la mia energia devono essere spesi non per le cerimonie olimpiche, ma per fare tutto quel che posso per contribuire a porre fine agli indicibili crimini contro l'umanità che continuano in Darfur", ha aggiunto il regista.
Nel frattempo, un gruppo composto da vincitori del premio Nobel ha inviato una lettera al presidente cinese Hu Jintao per chiedere di fare pressione sul Sudan – alleato di Pechino – affinché interrompa le atrocità nella regione. Come partner economico-militare e membro del Consiglio di Sicurezza Onu, scrivono, “la Cina, che ospiterà le prossime Olimpiadi, ha l’opportunità e la responsabilità di contribuire per la pace in Darfur”.
La Cina è accusata di coprire diplomaticamente il regime di Khartoum, che si oppone all'invio di una forza di pace internazionale in Darfur.
Pechino si è sempre opposta, ponendo anche il veto, ad ogni intervento della comunità internazionale nella regione: qui, sostiene, è in corso una ribellione di cui si deve fare carico il governo legittimamente eletto.
Negli ultimi 6 anni Pechino è stato il principale sostenitore del governo sudanese, comprando il 70% delle esportazioni di Khartoum e vendendo armi e forniture militari. Il Sudan è il Paese estero in cui la Cina ha maggiori investimenti; circa 10mila cinesi lavorano nel paese. La Cina ha investito 1,6 milioni di miliardi di euro in Sudan, costruendo pozzi petroliferi, 600 km di oleodotti, raffinerie e porti.
Ad aprile, Spielberg aveva scritto al presidente cinese Hu Jintao per protestare contro il coinvolgimento della Cina in Sudan e chiedere un incontro, ma non aveva ottenuto risposta.
L'ambasciata cinese non ha per il momento commentato la notizia. Ma a gennaio il quotidiano del partito comunista cinese, e il ministero degli Esteri di Pechino, avevano detto che la Cina non accetterà pressioni da parte di gruppi che cercano di usare le Olimpiadi 2008 per far cambiare la politica del paese.

'Italians for Darfur' ha ricordato che la Cina, almeno a parole, si e' impegnata a intervenire per fermare le violenze in Darfur. Pechino ha sempre dato sostegno al Sudan, Paese da cui ottiene petrolio, ma ora pur di evitare che le prossime Olimpiadi siano l'occasione per rimproverarle complicita' nella guerra in Darfur, potrebbe assumere un impegno piu' forte nei confronti della comunita' internazionale". 'Italians for Darfur' e l'associazione dei rifugiati darfuriani in Italia hanno manifestato a Roma e Milano, in contemporanea con altre 20 citta' del mondo, nell'ambito della giornata di mobilitazione per il Darfur promossa dalla Save Darfur Coalition. per chiedere alla Cina di "usare l'influenza politica ed economica che esercita sul Sudan per giungere al piu' presto alla fine del conflitto", come si legge in una nota dell'associazione italiana. Inoltre, continua il comunicato, "si chiede al governo cinese di rilanciare la missione dell'inviato speciale per il Darfur, Lui Giujin, che a maggio, pur non ottenendo risultati immediati, aveva avviato un dialogo con i vertici di Khartum". Volontari italiani e rifugiati, che indossavano t-shirt con lo slogan ''Stop blood in Darfur'', hanno distribuito, materiale informativo sul conflitto e una lettera aperta indirizzata agli ambasciatori di Cina e Sudan vicino alle sedi diplomatiche dei due paesi.
Inoltre, il 24 febbraio, data vicina all'anniversario dell'inizio del conflitto, all'Auditorium Parco della musica di Roma si svolgera' un evento, a apartire dalle 18, cui parteciperanno, tra gli altri, Monica Guerritore, Fiorella Mannoia e Mariella Nava. Alla serata hanno aderito Amnesty, la Tavola della Pace, la Comunita' ebraica e l'Unione giovani ebrei d'Italia

25 gennaio 2008

01 gennaio 2008

INIZIA MISSIONE ONU-UA, SOLO 800 CASCHI BLU

El Fasher, 31 dic. (Ap) - La missione di pace congiunta Onu-Ua ha preso ufficialmente il via oggi nella regione sudanese del Darfur, ma il numero dei caschi blu presenti sul terreno lascia prevedere che non avrà immediate ripercussioni sulle condizioni di sicurezza dell'area. La forza Onu-Ua (Unamid) ha assunto il comando dell'operazione dall'Amis, la missione di pace dell'Unione africana presente in Darfur dal 2004, ma rivelatasi inadeguata per mezzi e risorse finanziarie a disposizione. La cerimonia ha avuto luogo nel nuovo quartier generale dell'Unamid a El Fasher, capitale del Darfur del Nord. Nel suo intervento, il comandante dell'Amis, Martin Agwai, si è tolto il berretto verde dell'Unione africana per indossare quello blu delle Nazioni Unite, diventando di fatto il comandante di Unamid. Lo stesso hanno fatto i peacekeeper africani. Se e come funzionerà, però, rimane da vedere. Ufficialmente, i mezzi sia finanziari che militari a disposizione di Unamid sono maggiori di quelli di Amis. Ma il condizionale è d’obbligo, visto che nonostante i ripetuti appelli da parte del segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki-Moon, nessun paese membro ha ancora fornito i mezzi di trasporto e gli elicotteri da combattimento senza i quali mantenere il controllo del territorio in Darfur, regione vasta come la Francia e con pochissime strade asfaltate, è impossibile.

Ma c’è dell’altro: il dispiegamento della forza sul terreno è andato molto a rilento e molti paesi non hanno ancora detto quante truppe daranno alla forza internazionale. Questo potrebbe rendere inefficace la missione. “Se dobbiamo avere un impatto reale sulla situazione sul terreno entro la prima metà del 2008”, ha avvisato Ban ki-Moon, “i dispiegamenti devono avvenire molto più velocemente di quanto non sia stato finora”. Una volta a pieno regime, la forza di pace sarà formata da 20.000 militari e 6.000 agenti di polizia. Oggi, sono 9.000 i peacekeeper presenti in Darfur, di cui 7.000 sono gli ex caschi verdi dell'Amis, altri 800 sono caschi blu inviati di supporto nelle ultime settimane e 1.200 sono poliziotti.

Ma il capo delle operazioni di pace in Sudan Jean-Marie Guehenno (nella foto) ha avvertito che la missione potrebbe essere un fallimento. "Rischiamo di andare avanti con il dispiegamento di una forza che non farà la differenza, che non avrà la capacità di difendersi e che comporta il rischio di umiliazione?" ha chiesto Guehenno al Consiglio di sicurezza a fine novembre. Thomas Cargill, un esperto di Africa dal Chatham House di Londra, ha detto che UNAMID potrebbe fare la differenza se è in grado di dispiegare pienamente le forze e se avrà il giusto sostegno. "Ma questi sono due grandi" se "," ha detto. "Lo scollamento tra ciò che i membri permanenti del Consiglio di sicurezza affermano di voler fare nel Darfur e di ciò che sta succedendo è molto ampia".
Il portavoce dell'Ua, Noureddine Mezni, ha annunciato per metà gennaio l'arrivo di altre truppe, ma non ha saputo precisare l'entità dei contingenti in arrivo. "Ci vorranno mesi" prima di poter avere tutti i peacekeeper sul terreno, ha aggiunto. Mezni ha quindi ribadito l'urgenza di avere a disposizione i mezzi logistici, in particolare 24 elicotteri, necessari per muoversi in una regione grande quanto la Francia e priva di infrastrutture. "In un'area come il Darfur, della grandezza della Francia, non saremo in grado di adempiere in maniera appropriata al nostro incarico sprovvisti di questi mezzi - ha sottolineato - ci appelliamo alla comunità internazionale e a quanti possono garantirci questi mezzi il prima possibile".

31 dicembre 2007

Maria Santissima Madre di Dio


1 gennaio

Maria figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui (LG, 56). Nel Concilio di Efeso (431), dove venne affermata la natura umana e divina dell’unica persona del Verbo in Gesù Cristo, venne affermata anche la maternità divina di Maria.

Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico

Martirologio Romano: Nell’ottava del Natale del Signore e nel giorno della sua Circoncisione, solennità della santa Madre di Dio, Maria: i Padri del Concilio di Efeso l’acclamarono Theotókos, perché da lei il Verbo prese la carne e il Figlio di Dio abitò in mezzo agli uomini, principe della pace, a cui fu dato il Nome che è al di sopra di ogni nome.

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