Maria tu mi sostieni fin da piccolino, dammi forza e illuminami sempre, mio faro di luce
26 settembre 2006
Oggi si parla di eutanasia
La paura della sofferenza è diventata una fobia che attanaglia la nostra società, ma fino a che punto? Fino al gesto estremo di gettarsi da un ponte? Fino al gesto estremo di sparare in testa a chi soffre?
Siamo veramente pronti, con i fatti e non solo a parole, a compiere questi gesti disperati? O forse abbiamo bisogno di immolare sull’altare prima Terry Schiavo e adesso Piergiorgio Welby per riuscire a credere veramente nel “dio ideologico e nichilista” professato dalla setta di Pannella.
I radicali sostengono appunto che il corpo di un malato a cui non è permessa l’eutanasia è come se fosse sequestrato da proprietari diversi da sé stesso. L’errore di fondo di questo ragionamento è che la vita e il corpo non sono “nostri” in ogni caso, che si creda in Dio oppure no, la vita ci è stata comunque donata, il donatore chiamatelo come volete: chiamatelo “Dio”, chiamatela “madre natura”, chiamatelo “caso” oppure chiamatelo “amore di una madre che partorisce con dolore”. Comunque vogliate chiamarlo è pur sempre un immenso dono d’Amore, come tale richiede in cambio il nostro attaccamento alla vita, non si può buttarla via, anche se non rispecchia gli standard esistenziali senza sofferenze che ci eravamo stupidamente imposti.
Non è solo una questione di prospettiva cristiana, dal punto di vista non credente ci sono due diversi modi di vivere la sofferenza: rifiutarla in ogni modo anche rinunciando alla vita stessa, oppure affrontare il dolore cercando di aggrapparsi alla vita fino all’ultimo. Per il cristiano invece il dolore dovrebbe essere qualcosa di diverso, la sofferenza diventa anch’essa un dono, un insegnamento difficile ma efficace per imparare ad amare, il malato infatti riceve amore da chi lo assiste e allo stesso tempo ridona amore in eguale misura. Non è raro sentirsi dire da un infermiere o da un volontario che è più l’amore che ricevono rispetto a quello che danno.
Mettiamo queste tre tipologie di reazione al dolore su tre letti vicini in una stanza di ospedale. Il primo non credente si chiuderà in se stesso maledicendo tutto e tutti e lasciandosi morire, il secondo non credente combatterà attaccandosi alla vita, stringendo i denti e cercando conforto nello sguardo amico del terzo che (grazie all’insegnamento cristiano) trasformerà la sofferenza in amore e riuscirà a creare un rapporto di reciproco sostegno con il suo vicino di letto.
Non sforzatevi per capire quale dei tre sia l’atteggiamento ideale, la risposta è scritta in una situazione analoga accaduta realmente 1970 anni fa, dove tre uomini erano bloccati con i loro corpi immobili nella sofferenza, non su tre letti di ospedale, ma su tre croci di legno.
25 settembre 2006
Brutto sogno
Ho fatto un sogno. Un brutto sogno. Mi sono trovato in un mondo dove le vittime erano costrette a chiedere scusa ai carnefici.[...leggi tutto]
Vergognosa la Rai Tre-rrorista
Ieri sera nella trasmissione Report su Rai Tre è andato in scena il documentario sul fantomatico complotto americano dell’undici settembre. La tv spazzatura che propaganda l’antiamericanismo tocca il suo apice, mostrando una bufala che su internet è stata smascherata ormai da anni, come si può leggere (ora anche in italiano) in questo sito, in questo approfondito dossier, inoltre su questo blog e ancora su quest’altro sito. Purtroppo però non tutti vanno ad approfondire su internet e la gente che guarda solo la tv (o ancora peggio solo rai tre) si beve tutto dando credito a queste assurdità. Pochi giorni fa allusioni a queste teorie complottistiche sono state fatte anche da Canale5 e La7, ma ieri sera a Report si sono veramente superati, arrivando persino a dire che 6 dei presunti attentatori sarebbero ancora vivi!
La disonestà degli ideatori di Report è vergognosa, alla gente comune si può dare l’attenuante di credere ai complotti per colpa della disinformazione televisiva, ma a giornalisti della Rai no, la loro malafede e il loro tentativo di distorcere la realtà per fini propagandistici sono ingiustificabili. Intanto il terrorismo fondamentalista ringrazia, mentre le tombe dei 3000 morti americani vengono profanate dal solito revisionismo romanzato e relativista. Ormai si riesce sempre a inventare una realtà parallela, ad uso e consumo di chi si arricchisce spacciando overdosi di favole, abilmente tagliate con visioni soggettive degli avvenimenti. La storia, quella vera, viene sistematicamente trasformata in una delle tante ipotesi, che diventa di conseguenza solo un'opinione relativa.
Darfur: l’Unione Africana non basta
“La popolazione del Darfur ha bisogno subito delle forze di pace dell'Onu” ha dichiarato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. “L'accettazione dell'estensione della missione dell'Ua non e' una concessione particolarmente rilevante, ma il minimo indispensabile di quello che dovrebbe essere fatto per proteggere i civili del Darfur. In ogni caso, le forze dell'Ua devono essere sostituite al più presto da quelle dell'Onu, dotate di un forte mandato”.
“Il governo sudanese ha fatto giochi politici per troppo tempo e per questi giochi hanno pagato, con la propria vita, uomini donne e bambini del Darfur” ha aggiunto Khan. “La comunità internazionale non può accettare compromessi quando si tratta di diritti umani. I diritti dei civili del Darfur non possono essere oggetto di mercanteggiamento per permettere sotterfugi politici. L'estensione del mandato dell'Amis non assolve in alcun modo la comunità internazionale dal dovere di continuare a premere sul Sudan perche' accetti la presenza della forza di pace dell'Onu”.
L’Onu ha approvato il 31 agosto l’invio in Darfur di ventimila Caschi blu destinati a sostituire i poco efficaci caschi verdi dell’Unione Africana attualmente presenti nella regione.
La risoluzione 1706, però, pone una condizione voluta da Russia e Cina: il governo sudanese deve dare il suo assenso prima che la nuova forza possa essere schierata.
E il governo sudanese, come era facile prevedere, il suo assenso si rifiuta di darlo.
Nascono da questo diniego e dal massacro che continua le pressioni sempre più forti che vengono esercitate su Omar al-Bashir, al punto che la Rice ha minacciato «misure unilaterali» se Karthoum non rinuncerà al suo veto.”Il tempo sta per scadere”ha affermato venerdi scorso il Segretario di Stato americano.
Intanto il governo sudanese sta bombardando indiscriminatamente i villaggi del nord del Darfur come ci riferisce Massimo Alberizzi sul Corriere.
20 settembre 2006
Il dio denaro di islamici e cattocomunisti
Forte dell’appoggio della Cina è anche un altro leader politico islamico: Omar Hassan Bashir il presidente sudanese coccolato dai fratelli Castro all’Avana durante il summit del Mnoal. Curiosamente il summit si svolge a Cuba che come il Venezuela propaganda l’ideologia comunista, antiamericana e filoislamica, senza disdegnare poi di mostrarsi anche un’isola di cattolici come in occasione della visita di Giovanni Paolo II. Bashir preso coraggio dal sostegno cinese e dall’asse cattocomunista del sudamerica, non sembra temere possibili sanzioni ONU per il genocidio in Darfur, che a detta del presidente sudanese è addirittura un’invenzione di gruppi sionisti. Questi fantomatici gruppi a detta di Bashir vogliono smembrare il Sudan per proteggere Israele. Bashir conclude il suo delirio minacciando di attaccare le forze ONU che venissero eventualmente stanziate in Darfur. Intanto il ministro degli esteri cinese ha dichiarato che la Cina appoggerà l’intervento dei caschi blu in Darfur solo dopo che questi saranno autorizzati anche dal governo di Khartoum , altrimenti manterra il suo veto sulla missione. Il motivo è ovvio la Cina si muove in questo quadrante per necessità: nel 2020 importerà il 60% dell'energia necessaria allo sviluppo del suo miracolo economico e dall'Africa già oggi proviene il 25% delle sue necessità. La maggiore compagnia petrolifera cinese, la CNPC, investe da otto anni nei giacimenti sudanesi e vede come sabbia negli occhi la ribellione nel Darfur. A Pechino non interessano né le ideologie né i fatti privati dei partner. La Cina preferisce lavarsi le mani dai più scottanti dossier internazionali, dal genocidio in Darfur all'atomica iraniana alla repressione della giunta militare birmana. Il principio è quello della "non interferenza" portato avanti sotto le insegne di un eterno "dialogo"; così Pechino non esita a sabotare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, che si tratti delle sanzioni contro Teheran o dell'intervento di Caschi blu in Sudan. Del resto con Teheran sono in ballo accordi energetici da 100 miliardi di dollari e Khartoum rappresenta il cuore dell'espansione cinese in Africa. Secondo le statistiche doganali Onu (Comtrade), nel 2002 il primo acquirente del petrolio sudanese è la Cina: Pechino, per sostenere la propria economia galoppante, ha acquistato petrolio per ben 940 milioni di dollari, oltre i due terzi di tutta la produzione sudanese. La Russia, invece, rifornisce di armi Khartoum: nel 2001, oltre agli Antonov usati dall’aviazione sudanese per bombardare i villaggi del Darfur e sostenere le incursioni dei Janjaweed, sono arrivati in Sudan dalla Federazione Russa, via Bielorussia, 20 carri armati T-55M, mentre sempre nel 2002 tra Sudan e Russia sarebbe stato siglato un accordo di cooperazione militare. Russia e Cina non sono le uniche due nazioni con cui il Sudan fa affari per quanto riguarda armi e petrolio: l’Italia risulta il terzo cliente della produzione petrolifera sudanese, mentre la joint venture italo-britannica Alenia Marconi Systems fornisce a Khartoum sistemi radar per il controllo del traffico aereo. Apparecchiature da 22 milioni di euro installate in aeroporti che sono anche militari. Inoltre l’Italia è diventato il terzo cliente della produzione petrolifera sudanese. Secondo i dati Istat sul commercio con l’estero, l’Italia ha acquistato tra il 1999 e il 2003 petrolio da Khartoum per oltre 144 milioni di euro: 24,6 milioni nel ’99, 14,4 milioni nel 2000, 13,2 milioni nel 2001, 54,8 milioni nel 2002 e 37,1 milioni nel 2003. Il Sudan è entrato tra i primi venti fornitori del nostro paese. Non c’è poi tanto da meravigliarsi se in Italia non si parla mai del genocidio in Darfur! La ciliegina sulla torta di questo enorme giro di affari sull’asse islamico-cattocomunista è la visita del premier Prodi in Cina da dove si è addirittura permesso di chiedere la fine dell’embargo sulle importazioni di armi, come se le numerose violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese non fossero mai esistite. Durante il suo soggiorno a Pechino dove sarà andato a messa Romano Prodi? In una chiesa patriottica cinese ostile al vaticano o in una chiesa clandestina fedele al papa e perseguitata dal governo? Forse ha evitato l’imbarazzo non andando a messa punto e basta, tanto per definizione il cattocomunista adulto non deve andarci tutte le domeniche.
19 settembre 2006
Darfur: appelli all’intervento ONU da ogni parte del mondo
Numerose manifestazioni dal Canada, Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Cambogia e Ruanda hanno chiamato le Nazioni Unite ad intervenire con i fatti nella crisi del Darfur. I manifestanti hanno simbolicamente indossato dei cappellini azzurri, simbolo delle forze di pace, chiamate a fermare il genocidio in atto.
Particolarmente significativa la manifestazione in Cambogia, dove gruppi di studenti hanno acceso delle candele per ricordare le vittime del Darfur: “Come nazione vittima di un genocidio, vogliamo far sentire la nostra voce uniti al resto del mondo, nel chiedere a tutte le parti coinvolte nel conflitto in Sudan di fermare questo massacro” ha detto Ly Sok Kheang, una ricercatrice cambogiana incaricata di portare alla luce i crimini contro l’umanità che si sono verificati in Cambogia sotto il regime comunista.”Da quando iniziò il genocidio in Cambogia, per più di tre anni lo stato commise omicidi tra la sua stessa gente, mentre la comunità internazionale, incluse le Nazioni Unite, non intervenne per fermare tutto questo” Ly Sok Kheang teme che oggi in Darfur si possano ripetere gli stessi errori.
In Ruanda scene del genocidio del 1994 sono state paragonate alla crisi del Darfur, i sopravvissuti ai 100 giorni di guerra che hanno causato 800 mila morti, hanno invocato l’intervento:”Quando penso alla gente in Darfur oggi, sento stringermi lo stomaco, perché so cosa vuol dire veder andar via chi dovrebbe proteggerti, conosco la sofferenza di aspettare aiuti che non arriveranno mai” ha detto il sopravvissuto Didier Sagashya ”Nel 1994 il mondo ha lasciato il Ruanda al suo destino e un milione di persone sono state uccise. Oggi il mondo deve fermare il genocidio in Darfur” ha affermato un altro sopravvissuto Freddy Umutanguha.
A Londra manifestanti cristiani, musulmani ed ebrei hanno pregato insieme:” Il Darfur non sarà un altro Ruanda, dobbiamo agire ora per scongiurare la catastrofe” ha affermato il ministro britannico Tony Blair "La crisi in Darfur si sta aggravando rapidamente - afferma il premier - la violenza è in aumento, con esiti devastanti. Quasi due milioni di persone sono fuggiti dalle proprie case, tre milioni dipendono dagli aiuti umanitari. I campi profughi non garantiscono un rifugio sicuro dagli attacchi, con stupri e rapimenti continui. Tutto questo avviene nonostante gli sforzi dei peacekeeper dell'Unione africana, che hanno combattuto con coraggio contro le enormi difficoltà incontrate per garantire la sicurezza". Blair afferma che è giunto il momento che il mondo si assuma le proprie responsabilità", indicando nella risoluzione 1706 approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite lo strumento per intervenire nella regione occidentale sudanese. "E' giunto il momento per un'iniziativa comune della comunità internazionale che faccia cambiare idea e atteggiamento al governo sudanese - conclude Blair - noi presenteremo, ai più alti livelli, gli aiuti che il Sudan può attendersi se rispetterà i propri obblighi e cosa può accadere in caso contrario. Deve accettare la missione Onu e consentire alle forze UA di rimanere. Dobbiamo fare pressioni su tutte le organizzazioni ribelli coinvolte perchè accettino e applichino l'accordo di pace, in modo da garantire gli aiuti umanitari alla popolazione del Darfur. Bisogna soprattutto dimostrare che teniamo fede a quanto promesso, di far rispettare i valori di giustizia, tolleranza e libertà nel mondo. Lo dobbiamo al popolo del Darfur e alla memoria di quanti persero la vita in Ruanda".
A Parigi gli attivisti di “Urgence Darfur” hanno spinto il presidente Jacques Chirac a lanciare un appello per lo stanziamento delle forze ONU in Darfur. A New York in Central Park, c'erano 30.000 persone secondo gli organizzatori. Fra i presenti, l'ex segretario di Stato americano Madeleine Albright, insieme a personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, esponenti religiosi e, soprattutto, gente comune, che reclamava maggiori iniziative dell'Onu e della comunità internazionale.
A Toronto il senatore Romeo Dallaire ha guidato la marcia di sensibilizzazione per la situazione in Darfur. L'ex generale ha lanciato un appello affinché «il Canada si metta alla guida degli sforzi della comunità internazionale al fine di garantire aiuti economici ed umanitari alla popolazione civile». Purtroppo nello stesso giorno a Khartoum dozzine di attivisti pro-governativi hanno organizzato una marcia di protesta contro l’invio delle forze ONU, dichiarando che una forza internazionale aggiungerebbe solo maggiore complessità ad una situazione già abbastanza volatile. Intanto il presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir ha detto di non volere in alcun caso una forza di peacekeeping Onu In una conferenza stampa in occasione del vertice dei Paesi non allineati tenuto a Cuba, Bashir ha affermato: “Non vogliamo che l’Onu torni in Sudan ad alcuna condizione. Abbiamo incontrato Kofi Annan e abbiamo chiarito in dettaglio che respingiamo la decisione del Consiglio di sicurezza”.
18 settembre 2006
IL CONFLITTO IRRAGIONEVOLE TRA ISLAM E RELATIVISMO
Guai a chi dice che l’occidente senza Dio fa paura e che l’Islam senza la ragione è contrario a Dio stesso. Il papa è ormai l’unico punto di riferimento del nostro mondo, come diceva la straordinaria Oriana Fallaci, ma l’occidente vuole invece essere il solo punto di riferimento di se stesso, senza radici cristiane, non esitando ad accendere la miccia fondamentalista, travisando il pensiero del pontefice nei confronti di Maometto.
“L’occidente dovrebbe vergognarsi di chiedere spiegazioni al papa” fatta eccezione per Casini e un pugno di giornalisti seri (Carioti, Allam, Magister, Ferrara) per il resto stampa e politici, da Di Pietro alle testate giornalistiche delle lobby gay (El Pais, New York Times, Repubblica) tutti a richiedere le scuse del papa, tutti a inventarsele dopo l’Angelus in cui il pontefice ha fatto chiarezza e si è detto rammaricato, ma giustamente non ha chiesto scusa a nessuno. Scusa di cosa poi? Di quello che i mass media relativisti hanno fatto credere ai mass media islamici, che poi a loro volta hanno riportato in modo inesatto al mondo musulmano. Eppure il discorso di Ratisbona lo possono leggere tutti, il chiarimento di Bertone pure, il riferimento fatto dal papa stesso prima dell’Angelus anche. E allora? Per cosa è stata uccisa la povera suora missionaria a Mogadiscio? Per colpa del discorso di Benedetto XVI? Perché il pontefice non si è prontamente scusato? O forse per colpa delle due dittature predominanti, quella islamica e quella relativista, per le quali ogni occasione è buona per farsi la guerra, il pretesto possono essere delle stupide vignette o uno straordinario discorso accademico, non fa differenza, basta che a pagare siano sempre i cristiani, sacerdoti e suore missionarie a costo della vita, perché quando due stupidi elefanti si danno battaglia è sempre e solo l’erba ad essere calpestata.
Darfur, prigione a cielo aperto
Di fatto, al di fuori dei grandi agglomerati, spesso tenuti dalle forze governative, la maggior parte della provincia è stata dichiarata, con il motivo della crescente insicurezza, off limits alle organizzazioni umanitarie. Dopo che i raid janjawid li hanno privati dei loro campi, centinaia di migliaia di sudanesi ora sono privati di ogni soccorso. Il governo intende inviare ingenti rinforzi militari a Nyala e, soprattutto, a El Fasher. La decisione prelude forse a nuovi massacri che, potrebbero, stavolta, essere perpetrati su più ampia scala e a porte chiuse? Le minacce alla stampa straniera e le sanzioni recentemente decise da Khartoum contro le ong possono lasciarlo credere.[leggi tutto]
15 settembre 2006
Le reazioni alla morte di Oriana Fallaci
Oriana Fallaci «voleva morire a Firenze, come lei stessa, nella sua ultima uscita pubblica, nel febbraio scorso, a New York, mi aveva confidato. Così è stato». Riccardo Nencini, presidente del Consiglio Regionale della Toscana, parla così della scrittirce scomparsa stamattina all'età di 77 anni. «Oriana Fallaci ci ha lasciato - ha affermato Nencini - non sarà facile dimenticare, per me, ma credo per tutti i fiorentini e i toscani, la donna dura, combattiva e contrastata, che amava la sua Firenze di un amore sconfinato».
Il presidente del parlamento regionale ha spiegato che «la medaglia del Consiglio regionale della Toscana, consegnatale a New York, dove ormai viveva da tanti anni, ha voluto essere un omaggio a lei, alla sua opera di grande giornalista e scrittrice, alla donna di ferro, forgiata giovanissima nella lotta per la resistenza e membro del corpo dei volontari della libertà, ma soprattutto alla testimone dei nostri tempi per la quale 'la libertà era un dovere prima che un dirittò. A Firenze è morta, guardando dal suo letto di ospedale la sua amata città, la cupola di Santa Maria del Fiore, il campanile di Giotto, Palazzo Vecchio, Firenze tutta, con gli occhi, fin dove poteva, e poi, come lei stessa ha confidato ad un amico negli ultimi istanti di vita cosciente, con il cuore».
IL CORDOGLIO DELLA FNSI
Il Segretario Generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana(Fnsi), Paolo Serventi Longhi, in una nota esprime il cordoglio per la morte di Oriana Fallaci. «Nell'esprimere cordoglio per la scomparsa di Oriana Fallaci - dice Serventi Longhi - ricordo la grande giornalista, coraggiosa e attenta, ma anche l'intellettuale le cui più recenti opinioni giudico non condivisibili e per molti versi pericolose. Oriana Fallaci ha rischiato di persona per raccontare da inviata alcuni degli episodi più significativi della storia contemporanea».
«Una carriera giornalistica brillante e aggressiva - aggiunge - mai banale e disinformata. Occorre anche ricordare la sensibilità umana della Fallaci, i drammi di madre mancata e la grave malattia. Non ho condiviso però il giudizio radicale, sbagliato e pericoloso, che ha raffigurato un debole occidente vittima dell'aggressione delle altre culture, specie dell'Islam. Una difesa talvolta violenta della civiltà occidentale che non ha aiutato a combattere il terrorismo e gli integralismi».
Per il segretario della Fnsi «il rifiuto della tolleranza e del rispetto reciproco tra culture diverse, valori allo stesso tempo laici e religiosi, ha portato Oriana Fallaci a concepire l'informazione come un veicolo per l'affermazione delle opinioni più radicalmente filo occidentali. Una posizione non omogenea all'esigenza di pluralismo e di libera circolazione delle notizie che la gran parte delle donne e degli uomini di tutto il mondo esprimono con sempre maggiore convinzione».
ROTONDI: «ERA LA COSCIENZA CRITICA DELL'OCCIDENTE»
«Con Oriana Fallaci se ne va una grande scrittrice; se ne va la coscienza critica di un Occidente piegato su se stesso; se ne va il coraggio di una donna che, con le sue battaglie, ha scosso gli animi dell'Europa; se ne va una persona per bene che ha avuto sempre la forza di chiamare le cose con il loro nome, una delle sensibilita' piu' anticonformiste del nostro tempo. A Oriana Fallaci vanno la mia preghiera e il mio pensiero».
Cosi' il segretario della Democrazia Cristiana, Gianfranco Rotondi, ricorda Oriana Fallaci.
IADL: «E' AL COSPETTO DI HALLAH, DOVREBBE PREOCCUPARSI»
«La Fallaci è al cospetto di Allah. Dovrebbe preoccuparsi»: è il commento di Dacia Valent portavoce della Islamic Antidefamation League (IADL). quasi impossibile manifestare pietà per un personaggio come Oriana Fallaci« dice Valent che definisce la Fallaci »una dei più attivi araldi dell odio razziale e religioso«. Secondo Valent »una vita spesa nell odio, difficilmente produce amore e solidarietà« e il suo »odio per le minoranze etniche e religiose, il suo disprezzo per neri, semiti e musulmani, ora che vede la morte e vede Dio, deve essere un peso intollerabile, dal quale non può più nascondersi o fuggire. Ora che è al cospetto di Allah, se fossimo in lei saremmo molto, ma molto preoccupati».
CALDEROLI: «PIANGO IL SIMBOLO DI CULTURA E LIBERTA'»
«Piango la morte di un simbolo della cultura, dell'onestà intellettuale e della liberta». Così Roberto Calderoli vuole ricordare Oriana Fallaci, morta nella notte.«Piango chi, nonostante la propria malattia, ha previsto e denunciato i rischi del diffondersi del fondamentalismo islamico in mezzo a un mare di omertà e silenzio vigliacco. Oriana Fallaci - continua Calderoli - ha dato lezioni al mondo e li ha dati anche ai Capi di Stato, dimostrando la tempra di una donna indomita: ma resta il rammarico che chi avrebbe potuto nominarla senatore a vita, per ben altri meriti rispetto ad altri nominati, non lo abbia fatto e di aver privato quindi il Senato della possibilità della sua presenza a Palazzo Madama, anche se per un breve tempo».
CASINI: «SUOI SCRITTI SIANO ANCORA MOTIVO DI RIFLESSIONE»
«Oriana Fallaci è stata la più grande giornalista italiana dell'ultimo secolo. Una donna straordinaria, una scomoda testimone dell'Occidente e dei suoi valori, uno spirito critico implacabile davanti alle nostre timidezze e pavidità». Così il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini commenta la scomparsa della giornalista. «Oriana Fallaci e i suoi scritti - conclude Casini - dovranno ancora per lungo tempo essere motivo di riflessione per tutti noi».
[leggi tutte le reazioni]
Medici Senza Frontiere in Darfur
ISLAM, MAURO: DIFENDIAMO IL PAPA SENZA SE E SENZA MA
"Si prende Dio a pretesto per un progetto di potere - prosegue Mauro - è questo che il Papa ha colpito difendendo così la libertà di tutti, in primis, dei musulmani che guardano alla religione come esperienza di senso della vita e non come scorciatoia per il potere politico. "Fa specie - conclude Mauro - che manchi all'appello dei difensori delle parole del Vicario di Cristo il nome di tanti, troppi, che hanno responsabilità politiche. Quasi che la politica si vergognasse o fosse vigliacca nel difendere la ragione e la libertà".
13 settembre 2006
Darfur: Onu, Situazione In ''Caduta Libera''
12 settembre 2006
Darfur: Annan, "Situazione ha raggiunto punto critico"
Centinaia di migliaia di persone in Darfur - la martoriata regione occidentale del Sudan - hanno un sempre più disperato bisogno di cibo in quanto i combattimenti e gli atti di banditismo hanno sostanzialmente impedito la distribuzione degli aiuti seppur essenziali. Lo riferisce un comunicato del Programma alimentare mondiale dell'ONU (PAM).
Kenro Oshidari, responsabile del PAM in Sudan, precisa che i problemi di mancanza di sicurezza hanno completamente impedito da agosto la distribuzione di cibo a circa 335.000 persone nel Nord del Darfur, e a 120.000 nel Sud.
Una situazione definita "critica e disperata", considerando che in Darfur quasi tre milioni di civili dipendono interamente dagli aiuti umanitari sia per il cibo che per la sanità.
11 settembre 2006
08 settembre 2006
Così Beshir approfitta del vuoto di potere internazionale in Darfur
L’intransigenza del regime sudanese mette in pericolo un intervento sul Sudan che il presidente americano, George W. Bush, ha sviluppato subito dopo l’11 settembre all’insegna del più corretto multilateralismo con l’Onu e con l’Unione europea, rifuggendo dalla logica dell’intervento militare. Smentendo le analisi della sinistra europea e anche la politica “muscolare” dell’Amministrazione Clinton – che bombardò per due giorni, con risultati risibili, Khartoum dopo gli attentati del 1998 in Kenya e Tanzania – Bush ha sempre agito in Sudan in raccordo stretto con le istituzioni internazionali, puntando soprattutto sulla forza di persuasione degli incentivi economici. E’ stata un’esperienza quinquennale, incentrata sul multilateralismo – che non è certo una “scoperta” odierna dell’Amministrazione americana – e oggi in grande difficoltà. Il Sudan è uno dei centri principali del fondamentalismo e del terrorismo islamico. Il regime militare al potere dal 30 giugno 1989 nacque per imporre la sharia anche alle popolazioni cristiane e animiste (scatenando così una guerra civile), è stato spalleggiato dai Fratelli musulmani e dal fondamentalista Hassan al Turabi, ha ospitato Osama bin Laden, si è alleato con Saddam Hussein e ha anche tentato di costruire una sua “internazionale fondamentalista”.[leggi tutto]
Darfur: il grido d'allarme dell'Acnur
"Le Agenzie umanitarie si stanno già adoperando in tutti i modi per far fronte agli ingenti bisogni dei circa 2 milioni di sfollati interni in Darfur e degli oltre 200mila rifugiati che si trovano in 12 campi gestiti dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) al di là del confine con il Ciad", ha detto Guterres. "Il deteriorarsi della situazione della sicurezza ci impedisce di fornire aiuti in vaste aree del Darfur, mentre nel confinante Ciad le nostre risorse si stanno esaurendo. La situazione, già molto grave, sta peggiorando giorno dopo giorno".[leggi tutto]
05 settembre 2006
Darfur: Gli osservatori di pace si ritireranno a fine settembre
“Il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana si è riunito oggi ad Addis Abeba e ha deciso di riconfermare che la sua missione in Darfur terminerà il 30 settembre”. In giornata il governo del Sudan – che si oppone all’invio in Darfur della missione di pace approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu la scorsa settimana – aveva detto all’Ua che un prolungamento della sua presenza era possibile, ma non sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Beata Teresa di Calcutta (Agnes Gonxha Bojaxiu)
“Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10,44).
Queste parole di Gesù ai discepoli, risuonate poc’anzi in questa Piazza, indicano quale sia il cammino che conduce alla “grandezza” evangelica. E' la strada che Cristo stesso ha percorso fino alla Croce; un itinerario di amore e di servizio, che capovolge ogni logica umana. Essere il servo di tutti!
Da questa logica si è lasciata guidare Madre Teresa di Calcutta, Fondatrice dei Missionari e delle Missionarie della Carità, che oggi ho la gioia di iscrivere nell’Albo dei Beati. Sono personalmente grato a questa donna coraggiosa, che ho sempre sentito accanto a me. Icona del Buon Samaritano, essa si recava ovunque per servire Cristo nei più poveri fra i poveri. Nemmeno i conflitti e le guerre riuscivano a fermarla.
Ogni tanto veniva a parlarmi delle sue esperienze a servizio dei valori evangelici. Ricordo, ad esempio, i suoi interventi a favore della vita e contro l’aborto, anche in occasione del conferimento del Premio Nobel per la pace (Oslo, 10 dicembre 1979). Soleva dire: “Se sentite che qualche donna non vuole tenere il suo bambino e desidera abortire, cercate di convincerla a portarmi quel bimbo. Io lo amerò, vedendo in lui il segno dell’amore di Dio”.[leggi tutto]
Darfur, Sudan a Ua: sì a truppe, ma niente Onu
Lo ha annunciato oggi un consigliere del presidente sudanese.
Ieri un portavoce del ministro degli Esteri aveva chiesto che le truppe dell'Ua fossero ritirate alla scadenza del loro mandato. Oggi, però, il governo di Kartum sembra aver cambiato idea, e ha avvertito che nella turbolenta zona occidentale potrebbe svilupparsi una vera guerra in caso fossero ritirati tutti i soldati.[leggi tutto]
Darfur: Commissione Europea Invita Sudan Ad Accettare Caschi Blu
04 settembre 2006
Sudan: Darfur, ripresi gli scontri
SUDAN: KHARTUM CHIEDE RITIRO FORZA UNIONE AFRICANA
La guerra civile in Darfur inizio' a febbraio del 2003, quando alcuni gruppi guerriglieri vicini alle comunita' animistiche e cristiane, di etnia non araba, si ribellarono alle autorita' di Khartum. Queste ultime in risposta mobilitarono le milizie filo-arabe e musulmane dei Janjaweed, oggi accusate di uccisioni in massa, stupri, torture e saccheggi.
Ibrahim ha fatto presente che il governo di Khartum non ha gradito l'approvazione data dall'Unione Africana al passaggio delle consegne ai 'caschi blu' delle Nazioni Unite. "A nostro avviso non hanno il diritto di trasferire il loro compito ad altri. Siamo noi che decidiamo se l'Unione Africana puo' continuare o meno la missione", ha detto il portavoce nel sottolineare che il governo e' ancora impegnato al rispetto degli accordi di pace sottoscritto lo scorso maggio soltanto da una delle tre fazioni ribelli che hanno accettato di negoziare. Quell'accordo e' stato respinto da decine di migliaia di abitanti del Darfur e non sono mancati attacchi alla forza africana giudicata non piu' imparziale. Ibrahim ha detto anche che il governo applichera' il suo piano per il Darfur sottoposto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che prevede, tra l'altro, l'invio di 10.500 uomini dell'esercito governativo nella regione. (AGI)
Sudan: Lega Araba, precipitosa decisione ONU invio forze
L'organizzazione ha convocato per mercoledì una riunione dei ministri degli Esteri del Comitato per il Sudan per esaminare la decisione dell'ONU di inviare truppe nel Darfur.
La missione, 22'600 soldati che dovranno proteggere i civili nella regione del Sudan occidentale dopo tre anni di guerra, è stata approvata giovedì dal Consiglio di sicurezza, con un costo previsto di 1,7 miliardi di dollari l'anno.
02 settembre 2006
Il governo sudanese respinge il dispiegamento dei Caschi Blu nel Darfur, ma la stampa locale è più conciliante
[leggi tutto]
Darfur: rischio guerra nel giro di giorni, dice inviato Ue
Darfur: a Mornay arriva il colera dopo la riduzione negli aiuti
01 settembre 2006
Nuovo talento italiano
Giuseppe Rossi, italiano d’America che gioca in Inghilterra, è stato ceduto in prestito dal Manchester United: «Ma ora segno all’Islanda»
Dall’inviato
Rinaldo Boccardelli
REYKJAVIK - Ironia della sorte, Giuseppe Rossi ha saputo di essere stato ceduto in prestito al Newcastle dentro il piccolo aereo dell’Under 21 fermo a far rifornimento nell’aeroporto di... Newcastle, prima di riprendere il volo per Reykjavik ( «dove ho firmato e rispedito per fax il contratto»
ammette divertito). Di Pablito ha l’aria tranquilla e la stazza fisica non certo trascendentale. Ma anche gli occhi furbi e veloci di chi è rapido di pensiero, soprattutto in zona gol.
Ecco un altro signor Rossi che si profila nella storia del calcio italiano. Un ragazzo di 19 anni dalla vicenda umana curiosa e affascinante, che di Paolo Rossi sa solo (ma lo sa molto bene) che è passato come un uragano sui mondiali dell’82 vincendoli da capocannoniere, con 6 gol in 3 partite. Lui, Giuseppe, di gol in Premier League ne ha segnato solo uno, ma già fanno 4 se ci mettiamo quelli nelle coppe. Perchè il giovane signor Giuseppe Rossi fino all’altro giorno ha giocato nel Manchester United, non in una squadra qualsiasi, ed ora minaccia una marea di gol accanto a Martins nel Newcastle, ceduto in prestito con la benedizione di Ferguson che lo adora ( «almeno potrà giocare con continuità, ma poi torna qui» ) e con la clausola scritta, riservata solo ai big, che quando il Newcastle calerà all’Old Trafford, Rossi non sia in campo da avversario. E perchè sia finito lì fa parte di una storia che inizia molto lontano: in America.
Diciannove anni ma già tanto da raccontare.
«Sono nato nel New Jersey, Stati Uniti, ma papà Fernando è di Chieti e mamma Cleonilde di Isernia. Si sono conosciuti negli States e nell’87 sono arrivato anch’io.
Dunque, primi calci a stelle e strisce.
«Sì, praticamente da subito, nei Clifton Stallions, suona bene, anche se nessuno li conosce».
Poi il Parma. Come è successo?
«Che tornando in estate per le vacanze, ho frequentato una scuola calcio estiva. Qualcuno mi ha notato e segnalato al Parma. Mi hanno chiamato per un provino. Preso».
Cinque anni e 205 gol dopo (tante sono le reti messe a segno da Rossi nelle giovanili del Parma fino alla primavera), si presenta qualcuno del Manchester United.
«Sembrava uno scherzo e invece era vero. Mi avevano visto negli europei under 17 e fatto seguire a Parma. L’offerta per la società gialloblù era buona e così a soli 17 anni mi sono trasferito a Manchester».
E con la famiglia?
«Io e mio padre siamo diventati dei trasvolatori, mia madre e mia sorella Tina sono rimaste in America, ma ogni volta che è possibile ci riuniamo».
Calcio inglese e calcio italiano.
«Quello british è più veloce, più atletico. Quello italiano più tecnico e tattico».
L’impatto con gli inglesi, i giocatori che ha più ammirato.
«L’Old Trafford ti dà una carica eccezionale, Scholes e Giggs due fenomeni, ho cercato di rubare loro qualche segreto. Scholes mette la palla dove vuole, Giggs ha un dribbling ubriacante».
E del signor Paolo Rossi cosa sa?
«Molto, ho visto in televisione i suoi gol mondiali, mio padre mi ha raccontato abbastanza. Sarebbe fantastico seguire le sue orme».
Qualcuno è perplesso. Questo Giuseppe Rossi è bravino ma troppo piccolo, esile.
«Rispondo che nel mondo ci sono campioni acclarati di ogni dimensione. E alla fine i più forti di tutti sono i più piccoli: Maradona, Messi, lo stesso Del Piero non è così alto».
L’obiettivo inglese.
«Giocare tanto e segnare altrettanto».
E quello italiano.
«Vincere l’europeo con la maglia dell’Under 21 e sognare in grande, la maglia della nazionale maggiore, poter giocare insieme a gente cone Totti e Pirlo, Gattuso».
Tifoso del...
«Milan. Sono cresciuto a pane, Gullit e Van Basten. Ero in America e la domenica mattina, per via del fuso orario, io e mio padre non ci perdevamo una partita del campionato italiano. Milan soprattutto».
Un paio di gol sfiorati nell’amichevole dell’Under a Grosseto.
«Almeno uno dovevo metterlo dentro. Forse l’ho conservato per l’Islanda».
Ma quando pensa in campo, lo fa in inglese o in italiano?
«Curiosamente, quando gioco in Inghilterra penso in italiano e quando gioco in Italia ragiono in inglese. Ma quando c’è da esultare o da sfogare qualche malumore mi esce in italiano ».
Oltre il calcio?
«La famiglia, qualche bel film, una mangiata con gli amici».
In Inghilterra?
«Sì, ma rigorosamente in ristoranti italiani doc, testati in precedenza».
Tutti gli ingredienti giusti per decollare nel calcio che conta in questo concentrato di Abruzzo-Molise, Usa, Parma e Manchester. A 19 anni il signor Rossi ne ha già fatta di strada, in tutti i sensi. Magari è anche fidanzato.
«Certo, si chiama Maria e sta a Parma. Baci».