Grande partecipazione da tutto il mondo per la giornata mondiale per il Darfur organizzata domenica 17 settembre. La data è stata scelta non a caso, segna infatti il primo anniversario della revisione della legge internazionale che stabilisce come prioritario l'intervento da parte della comunità internazionale di fronte a violenze come genocidio e pulizia etnica. La norma «Responsabilità di Proteggere» afferma che gli stati membri devono condividere la «responsabilità di lanciare un'azione collettiva in tempi rapidi e in maniera appropriata».
Numerose manifestazioni dal Canada, Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Cambogia e Ruanda hanno chiamato le Nazioni Unite ad intervenire con i fatti nella crisi del Darfur. I manifestanti hanno simbolicamente indossato dei cappellini azzurri, simbolo delle forze di pace, chiamate a fermare il genocidio in atto.
Particolarmente significativa la manifestazione in Cambogia, dove gruppi di studenti hanno acceso delle candele per ricordare le vittime del Darfur: “Come nazione vittima di un genocidio, vogliamo far sentire la nostra voce uniti al resto del mondo, nel chiedere a tutte le parti coinvolte nel conflitto in Sudan di fermare questo massacro” ha detto Ly Sok Kheang, una ricercatrice cambogiana incaricata di portare alla luce i crimini contro l’umanità che si sono verificati in Cambogia sotto il regime comunista.”Da quando iniziò il genocidio in Cambogia, per più di tre anni lo stato commise omicidi tra la sua stessa gente, mentre la comunità internazionale, incluse le Nazioni Unite, non intervenne per fermare tutto questo” Ly Sok Kheang teme che oggi in Darfur si possano ripetere gli stessi errori.
In Ruanda scene del genocidio del 1994 sono state paragonate alla crisi del Darfur, i sopravvissuti ai 100 giorni di guerra che hanno causato 800 mila morti, hanno invocato l’intervento:”Quando penso alla gente in Darfur oggi, sento stringermi lo stomaco, perché so cosa vuol dire veder andar via chi dovrebbe proteggerti, conosco la sofferenza di aspettare aiuti che non arriveranno mai” ha detto il sopravvissuto Didier Sagashya ”Nel 1994 il mondo ha lasciato il Ruanda al suo destino e un milione di persone sono state uccise. Oggi il mondo deve fermare il genocidio in Darfur” ha affermato un altro sopravvissuto Freddy Umutanguha.
A Londra manifestanti cristiani, musulmani ed ebrei hanno pregato insieme:” Il Darfur non sarà un altro Ruanda, dobbiamo agire ora per scongiurare la catastrofe” ha affermato il ministro britannico Tony Blair "La crisi in Darfur si sta aggravando rapidamente - afferma il premier - la violenza è in aumento, con esiti devastanti. Quasi due milioni di persone sono fuggiti dalle proprie case, tre milioni dipendono dagli aiuti umanitari. I campi profughi non garantiscono un rifugio sicuro dagli attacchi, con stupri e rapimenti continui. Tutto questo avviene nonostante gli sforzi dei peacekeeper dell'Unione africana, che hanno combattuto con coraggio contro le enormi difficoltà incontrate per garantire la sicurezza". Blair afferma che è giunto il momento che il mondo si assuma le proprie responsabilità", indicando nella risoluzione 1706 approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite lo strumento per intervenire nella regione occidentale sudanese. "E' giunto il momento per un'iniziativa comune della comunità internazionale che faccia cambiare idea e atteggiamento al governo sudanese - conclude Blair - noi presenteremo, ai più alti livelli, gli aiuti che il Sudan può attendersi se rispetterà i propri obblighi e cosa può accadere in caso contrario. Deve accettare la missione Onu e consentire alle forze UA di rimanere. Dobbiamo fare pressioni su tutte le organizzazioni ribelli coinvolte perchè accettino e applichino l'accordo di pace, in modo da garantire gli aiuti umanitari alla popolazione del Darfur. Bisogna soprattutto dimostrare che teniamo fede a quanto promesso, di far rispettare i valori di giustizia, tolleranza e libertà nel mondo. Lo dobbiamo al popolo del Darfur e alla memoria di quanti persero la vita in Ruanda".
A Parigi gli attivisti di “Urgence Darfur” hanno spinto il presidente Jacques Chirac a lanciare un appello per lo stanziamento delle forze ONU in Darfur. A New York in Central Park, c'erano 30.000 persone secondo gli organizzatori. Fra i presenti, l'ex segretario di Stato americano Madeleine Albright, insieme a personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, esponenti religiosi e, soprattutto, gente comune, che reclamava maggiori iniziative dell'Onu e della comunità internazionale.
A Toronto il senatore Romeo Dallaire ha guidato la marcia di sensibilizzazione per la situazione in Darfur. L'ex generale ha lanciato un appello affinché «il Canada si metta alla guida degli sforzi della comunità internazionale al fine di garantire aiuti economici ed umanitari alla popolazione civile». Purtroppo nello stesso giorno a Khartoum dozzine di attivisti pro-governativi hanno organizzato una marcia di protesta contro l’invio delle forze ONU, dichiarando che una forza internazionale aggiungerebbe solo maggiore complessità ad una situazione già abbastanza volatile. Intanto il presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir ha detto di non volere in alcun caso una forza di peacekeeping Onu In una conferenza stampa in occasione del vertice dei Paesi non allineati tenuto a Cuba, Bashir ha affermato: “Non vogliamo che l’Onu torni in Sudan ad alcuna condizione. Abbiamo incontrato Kofi Annan e abbiamo chiarito in dettaglio che respingiamo la decisione del Consiglio di sicurezza”.
1 commento:
Benvenuto e grazie per i complimenti. Accetto con piacere il tuo invito, mi troverai presto sul tuo blog :-)
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