Curioso anticipo di incontri diplomatici prima del vertice delle Nazioni Unite tra i protagonisti della politica internazionale. Il leader iraniano Ahmadinejad è stato in Venezuela, un paese a maggioranza cattolica guidato da un leader comunista e anti americano come Hugo Chavez, che osa paragonare Bush al diavolo. A Caracas Ahmadinejad è stato molto diplomatico parlando del papa, ma solo per risultare ben accetto al popolo cattocomunista venezuelano e per dimostrarsi moderato alla vigilia del vertice di New York. Cosa non si farebbe per denaro e potere! Ovviamente nessuno ha creduto veramente alle sue dichiarazioni a cominciare da Bush e Chirac che hanno ribadito un secco no al programma nucleare iraniano. Bush ha accusato Ahmadinejad di sperperare la ricchezza del suo paese finanziando i terroristi e le ricerche per la costruzione di un arsenale nucleare. Di diverso avviso invece altri due membri permanenti del Consiglio di sicurezza, sia Cina che Russia sono infatti riluttanti all'idea di imporre sanzioni e si chiedono se veramente Teheran rappresenti una minaccia nucleare per il mondo come credono Stati Uniti e Unione Europea. Il motivo è ovvio: l'Iran fornisce alla Cina oltre l'11% delle sue importazioni di petrolio.
Forte dell’appoggio della Cina è anche un altro leader politico islamico: Omar Hassan Bashir il presidente sudanese coccolato dai fratelli Castro all’Avana durante il summit del Mnoal. Curiosamente il summit si svolge a Cuba che come il Venezuela propaganda l’ideologia comunista, antiamericana e filoislamica, senza disdegnare poi di mostrarsi anche un’isola di cattolici come in occasione della visita di Giovanni Paolo II. Bashir preso coraggio dal sostegno cinese e dall’asse cattocomunista del sudamerica, non sembra temere possibili sanzioni ONU per il genocidio in Darfur, che a detta del presidente sudanese è addirittura un’invenzione di gruppi sionisti. Questi fantomatici gruppi a detta di Bashir vogliono smembrare il Sudan per proteggere Israele. Bashir conclude il suo delirio minacciando di attaccare le forze ONU che venissero eventualmente stanziate in Darfur. Intanto il ministro degli esteri cinese ha dichiarato che la Cina appoggerà l’intervento dei caschi blu in Darfur solo dopo che questi saranno autorizzati anche dal governo di Khartoum , altrimenti manterra il suo veto sulla missione. Il motivo è ovvio la Cina si muove in questo quadrante per necessità: nel 2020 importerà il 60% dell'energia necessaria allo sviluppo del suo miracolo economico e dall'Africa già oggi proviene il 25% delle sue necessità. La maggiore compagnia petrolifera cinese, la CNPC, investe da otto anni nei giacimenti sudanesi e vede come sabbia negli occhi la ribellione nel Darfur. A Pechino non interessano né le ideologie né i fatti privati dei partner. La Cina preferisce lavarsi le mani dai più scottanti dossier internazionali, dal genocidio in Darfur all'atomica iraniana alla repressione della giunta militare birmana. Il principio è quello della "non interferenza" portato avanti sotto le insegne di un eterno "dialogo"; così Pechino non esita a sabotare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, che si tratti delle sanzioni contro Teheran o dell'intervento di Caschi blu in Sudan. Del resto con Teheran sono in ballo accordi energetici da 100 miliardi di dollari e Khartoum rappresenta il cuore dell'espansione cinese in Africa. Secondo le statistiche doganali Onu (Comtrade), nel 2002 il primo acquirente del petrolio sudanese è la Cina: Pechino, per sostenere la propria economia galoppante, ha acquistato petrolio per ben 940 milioni di dollari, oltre i due terzi di tutta la produzione sudanese. La Russia, invece, rifornisce di armi Khartoum: nel 2001, oltre agli Antonov usati dall’aviazione sudanese per bombardare i villaggi del Darfur e sostenere le incursioni dei Janjaweed, sono arrivati in Sudan dalla Federazione Russa, via Bielorussia, 20 carri armati T-55M, mentre sempre nel 2002 tra Sudan e Russia sarebbe stato siglato un accordo di cooperazione militare. Russia e Cina non sono le uniche due nazioni con cui il Sudan fa affari per quanto riguarda armi e petrolio: l’Italia risulta il terzo cliente della produzione petrolifera sudanese, mentre la joint venture italo-britannica Alenia Marconi Systems fornisce a Khartoum sistemi radar per il controllo del traffico aereo. Apparecchiature da 22 milioni di euro installate in aeroporti che sono anche militari. Inoltre l’Italia è diventato il terzo cliente della produzione petrolifera sudanese. Secondo i dati Istat sul commercio con l’estero, l’Italia ha acquistato tra il 1999 e il 2003 petrolio da Khartoum per oltre 144 milioni di euro: 24,6 milioni nel ’99, 14,4 milioni nel 2000, 13,2 milioni nel 2001, 54,8 milioni nel 2002 e 37,1 milioni nel 2003. Il Sudan è entrato tra i primi venti fornitori del nostro paese. Non c’è poi tanto da meravigliarsi se in Italia non si parla mai del genocidio in Darfur! La ciliegina sulla torta di questo enorme giro di affari sull’asse islamico-cattocomunista è la visita del premier Prodi in Cina da dove si è addirittura permesso di chiedere la fine dell’embargo sulle importazioni di armi, come se le numerose violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese non fossero mai esistite. Durante il suo soggiorno a Pechino dove sarà andato a messa Romano Prodi? In una chiesa patriottica cinese ostile al vaticano o in una chiesa clandestina fedele al papa e perseguitata dal governo? Forse ha evitato l’imbarazzo non andando a messa punto e basta, tanto per definizione il cattocomunista adulto non deve andarci tutte le domeniche.
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