Scritto da Elisa Arduini
La decisione del Procuratore Generale del Tribunale Penale Internazionale, l'argentino Luis Moreno Ocampo, di chiedere l'arresto del presidente sudanese Omar Al-Bashir con l'accusa di genocidio, se sotto molti aspetti è condivisibile arriva in un momento in cui sarebbe stato meglio portare il dittatore sudanese al tavolo delle trattative piuttosto che innescare un braccio di ferro con lui che, volenti o nolenti, coinvolge 2,5 milioni di sfollati.
Infatti, il rischio concreto è che l'estroverso e irascibile Bashir reagisca con estrema violenza alla richiesta di Moreno Ocampo aumentando la tensione nella martoriata regione del Darfur invece che sedersi al tavolo delle trattative con i gruppi ribelli, cosa a cui ormai da mesi stavano lavorando le Nazioni Unite, l'Unione Africana e la Lega Araba con l'appoggio silenzioso di diversi Stati europei e della Libia.
A parte che non era mai accaduto che un Capo di Stato in carica venisse accusato dal Tribunale Penale Internazionale e che ne venisse chiesto l'arresto. Persino i gerarchi nazisti e gente come Slobodan Milosevic vennero arrestati e condannati solo dopo una guerra che ne decretò il rovesciamento. Come non pensare allora a una vera e propria forzatura, una indebita forzatura.
D'altro canto Moreno ci ha già abituati a queste forzature che piuttosto che favorire la pace fomentano o prolungano i conflitti. Basta lanciare l'occhio a quello che succede in Nord Uganda, dove i colloqui di pace tra Governo e ribelli del LRA sono fermi da mesi proprio per l'intransigenza del “procuratore di ferro” nel volere l'arresto di Joseph Kony.
Pretendere ora che Bashir si sieda a qualsiasi tavolo delle trattative diventa quindi quasi un eufemismo. Gli stessi gruppi ribelli, rinvigoriti dalla decisione del Tribunale Penale Internazionale, sono già ampiamente sul piede di guerra proprio mentre si intravvedeva un barlume di speranza nel portare almeno il loro gruppo maggiore (il JEM) a sedersi a un tavolo di discussione. [leggi tutto]
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