Attacchi di milizie contro campi di rifugiati nel Darfur, nell'Ovest del Sudan, hanno causato, questa settimana, molte vittime, fra cui 27 bambini di meno di 12 anni. Lo hanno rivelato le Nazioni Unite.
Le milizie hanno attaccato otto campi, fra cui uno grande che ospita circa 3.500 rifugiati. Gli attacchi si sono verificati lunedì e martedì nell'area di Jebel Moon. Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan ha sollecitato tutte le parti in causa a cessare le azioni ostili e ha lanciato un appello al governo del Sudan perché faccia tutto quanto in suo potere per proteggere i civili. Gli attacchi nel Darfur occidentale hanno ucciso almeno 63 persone, metà delle quali bambini, mentre i ribelli accusano Khartoum di rimobilitare le milizie tribali "arabe" dopo aver subito due sconfitte militari al confine fra Sudan e Chad.
"Il governo ha iniziato a mobilitare ampliamente la Janjaweed, sopratutto nel Darfur occidentale, perché vogliono ripulire l'area e muoversi a nord verso il confine e sconfiggerci", ha detto Bahr Idriss Abu Garda, uno dei leader del Fronte Nazionale di Redenzione (Nrf).
La forza dell'Unione Africana, impegnata a far rispettare un trattato di pace che viene invece ignorato da governo sudanese e ribelli, ha reso noto che fino a 92 persone sarebbero morte nell'attacco dello scorso 29 ottobre condotto contro almeno quattro villaggi nell'area di Jabel Moun area, dove presenti le forze di entrambe le fazioni rivali.
I soldati dell'Ua hanno detto che il governo bombarda regolarmente l'area attorno e a nord della città di Tine, al confine Sudan-Chad. L'ultimo bombardamento era avvenuto il 23 ottobre.
I funzionari sudanesi respingono le accuse, dicendo di non aver mobilitato le milizie tribali "arabe". Dal canto suo l'esercito nega l'utilizzo di aeroplani Antonov, che rappresenterebbe una violazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Da Pechino il presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir venerdì ha indicato che la questione del Darfur è stata esageratamente distorta, affermando poi che solo 10 mila persone sono morte nella regione, e continua ad opporsi alle forze dell’ONU. "Pensiamo che con un intervento ONU di ventimila uomini che si muovono sul nostro territorio, la situazione diventerebbe simile all’Iraq," ha detto Bashir inventando un paragone totalmente inadeguato tra due situazioni totalmente differenti.
La Cina, che ha stretto rapporti diplomatici ed economici con il Sudan, è uno dei membri che ha posto il veto al Consiglio di Sicurezza ed è stata accusata da vari gruppi umanitari di proteggere il governo del Sudan contro qualsiasi azione della forza internazionale nel Darfur. Amnesty International ha fatto appello al governo cinese affinchè verifichi che i suoi profitti economici dal Sudan non debbano essere sviluppati sulle uccisioni e deportazioni. Human Rights Watch ha detto in una dichiarazione giovedì che la Cina dovrebbe usare la sua crescente influenza economica in Africa per spingere i paesi quali il Sudan e lo Zimbabwe a migliorare i diritti dell'uomo. “La Cina insiste che non interferirà negli affari interni di altri paesi, ma inoltre sostiene di essere grande amica della gente africana” ha detto Sophie Richardson di Human Rights Watch. “Ma questo non quadra col rimanere in silenzio mentre le uccisioni di massa continuano in Darfur” ha aggiunto Richardson. Le politiche della Cina a detta del gruppo hanno sostenuto i governi africani responsabili di alcune delle peggiori violazioni di diritti umani sul continente.
Nel frattempo l’amministrazione statunitense ha rinnovato di un altro anno le sanzioni contro il governo sudanese, sottolineando la possibilità di nuove misure particolari dirette contro coloro che verranno identificati come responsabili delle violenze commesse in Darfur.
Nel rinnovare le misure restrittive imposte a Khartoum nove anni fa, il presidente Usa ha spiegato che la decisione è legata alle politiche e alle azioni del governo sudanese, “contrarie agli interessi Usa, rappresentando una minaccia straordinaria e inusuale alla sicurezza nazionale e alla politica estera del nostro paese”. Il portavoce del dipartimento della sicurezza nazionale ha poi precisato che sanzioni mirate (congelamento di fondi e divieto di ingresso negli Usa) potranno essere introdotte in un secondo momento per gli individui che verranno considerati da Washington “responsabili di nuove violenze in Darfur” o per coloro che “ostacoleranno il processo di pace” nella regione sudanese teatro dal febbraio 2003 di un conflitto interno.
Le sanzioni nei confronti del Sudan, imposte per la prima volta il 3 novembre del 1997, impediscono le importazioni negli Stati Uniti di merci sudanesi e prevedono per ogni cittadino statunitense il divieto di commercio con il governo di Khartoum, limitando così la presenza Usa nel business del petrolio. Dopo alcuni segnali di riavvicinamento, le relazioni tra Washington e Khartoum sono tornate nell’ultimo anno a farsi estremamente tese.
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