Maria tu mi sostieni fin da piccolino, dammi forza e illuminami sempre, mio faro di luce
25 giugno 2006
Febbre da primo compleanno
Causa febbre alta Pechenito ha passato il suo compleanno solo con mamma, papa, nonna e zia.
La festa è rimandata a sabato prossimo con parenti e amici, siete tutti invitati!
23 giugno 2006
Accordo tra governo sudanese e una delle fazioni della guerriglia
AFRICA/SUDAN - Accordo tra governo sudanese e una delle fazioni della guerriglia per assicurare condizioni di sicurezza nel Darfur. Si tratta ancora per l’invio di una forza internazionale nella regione
Khartoum (Agenzia Fides)- Non si può inviare una forza di pace internazionale in Darfur, la regione dell’ovest del Sudan, nella quale da anni è in atto una sanguinosa guerra civile, senza il consenso del governo sudanese. Lo ha dichiarato il Vice Segretario generale delle Nazioni Unite, Jean Marie Guehenno al termine di una missione a Khartoum. Guehenno è a capo di una missione congiunta dell’ONU e dell’Unione Africana con lo scopo di valutare i bisogni di una futura forza internazionale nel Darfur. Anche il Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan aveva ribadito che le Nazioni Uniti non vogliono imporre quello che apparirebbe come un potere coloniale a un Paese membro.
L’invio di una forza militare internazionale per proteggere la popolazione civile è sponsorizzato dall’ONU , dagli Stati Uniti e da diversi Paesi occidentali. Khartoum si oppone e propone l’invio di un forte contingente del nuovo esercito sudanese, formato anche da elementi della ex guerriglia del sud Sudan. In base alle intese firmate nel 2005 dal governo sudanese e dal Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLM), vengono integrati nell’esercito regolare sudanese una parte dei combattenti del SPLM. Il nuovo esercito dovrebbe garantire una maggiore imparzialità nei confronti delle diverse fratture etniche e religiose che attraversano il Paese.
Mentre la comunità internazionale e il governo sudanese continuano a dibattere per l’invio di una missione di pace nella tormentata regione, è stato raggiunto un accordo per migliorare le condizioni di sicurezza nell’area tra l’esecutivo di Khartoum e la fazione dei ribelli del Darfur che all’inizio di maggio aveva sottoscritto un’intesa di pace (vedi Fides 5 maggio 2006).
La nuova intesa è stata raggiunta con la mediazione del governo olandese che ha promesso di fornire aiuti per la ricostruzione del Darfur nel momento in cui le condizioni di sicurezza lo permetteranno. L’accordo è stato sottoscritto dalla fazione dell’Esercito di Liberazione del Sudan (SLA) guidata da Minni Arcua Minnavi. Questi appartiene all’etnia zaghawa, che rappresenta l’8% della popolazione del Darfur. L’etnia zaghawa è divisa tra il SLA e il Movimento per la Giustizia e l’Eguaglianza, che non ha però firmato gli accordi di maggio e che chiede un Darfur autonomo. Minni, che si era autoproclamato Segretario Generale del SLA, aveva preso il potere nel movimento estromettendo il rivale interno, Abd el Wahab. Da allora le due fazioni del SLA si affrontano militarmente, aggiungendo violenza alla violenza. Infatti, nonostante la tregua sottoscritta a maggio, le milizie filogovernative “janjaweed” continuano ad attaccare la popolazione civile.
Il conflitto rischia di allargarsi al confinante Ciad dove oltre 200mila abitanti della regione vivono in campi per rifugiati. I “janjaweed” infatti conducono incursioni in territorio ciadiano contro i campi di rifugiati, da dove, peraltro, i movimenti ribelli attingono nuove reclute da inserire nelle proprie fila. (L.M.) (Agenzia Fides 23/6/2006 righe 38 parole 490)
L’invio di una forza militare internazionale per proteggere la popolazione civile è sponsorizzato dall’ONU , dagli Stati Uniti e da diversi Paesi occidentali. Khartoum si oppone e propone l’invio di un forte contingente del nuovo esercito sudanese, formato anche da elementi della ex guerriglia del sud Sudan. In base alle intese firmate nel 2005 dal governo sudanese e dal Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLM), vengono integrati nell’esercito regolare sudanese una parte dei combattenti del SPLM. Il nuovo esercito dovrebbe garantire una maggiore imparzialità nei confronti delle diverse fratture etniche e religiose che attraversano il Paese.
Mentre la comunità internazionale e il governo sudanese continuano a dibattere per l’invio di una missione di pace nella tormentata regione, è stato raggiunto un accordo per migliorare le condizioni di sicurezza nell’area tra l’esecutivo di Khartoum e la fazione dei ribelli del Darfur che all’inizio di maggio aveva sottoscritto un’intesa di pace (vedi Fides 5 maggio 2006).
La nuova intesa è stata raggiunta con la mediazione del governo olandese che ha promesso di fornire aiuti per la ricostruzione del Darfur nel momento in cui le condizioni di sicurezza lo permetteranno. L’accordo è stato sottoscritto dalla fazione dell’Esercito di Liberazione del Sudan (SLA) guidata da Minni Arcua Minnavi. Questi appartiene all’etnia zaghawa, che rappresenta l’8% della popolazione del Darfur. L’etnia zaghawa è divisa tra il SLA e il Movimento per la Giustizia e l’Eguaglianza, che non ha però firmato gli accordi di maggio e che chiede un Darfur autonomo. Minni, che si era autoproclamato Segretario Generale del SLA, aveva preso il potere nel movimento estromettendo il rivale interno, Abd el Wahab. Da allora le due fazioni del SLA si affrontano militarmente, aggiungendo violenza alla violenza. Infatti, nonostante la tregua sottoscritta a maggio, le milizie filogovernative “janjaweed” continuano ad attaccare la popolazione civile.
Il conflitto rischia di allargarsi al confinante Ciad dove oltre 200mila abitanti della regione vivono in campi per rifugiati. I “janjaweed” infatti conducono incursioni in territorio ciadiano contro i campi di rifugiati, da dove, peraltro, i movimenti ribelli attingono nuove reclute da inserire nelle proprie fila. (L.M.) (Agenzia Fides 23/6/2006 righe 38 parole 490)
Esportazioni di armi dalla Cina
Secondo un rapporto diffuso oggi da Amnesty International, dietro una cortina di segretezza la Cina sta rapidamente emergendo come uno dei più grandi e irresponsabili esportatori di armi.
Le armi cinesi stanno contribuendo ad alimentare conflitti brutali, criminalità e gravi violazioni dei diritti umani in paesi quali Sudan, Nepal, Myanmar e Sudafrica. Il rapporto rivela il possibile coinvolgimento di aziende occidentali nella produzione di alcuni tipi d’armamento.
Pechino definisce la propria politica di autorizzazione all’export di armi “cauta e responsabile”, ma la realtà non potrebbe essere più diversa. La Cina è l’unico paese, tra i grandi esportatori di armi, a non aver sottoscritto neanche uno degli accordi multilaterali che vietano il trasferimento di armi che potrebbero essere usate per commettere gravi violazioni dei diritti umani.
L’export cinese di armi, la cui stima si aggira almeno intorno a un miliardo di dollari l’anno, prevede spesso lo scambio di armi con materie prime che aiutino la rapida crescita economica del paese asiatico. Questo commercio è avvolto dal segreto: il governo di Pechino non pubblica alcuna informazione sui trasferimenti di armi all’estero e da otto anni non fornisce dati al Registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali.
Il rapporto di Amnesty International contiene diversi esempi di esportazioni irresponsabili di armi da parte della Cina, tra cui:
- l’invio, nell’agosto 2005, di oltre 200 veicoli militari (equipaggiati con motori diesel Cummings, di produzione statunitense) al Sudan, nonostante gli Usa mantengano in vigore un embargo sulla fornitura di armi sia verso la Cina che verso il paese africano e nonostante veicoli del genere fossero stati usati per l’uccisione e il sequestro di civili nel Darfur;
- le regolari forniture al regime militare di Myanmar, tra cui 400 veicoli militari consegnati nell’agosto 2005 all’esercito di questo paese, responsabile di torture, uccisioni ed espulsioni di centinaia di migliaia di civili;
- le esportazioni verso il Nepal, per tutto il 2005 e l’inizio del 2006, tra cui un accordo per la consegna di circa 25.000 fucili e 18.000 granate alle forze di sicurezza di quel paese, all’epoca responsabili di una brutale repressione nei confronti di migliaia di pacifici dimostranti;
- il crescente traffico illegale di pistole Norinco “made in China” destinate in Australia, Malaysia, Thailandia e soprattutto Sudafrica, dove sono comunemente usate per compiere rapine, stupri e altri reati.
Secondo Amnesty International, è veramente giunto il momento che la Cina, in quanto grande esportatore di armi e membro permanente del Consiglio di Sicurezza, inizi a rispettare i propri obblighi di diritto internazionale. Il governo di Pechino deve introdurre leggi e regolamenti che impediscano trasferimenti di armi che potrebbero essere usate per commettere gravi violazioni dei diritti umani o del diritto umanitario.
Amnesty International chiede inoltre alla Cina di rendere noti ogni anno i dati sulle autorizzazioni all’esportazione e sulle consegne effettuate, e di sostenere la proposta di un Trattato internazionale sul commercio di armi avanzata dalla campagna mondiale Control Arms, promossa oltre che da Amnesty International, da Oxfam e dalla Rete internazionale d’azione sulle armi leggere (Iansa).
Fino a quando la Cina continuerà a consentire l’invio di armi agli autori di gravi violazioni dei diritti umani, afferma Amnesty International, la comunità internazionale dovrà rafforzare le norme sulle joint-ventures con la Cina riguardanti tecnologia militare e a doppio uso, nonché l’applicazione degli embarghi sulle armi nei confronti di Pechino, come quelli imposti dall’Unione europea e dagli Usa.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 12 giugno 2006
20 giugno 2006
La bomba Africa una realtà ignorata
Franz GUSTINCICH
L'Africa è alle porte dell'Europa, ma nessuno sembra accorgersene. Dal terrorismo al petrolio, dalle guerre ai traffici di diamanti, dalla violenza all'AIDS, gli africani in fuga dal proprio continente potrebbero essere molti di più. Eppure non è l'emigrazione, per il momento, la minaccia diretta alla sicurezza dell'Europa. Un'ampia panoramica sulla situazione africana e sui problemi che potrebbe esportare.Migliaia di chilometri, dalle coste atlantiche del Sahara al corno d'Africa, sono il terreno dove i terroristi islamici, ben finanziati e ben armati, si stanno nascondendo e facendo proseliti. Niger, Ciad, Mauritania, Algeria, Mali e Senegal: è in questi Paesi che Emad Abdelwahid Ahmed Alwan, amico di Ayman Al Zawahiri, medico e braccio destro di bin Laden, esercitava il suo potere sul terrorismo radicale islamico prima di venir ucciso dalle forze speciali algerine nel 2002, mentre stava progettando un attacco all'ambasciata americana di Bamako, capitale del Mali.È dall'Algeria che ha inizio l'espansione del terrorismo islamico nella regione sahariana, ma paradossalmente la causa è proprio la sconfitta del cruentissimo GIA, il gruppo islamico armato che ha seminato sangue e terrore nel Paese. Con la riduzione del GIA a poche decine di uomini nascosti in villaggi isolati e scarsamente operativi, il Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento (GSPC), erede del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) e feroce rivale del GIA, ha finito col prendere il controllo dell'integralismo nella regione. Il GSPC ha anche allargato i propri orizzonti in un'ampia porzione di Africa Settentrionale costituendo un ramo dell'organizzazione "sahariano-saheliano". Capo del GSPC sahariano-saheliano è Abdelrezak Amara Saifi, detto El Parà per il suo passato di paracadutista. Ricercato anche in Italia per i legami con i terroristi arrestati a Reggio Emilia, lo scorso anno, è attualmente prigioniero dei ribelli del Movimento per la Democrazia e la Giustizia in Ciad. Satelliti ed altri sistemi di elint sono stati puntati sulla regione a sostegno della Pan Sahel Initiative (PSI), un programma del governo USA che mira a rafforzare le capacità militari, di polizia, antiterrorismo e di intelligence dell'area. La cooperazione della PSI con i governi nord-africani è eccellente: essi vedono nell'Initiative l'occasione di rinnovare esercito e polizia a spese degli USA, ma la lotta non sarà facile. Fino ad ora il GSPC ha dato prova di un'alta capacità operativa, abbattendo persino alcuni elicotteri ed alcuni droni algerini, disponendo di armi e mezzi di comunicazione sofisticati. Informazioni dell'intelligence francese sostengono che alcune centinaia di appartenenti al GSPC divisi in piccoli nuclei avrebbero l'intenzione di provocare conflitti in Guinea, Senegal, Liberia, Costa d'Avorio, Sierra Leone e sarebbero in movimento per impedire il raggiungimento della pace nella regione sudanese del Darfur.
[continua]
L'Africa è alle porte dell'Europa, ma nessuno sembra accorgersene. Dal terrorismo al petrolio, dalle guerre ai traffici di diamanti, dalla violenza all'AIDS, gli africani in fuga dal proprio continente potrebbero essere molti di più. Eppure non è l'emigrazione, per il momento, la minaccia diretta alla sicurezza dell'Europa. Un'ampia panoramica sulla situazione africana e sui problemi che potrebbe esportare.Migliaia di chilometri, dalle coste atlantiche del Sahara al corno d'Africa, sono il terreno dove i terroristi islamici, ben finanziati e ben armati, si stanno nascondendo e facendo proseliti. Niger, Ciad, Mauritania, Algeria, Mali e Senegal: è in questi Paesi che Emad Abdelwahid Ahmed Alwan, amico di Ayman Al Zawahiri, medico e braccio destro di bin Laden, esercitava il suo potere sul terrorismo radicale islamico prima di venir ucciso dalle forze speciali algerine nel 2002, mentre stava progettando un attacco all'ambasciata americana di Bamako, capitale del Mali.È dall'Algeria che ha inizio l'espansione del terrorismo islamico nella regione sahariana, ma paradossalmente la causa è proprio la sconfitta del cruentissimo GIA, il gruppo islamico armato che ha seminato sangue e terrore nel Paese. Con la riduzione del GIA a poche decine di uomini nascosti in villaggi isolati e scarsamente operativi, il Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento (GSPC), erede del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) e feroce rivale del GIA, ha finito col prendere il controllo dell'integralismo nella regione. Il GSPC ha anche allargato i propri orizzonti in un'ampia porzione di Africa Settentrionale costituendo un ramo dell'organizzazione "sahariano-saheliano". Capo del GSPC sahariano-saheliano è Abdelrezak Amara Saifi, detto El Parà per il suo passato di paracadutista. Ricercato anche in Italia per i legami con i terroristi arrestati a Reggio Emilia, lo scorso anno, è attualmente prigioniero dei ribelli del Movimento per la Democrazia e la Giustizia in Ciad. Satelliti ed altri sistemi di elint sono stati puntati sulla regione a sostegno della Pan Sahel Initiative (PSI), un programma del governo USA che mira a rafforzare le capacità militari, di polizia, antiterrorismo e di intelligence dell'area. La cooperazione della PSI con i governi nord-africani è eccellente: essi vedono nell'Initiative l'occasione di rinnovare esercito e polizia a spese degli USA, ma la lotta non sarà facile. Fino ad ora il GSPC ha dato prova di un'alta capacità operativa, abbattendo persino alcuni elicotteri ed alcuni droni algerini, disponendo di armi e mezzi di comunicazione sofisticati. Informazioni dell'intelligence francese sostengono che alcune centinaia di appartenenti al GSPC divisi in piccoli nuclei avrebbero l'intenzione di provocare conflitti in Guinea, Senegal, Liberia, Costa d'Avorio, Sierra Leone e sarebbero in movimento per impedire il raggiungimento della pace nella regione sudanese del Darfur.
[continua]
18 giugno 2006
Aderisci a "Italian Blogs for Darfur"
Nel Darfur si continua a morire, anche dopo la firma del trattato di pace. Ma di tutto questo, nei nostri telegiornali, non si sente parlare. Imperversa lo scandalo del calcio, ma non c'è traccia dei 300.000 morti nel Darfur...
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Scrivi il tuo nome e l'indirizzo e-mail, e con UN CLICK invierai un messaggio a tutte le maggiori
emittenti italiane per richiedere loro che venga concesso più spazio ai tragici avvenimenti de Darfur, Sudan.
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IL MODULO/THE FORM
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Take action!
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Aderisci a IB4D
11 giugno 2006
Festa della Trinità
"Nel suo istante immutabile di vita divina, Dio fa dentro di se –fare che in lui è essere- tre cose: contemplarsi, esprimersi ed amarsi; e ciò lo fa in tale perfezione che ciascuna di queste attività è persona, e per questo Dio è Tre in persone e Uno in essenza."
MADRE TRINIDAD DE LA SANTA MADRE IGLESIA09 giugno 2006
04 giugno 2006
Pentecoste
Vieni, Santo Spirito manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. Consolatore perfetto; ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. 0 luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua forza nulla è nell'uomo, nulla senza colpa. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.[continua]
L'Italia finanzierà sperimenti su embrioni all'estero
Il Ministro dell'Università Mussi ha ritirato, come sappiamo, l'adesione dell'Italia ad una "dichiarazione etica" sulle cellule staminali embrionali. E' stata un'azione politica sciagurata, cinica e vigliaccamente autoritaria, con gravi conseguenze concrete immediate.
Il testo della dichiarazione lo potete trovare qui, [i paragrafi da leggere sono il 5 e il 6 dell'allegato], a pag. 14 e 15.
Essenzialmente viene detto che Italia, Germania, Austria, Slovacchia, Polonia, Malta:
1. "Non possono tuttavia accettare che attività comportanti la distruzione di embrioni umani possano beneficiare di un finanziamento a titolo del settimo programma quadro di ricerca. Le suddette delegazioni invitano pertanto la Commissione ad abbandonare i progetti relativi all'ammissibilità al finanziamento di attività di ricerca che prevedano la distruzione di embrioni umani."
2. "ritengono inoltre che l'approccio previsto dal settimo programma quadro di ricerca e dai programmi specifici non tenga sufficientemente conto del potenziale terapeutico delle cellule staminali umane adulte e chiedono, di conseguenza, che si assuma a livello comunitario l'impegno di rafforzare la ricerca sulle tali cellule."
3. "ritengono che si dovrebbe lasciare ai singoli Stati membri la facoltà di decidere se sostenere o meno le azioni di ricerca comportanti la distruzione di embrioni umani."
Questi paesi, insieme al Lussemburgo, raccolgono 105 voti nel Consiglio d'Europa, 15 in più del limite per la minoranza di blocco. Senza l'Italia i voti sono 76, al di sotto del limite di blocco, per cui di fatto si apre alla possibilità di finanziamento alla ricerca delle cellule staminali embrionali nell'ambito del settimo programma quadro, cioè un programma di ricerca con 54 miliardi di euro, deciso dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell'Unione Europea. (i programmi quadro vengono approvati con maggioranze qualificate, che richiedono più voti del 50%+1: i voti necessari arrivano fino a due terzi dei votanti. Quindi una minoranza, pur restando minoranza, può impedire il raggiungimento della maggioranza qualificata, bloccandola).
Con questa dichiarazione l'Italia e gli altri paesi della dichiarazione dicevano: uno stato vuole fare ricerca distruggendo embrioni? Faccia pure, usando solo i suoi soldi, però, e non i nostri, che questa ricerca non la vogliamo finanziare. Mussi quindi, di sua spontanea volontà, ha dichiarato quello che il popolo italiano ha rifiutato, e cioè di finanziare, anche con soldi italiani, ricerche che distruggano embrioni.
Altro che esternazione! E' un atto politico, arrogante e violento, perchè non tiene conto minimamente dell'esito del referendum sulla fecondazione artificiale, ed è un contributo fondamentale ad indirizzare i fondi europei a questo tipo di ricerche.
Il ministro di sinistra fa la felicità delle multinazionali delle biotecnologie, in difficoltà da tempo, perchè sono stati fatti grandi investimenti sulle cellule staminali embrionali, con nessun risultato. Adesso arriveranno fondi pubblici europei, in quantità, se il Parlamento Europeo, il 15 giugno, non si pronunci diversamente. E non mi si venga a dire che al governo non lo sapevano. Non è possibile che un ministro compia un'azione così importante in totale autonomia, soprattutto se è in un governo guidato da uno come Prodi, che dei meccanismi dell'Unione Europea ne sa qualcosa.
A conferma di questo, oggi (domenica) in un'intervista sul Corriere della Rosa, Fassino difende Mussi, mentendo spudoratamente: "Con una decisione di buon senso ha rimosso il veto italiano che impediva agli altri paesi europei di condurre la ricerca sulle staminali". Ma quale veto? Ogni stato era ed è - ovviamente! - libero di farsi le ricerche che vuole, con i propri soldi!
E sulla legge sulla fecondazione artificiale Fassino ha dichiarato:
"La legge va rivisitata. E' vero che c'è stato un referendum. Ma, a parte il fatto che non essendo stato raggiunto il quorum non è stato possibile conoscere l'effettiva volontà della maggioranza degli italiani, in ogni caso il referendum non ha risolto tutti gli interrogativi e i dubbi che la legge pone. Confrontiamoci con spirito libero tra maggioranza e opposizione, per vedere come migliorarla. Resto convinto che sulle questioni etiche sia meglio non creare spaccature e divisioni, che si debba ricercare il consenso più vasto possibile".
CIOE' PER NON FARE SPACCATURE CAMBIAMO LA LEGGE 40, E CHISSENEFREGA DEL 75% DEGLI ITALIANI CHE NON E' ANDATO A VOTARE!
Ringraziamo innanzitutto i cattolici adulti che votando il loro collega Prodi gli hanno permesso di andare a governare.
Tratto dal sito di Assuntina Morresi
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