23 giugno 2006

Esportazioni di armi dalla Cina


Secondo un rapporto diffuso oggi da Amnesty International, dietro una cortina di segretezza la Cina sta rapidamente emergendo come uno dei più grandi e irresponsabili esportatori di armi.

Le armi cinesi stanno contribuendo ad alimentare conflitti brutali, criminalità e gravi violazioni dei diritti umani in paesi quali Sudan, Nepal, Myanmar e Sudafrica. Il rapporto rivela il possibile coinvolgimento di aziende occidentali nella produzione di alcuni tipi d’armamento.

Pechino definisce la propria politica di autorizzazione all’export di armi “cauta e responsabile”, ma la realtà non potrebbe essere più diversa. La Cina è l’unico paese, tra i grandi esportatori di armi, a non aver sottoscritto neanche uno degli accordi multilaterali che vietano il trasferimento di armi che potrebbero essere usate per commettere gravi violazioni dei diritti umani.

L’export cinese di armi, la cui stima si aggira almeno intorno a un miliardo di dollari l’anno, prevede spesso lo scambio di armi con materie prime che aiutino la rapida crescita economica del paese asiatico. Questo commercio è avvolto dal segreto: il governo di Pechino non pubblica alcuna informazione sui trasferimenti di armi all’estero e da otto anni non fornisce dati al Registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali.

Il rapporto di Amnesty International contiene diversi esempi di esportazioni irresponsabili di armi da parte della Cina, tra cui:

- l’invio, nell’agosto 2005, di oltre 200 veicoli militari (equipaggiati con motori diesel Cummings, di produzione statunitense) al Sudan, nonostante gli Usa mantengano in vigore un embargo sulla fornitura di armi sia verso la Cina che verso il paese africano e nonostante veicoli del genere fossero stati usati per l’uccisione e il sequestro di civili nel Darfur;

- le regolari forniture al regime militare di Myanmar, tra cui 400 veicoli militari consegnati nell’agosto 2005 all’esercito di questo paese, responsabile di torture, uccisioni ed espulsioni di centinaia di migliaia di civili;

- le esportazioni verso il Nepal, per tutto il 2005 e l’inizio del 2006, tra cui un accordo per la consegna di circa 25.000 fucili e 18.000 granate alle forze di sicurezza di quel paese, all’epoca responsabili di una brutale repressione nei confronti di migliaia di pacifici dimostranti;

- il crescente traffico illegale di pistole Norinco “made in China” destinate in Australia, Malaysia, Thailandia e soprattutto Sudafrica, dove sono comunemente usate per compiere rapine, stupri e altri reati.

Secondo Amnesty International, è veramente giunto il momento che la Cina, in quanto grande esportatore di armi e membro permanente del Consiglio di Sicurezza, inizi a rispettare i propri obblighi di diritto internazionale. Il governo di Pechino deve introdurre leggi e regolamenti che impediscano trasferimenti di armi che potrebbero essere usate per commettere gravi violazioni dei diritti umani o del diritto umanitario.

Amnesty International chiede inoltre alla Cina di rendere noti ogni anno i dati sulle autorizzazioni all’esportazione e sulle consegne effettuate, e di sostenere la proposta di un Trattato internazionale sul commercio di armi avanzata dalla campagna mondiale Control Arms, promossa oltre che da Amnesty International, da Oxfam e dalla Rete internazionale d’azione sulle armi leggere (Iansa).

Fino a quando la Cina continuerà a consentire l’invio di armi agli autori di gravi violazioni dei diritti umani, afferma Amnesty International, la comunità internazionale dovrà rafforzare le norme sulle joint-ventures con la Cina riguardanti tecnologia militare e a doppio uso, nonché l’applicazione degli embarghi sulle armi nei confronti di Pechino, come quelli imposti dall’Unione europea e dagli Usa.

FINE DEL COMUNICATO Roma, 12 giugno 2006

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