24 giugno 2008

Sud Sudan: rapporto a tre anni dalla pace

Viene rilasciato oggi da Secondo Protocollo il rapporto 2008 sulla situazione attuale in Sud Sudan a poco più di tre anni dalla firma del trattato di Nairobi che sancì la fine di una guerra durata 21 anni e che fece milioni di morti e di sfollati.

Nel rapporto si legge che, nonostante gli sforzi, la situazione in Sud Sudan non è ancora quella che si sarebbe immaginato una volta finita la guerra. Rimangono purtroppo moltissimi punti da sistemare specie per quanto riguarda lo sviluppo economico e sociale e per quanto concerne il rispetto dei Diritti Umani.

E' vero che il Governo di Juba ha incontrato durante questi tre anni diverse difficoltà, a partire dalla morte del suo personaggio più carismatico, John Garang, avvenuta in un incidente aereo ancora avvolto nel mistero il 30 luglio 2005, mentre il Dott. Garang tornava da un viaggio in Uganda. Ma anche la non totale applicazione di quanto stabilito dal trattato di pace di Nairobi da parte del Governo centrale di Khartoum, una inottemperanza che ha fatto mancare alle casse sud-sudanesi diversi milioni di dollari destinati allo sviluppo.

Tuttavia non si possono non notare anche diverse colpe della dirigenza sud-sudanese specialmente per l'allegra gestione dei fondi provenienti dai Paesi donatori, anche se molti di questi non hanno ottemperato alle promesse fatte durante la prima conferenza dei donatori per il Sud Sudan del 2005, quando vennero promessi 5,4 miliardi di dollari.

Rimane esplosiva la situazione per quanto concerne la divisione delle risorse e il controllo delle aree petrolifere, una situazione che rischia di far sprofondare di nuovo il Paese in un conflitto di vasta portata.

Il rapporto è stato redatto da Elisa Arduini con la collaborazione di Andrea Pompei e di Claudia Colombo ed è scaricabile nella versione integrale a questo link.

12 giugno 2008

La chiesa più antica del mondo


Scoperta in Giordania la chiesa più antica del mondo
L’annuncio è di un team di archeologi, secondo i quali la chiesa trovata sotto quella di San Giorgio a Rihab sarebbe la prima di tutta la cristianità. La sua costruzione è collocabile tra il 33 e il 70 d.C.

Amman (AsiaNews) – La più antica chiesa del mondo si trova in Giordania. La scoperta è di un gruppo di archeologi, ed è stata resa nota dal Jordan Times. Secondo i ricercatori, la chiesa risale ad una data collocabile tra il 33 e il 70 d.C. “Crediamo si tratti della prima chiesa al mondo”, dichiara Abdul Qader al-Husan, capo del Jordan's Rihab Centre for Archaeological Studies. La chiesa è situata sotto la già nota San Giorgio (230 d.C.) a Rihab, nel nord del Paese, vicino al confine siriano.

L'archeologo ha conferma che la Chiesa è stato usata come luogo di culto per tutto il primo secolo successivo alla morte di Cristo e che in essa sono evidenti i segni degli antichi riti religiosi effettuati dai primi cristiani.

Secondo Husan, “ci sono prove che la chiesa scoperta ha ospitato i primi cristiani, i 70 discepoli di Gesù”. Questi, fuggiti dalla persecuzione di Gerusalemme, avrebbero riparto nelle chiese della Giordania settentrionale, aggiunge l’archeologo. Citando poi fonti storiche, suggerisce che il gruppo ha vissuto e praticato la fede nella chiesa sotterranea per lasciarla solo dopo che l’Impero romano abbracciò il cristianesimo (313 d.C.).

All’interno della cava sono presenti alcuni sedili di pietra, probabilmente destinati al clero, e un’area circolare che fa pensare all’abside. Un profondo tunnel, invece, conduceva ad una fonte d’acqua.

Il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi greco-melkita, Nektarious, definisce la scoperta “un’importante pietra miliare per i cristiani di tutto il mondo”. Rihab conta in tutto 30 chiese. Secondo Husan, sia Gesù che Maria erano passati in questa zona.

05 giugno 2008

Ahmadinejad e cultura Basiji, tra orrori del passato e apocalissi future

Ahmadinejad gongola della sua alleanza con i Basiji. Appare in pubblico indossando il foulard bianco e nero tipico del Basiji e, nei suoi discorsi, esprime costanti apprezzamenti nei confronti della “cultura Basiji” e “del potere Basiji”, attraverso il quale “l’Iran odierno fa sentire la sua presenza sulla scena diplomatica internazionale”. L’ascesa di Ahmadinejad con l’appoggio del Basiji significa che la Rivoluzione iraniana, lanciata quasi trent’anni fa, è entrata in una fase nuova e inquietante. Una generazione di iraniani più giovani, la cui visione del mondo fu
plasmata durante le atrocità del conflitto fra Iran e Iraq, è giunta al potere, brandendo un’impostazione ideologica della politica più fervente rispetto a quella dei suoi predecessori.
I figli della Rivoluzione ne sono oggi diventati i capi.

I Basiji, un movimento di massa creato da Khomeini nel 1979 e militarizzato dopo lo scoppio della guerra al fine di integrare le fila del suo esercito assediato. I Basiji Mostazafan, o “mobilitazione degli oppressi”, erano una milizia volontaria, i cui membri erano ancora minorenni. Entusiasti e numerosi (a migliaia) marciavano verso la loro fine. I giovani sminavano i campi con i loro stessi corpi.

Il sacrificio dei giovani del Basiji era orrendo. Ma oggi non è motivo di onta per la nazione, bensì di orgoglio. Dalla cessazione delle ostilità contro l’Iraq nel 1988, i Basiji sono diventati sempre più numerosi e influenti. Sono stati utilizzati come squadra del buoncostume per far rispettare la legge religiosa, mentre le “unità speciali” del movimento sono state impiegate come truppe d’assalto contro le forze dell’opposizione. Nel 1999 e 2003 i membri del Basiji furono utilizzati per reprimere le proteste studentesche. Nel 2005 rappresentarono lo
zoccolo duro della base politica che portò alla presidenza Mahmoud Ahmadinejad, istruttore ai giovani Basiji durante il conflitto.

Questo “educatore speciale” visitava le scuole e sceglieva personalmente i martiri durante le esercitazioni paramilitari obbligatorie per tutti i giovani iraniani. I film propagandistici, come il film per la tv del 1986 intitolato “Un contributo alla guerra”, celebravano questa alleanza fra gli studenti e il regime e ostracizzavano i genitori che cercavano di salvare la vita dei propri figli. Alcuni genitori, tuttavia, erano invogliati con incentivi. L’arruolamento nei Basiji rappresentava per i più poveri un’opportunità di progresso sociale.

La principale tattica di combattimento adottata dalla milizia Basiji era l’attacco con l’onda umana: bambini e adolescenti poco armati avanzavano verso il nemico perfettamente allineati lungo righe continue. Poco importava se cadevano sotto il fuoco nemico o innescavano le mine con il loro corpo: la cosa essenziale era che i Basiji continuassero ad avanzare, calpestando i brandelli mutilati e lacerati dei compagni caduti, procedendo inesorabilmente verso la propria morte, come un’incessante onda umana. Una volta aperto un varco verso le forze irachene, i comandanti dell’esercito iraniano inviavano le loro truppe più addestrate e preziose, quelle della Guardia rivoluzionaria.

Ogni Basiji deve “comprendere che è un ‘guerriero di Dio’, per cui la gratificazione e il senso di realizzazione non vengono tanto dal risultato dello scontro, quanto dal fatto di parteciparvi”.

La figura misteriosa in grado di scatenare tante emozioni è quella dell’“imam nascosto”, un personaggio mitico che ancora oggi influenza i pensieri e le azioni di Ahmadinejad. Gli sciiti chiamano imam tutti i discendenti maschi di Maometto e attribuiscono loro una natura semidivina. Hussein, ucciso a Karbala da Yazid, fu il terzo imam. Suo figlio e suo nipote il quarto e il quinto. Alla fine della discendenza, c’è il “dodicesimo imam”, di nome Maometto. Alcuni lo chiamano Mahdi (“colui che è guidato da Dio”) mentre per altri è l’imam Zaman (da sahib-e zaman, “il guardiano del tempo”). Nato nell’anno 869, fu l’unico figlio dell’undicesimo
imam. Nell’874 scomparve senza lasciare traccia, ponendo termine alla discendenza di
Maometto. Secondo la mitologia, il dodicesimo imam sopravvisse. Gli sciiti credono che si sia ritirato dal mondo all’età di cinque anni, e che presto o tardi emergerà dal suo “nascondiglio”
per liberare il mondo dal male. Secondo la tradizione sciita, un governo islamico legittimo potrà esistere solo dopo che il dodicesimo imam sarà riapparso: fino a quel momento gli sciiti devono limitarsi ad attendere, mantenere la pace con il governo illegittimo e ricordare il nipote del Profeta, Hussein.

Ahmadinejad crede che questi eventi siano prossimi e che gli uomini che vivono attualmente sulla terra possano influenzare i tempi del piano divino.

La prospettiva di vedere armi nucleari in mano a quest'uomo è terrificante. La domanda non posta è la seguente: Ahmadinejad sta cercando lo scontro con l'Occidente perché si ritiene protetto dal ritorno imminente dell'Imam Nascosto? Oppure sta forse cercando di provocare il caos in modo da accelerare i tempi del suo ritorno? Il sospetto strisciante resta comunque che il Presidente iraniano voglia forzare lo scontro con l'Occidente per poter così ravvivare lo spirito della rivoluzione islamica ed allo stesso tempo accelerare i tempi del ritorno dell'Imam Nascosto."

Uno dei primi atti compiuti dal nuovo governo iraniano è stato quello di donare 10 milioni di sterline alla moschea di Jamkaran, una popolare meta di pellegrinaggio dove i fedeli lasciano in un luogo santo i propri messaggi diretti all'Imam Nascosto. Alcuni voci diffuse sostengono che Ahmadinejad e il suo governo abbiano siglato un "contratto" nel quale si impegnano a lavorare per il ritorno del Mahdi ed abbiano poi portato questo contratto alla Moschea di Jamkaran.

E’ stata questa la cultura che ha alimentato la visione del mondo di Mahmoud Ahmadinejad.. Dopo essere diventato sindaco di Teheran nell’aprile del 2003, Ahmadinejad ha sfruttato la sua posizione per costruire una rete di fondamentalisti islamici noti con il nome di “Promotori di un Iran islamico” (…). A novembre, il nuovo presidente iraniano ha aperto l’annuale “Settimana dei Basiji” nella quale si commemorano i martiri della guerra Iran-Iraq. Secondo quanto riportato da Kayan, pubblicazione fedele a Khamenei, circa nove milioni di Basiji (il 12 per cento della popolazione) hanno manifestato in favore del programma antiliberale di Ahmadinejad.

L’articolo raccontava che i dimostranti avevano “formato una catena umana lunga 8,7 km. Nella sola Teheran, circa 1.250.000 persone sono scese in strada”. Quasi nemmeno notata dai media occidentali, questa mobilitazione dimostra la determinazione con cui Ahmadinejad cerca di imporre la sua “seconda rivoluzione” e di spegnere le ultime scintille di libertà in tutto l’Iran. Alla fine del luglio 2005, il movimento Basiji ha annunciato un piano per portare il numero dei suoi membri da dieci a quindici milioni entro il 2010 (…). Che cosa questo significa è apparso chiaro a febbraio, quando i Basiji hanno attaccato il leader del sindacato degli autisti di mezzi pubblici, Massoud Osanlou. L’hanno tenuto prigioniero nel suo appartamento, e per convincerlo
a tenere la bocca chiusa gli hanno mozzato la punta della lingua. Nessun Basiji rischia di essere processato da un tribunale della legge per simili attacchi terroristici. La fiducia del movimento nel valore del autosacrificio violento rimane quella di sempre. Non esiste in Iran alcuna “commissione di indagine” per indagare sul suicidio collettivo pianificato dallo stato e durato dal 1980 al 1988. Al contrario, a ogni iraniano viene insegnato fin dall’infanzia il valore e la virtù del martirio.

Ahmadinejad è predisposto al pensiero apocalittico. A novembre, la nazione è rimasta scioccata da un video che mostrava Ahmadinejad mentre diceva ad un religioso di aver sentito la mano di Dio che ipnotizzava i leader mondiali durante il suo discorso alle Assemblee Generali dell'ONU.
Quando il mese scorso ci fu il crollo di un aereo a Teheran che ha provocato la morte di 108 persone, Ahmadinejad promise un'investigazione. Ma nel contempo aggiunse: "Ciò che importa è che essi hanno mostrato la via del martirio che dobbiamo seguire".
In una delle prime interviste tv dopo essere stato eletto presidente, si è mostrato entusiasta: “Esiste un’arte più bella, divina, eterna dell’arte del martirio?”. Nel settembre 2005, concluse il suo primo discorso all’Onu implorando Dio per il ritorno del dodicesimo imam. Finanzia un istituto di ricerca a Teheran il cui unico scopo è
studiare e, se possibile, accelerare, la venuta dell’imam. A una conferenza di teologia nel novembre 2005, ha sottolineato: “Il compito più importante della nostra Rivoluzione è preparare la via del ritorno del dodicesimo imam”. Una politica perseguita in alleanza con una forza sovrannaturale è imprevedibile. Perché un presidente iraniano dovrebbe impegnarsi in una politica pragmatica quando la sua presupposizione è che, tra tre o quattro anni, comparirà
il salvatore? Per questo Ahmadinejad ha perseguito una politica del confronto con evidente piacere. La storia dei Basiji prova che dobbiamo aspettarci mostruosità dall’attuale regime iraniano (…). I Basiji che una volta si aggiravano nel deserto armato soltanto di un bastone da passeggio oggi lavorano come chimici in stabilimenti per l’arricchimento dell’uranio.

04 giugno 2008

68 a distanza di 40 anni

Focalizzando il suo intervento sulle conseguenze dannose della Rivoluzione sessantottina nel mondo ecclesiale, don Poggiali ha denunciato in particolare l’idea diffusa secondo cui “dopo il Concilio Vaticano II i cattolici – o almeno, per usare un’espressione non solo italiana, i ‘cattolici adulti’ – possano scegliere fra il magistero del Papa e il ‘magistero parallelo’ dei teologi (un’espressione che sarà ripresa nel 1990 dall’Istruzione Donum Veritatis della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla vocazione ecclesiale del teologo).

Secondo questa visione “i teologi, in quanto più ‘progressisti’ e avanzati, anticiperebbero semplicemente oggi quanto il magistero finirà fatalmente per accettare domani, e quindi potrebbero e dovrebbero essere seguiti con fiducia dai fedeli più maturi”.

Don Giovanni Poggiali ha spiegato che dal momento che il Papa e la gerarchia non condividono questo punto di vista “nell’organizzazione Chiesa cattolica si sono sviluppate due fonti di autorità, da una parte il Papa, dall’altra i gruppi di teologi che riescono a farsi percepire come maggioritari, lo siano o no, le quali certamente non sono sullo stesso piano dal punto di vista della dottrina insegnata dalla Chiesa stessa (e dal Concilio Vaticano II) ma sono presentate come se lo fossero”. [leggi tutto]