Fernand CROMBETTE
* Alla Chiesa
* A mia madre
* Alla Francia
Con un senso esatto della misura, Jean Bruhnes pone il principio che noi non siamo "né degli automi fatalmente diretti né degli autonomi assoluti". Egli ha "umanizzato" una scienza rimasta fino a lui troppo tecnica. Certo, egli considera soprattutto l'azione dell'uomo sulla terra dal punto di vista tecnico della sua pianificazione; ma, anche allora, la sua geografia è centrata sull'uomo. Per lui e da lui, l'uomo è ridiventato il re della Creazione, re detronizzato, senza dubbio, ma pur sempre re, e non più semplice ingranaggio.
È questa la superiorità di Jean Bruhnes.
L'eminente geologo Pierre Termier, malgrado la sua ammirazione per la scienza di
Suess, aveva, se non pienamente realizzato, almeno già intravisto tutto ciò che la geografia perdeva a voler fare a meno di Dio. È con rispetto che parlava dei "Libri Santi, che hanno detto tante cose, e dove gli studiosi troverebbero, se li volessero leggere, tante e rassicuranti chiarezze".
Anche dopo lo sforzo di Jean Bruhnes restavano delle tappe da superare, e non delle
minori. Per essere equo e completo, dopo aver studiato il lavoro costruttivo dell'uomo nella natura creata, egli ha avuto modo di considerare le degradazioni da essa subite a causa del suo peccato; di mostrare che, se l'uomo è il centro della Creazione, è perché Dio ha "centrato" questa sull'uomo; più ancora, di proclamare che il vero centro della Creazione non è un uomo qualunque, ma quell'Essere unico che è l'Uomo-Dio, il quale ha voluto, al centro di questa terra, suo feudo, operare la salvezza dell'umanità, sua eredità.
Bisognava tentare di far vedere all'opera nella natura, non più l'uomo, ma l'Autore
dell'uomo e della sua dimora, il Verbo divino, lo Spirito creatore; volgersi infine verso Dio, seguirne nel mondo l'attività costruttiva e trasformatrice, giustiziera e riparatrice; in una parola, far cantare dalla terra un inno alla gloria di Dio e di Dio solo, giacché la terra non ha altra gloria che quella di cui Dio l'ha rivestita. Allora la geografia sarebbe divina, nel suo fine e nel suo oggetto.
Dove dunque trovare i materiali di questa immensa basilica se non nella Bibbia, tesoro della Rivelazione divina, da una parte, e nelle costatazioni della scienza più autorevole, dall'altra? Se la Parola di Dio è difficile da capire per l'uomo decaduto, e se la scienza umana presenta ancora enormi lacune e numerosi errori, l'una e l'altra tuttavia, ben comprese, non possono contraddirsi, essendo entrambe delle forme della verità.
Sotto l'influenza di una scienza profana, trionfante dei successi che aveva creduto di riportare sulla Chiesa cattolica, troppo spesso i difensori di quest'ultima l'hanno ritenuta colpevole, non reclamando per essa che il beneficio delle circostanze attenuanti. La Chiesa non è un'imputata, e, se bisogna difenderla, è come una madre molto saggia e rispettabile contro degli attacchi temerari e ingiustificati.
Quando si è capitolati così davanti a una scienza che, dopo tutto, non è tanto "fatti controllati" quanto "ipotesi gratuite", ci si è mostrati (involontariamente, noi vogliamo crederlo) complici dei nemici della Chiesa, si è tradita la Parola di Dio svuotandola della sua essenza, non si è difeso il deposito di cui si aveva la custodia, si è stati come i "cani muti" della Scrittura, peggio, si è urlato con i lupi.
È nondimeno saggio guardarsi da dichiarazioni azzardate in merito alle epoche più antiche di cui il sapere non ci ha lasciato che rare vestigia.
È molto probabile (ma non certo), per esempio, che Adamo non abbia potuto percorrere
tutta l'estensione della terra. Era dunque ignorante della forma, delle dimensioni e della struttura del globo? È più logico pensare che, grazie alla scienza che aveva ricevuto durante i suoi intrattenimenti con il Creatore, Adamo possedeva delle idee molto chiare su tutti questi punti e sulla costituzione intima dell'universo di cui era stato istituito Re.
L'antichissima civiltà ritrovata nella valle dell'Indo vi ha fatto scoprire una scrittura, verosimilmente anteriore al Diluvio, i cui segni sono simili a quelli delle tavolette della lontana isola di Pasqua attualmente agli antipodi. Quali che siano state un tempo le posizioni rispettive di questi punti, che non hanno potuto essere, vista la disposizione delle terre, che molto lontani l'uno dall'altro, è estremamente verosimile che, già prima dell'inondazione universale, una stessa civiltà, veicolo di conoscenze geografiche molto vaste, si estendesse a tutta la terra.
Il peccato originale, oscurando l'intelligenza dell'uomo, sbiadì, confuse, cancellò le nozioni primitive. L'obbligo imposto al nostro primo padre e ai suoi discendenti di lavorare duramente e di lottare per l'esistenza, venne così a distoglierli dalle occupazioni dello spirito. La distruzione dell'umanità e della civiltà primitiva per mezzo del Diluvio, la dispersione ulteriore dei popoli su una terra sconvolta, la precarietà dei mezzi di comunicazione, la confusione delle lingue, tutto doveva contribuire ad accrescere l'ignoranza e l'errore.
E tuttavia non tutto il sapere era affondato nel disastro; si erano mantenute delle tradizioni di cui si ritrovano tracce in tutti popoli. Uno di essi in particolare, il popolo ebreo, ha mostrato di avere del mondo un'idea grandiosa quanto giudiziosa. Il suo storico, Mosè, profeta dell'Altissimo, è considerato a giusto titolo come il primo dei geografi.
Nessuno degli Antichi può essergli comparato per l'esattezza, l'estensione, la serietà delle descrizioni. Giacché Mosè non beneficiava solo delle tradizioni e della scienza dei sacerdoti egiziani che erano stati i suoi educatori, ma dell'ispirazione divina che lo ricollocava in qualche modo, da questo punto di vista, nella situazione privilegiata del primo uomo. E, pertanto, la geografia è anche divina nella sua origine.
Dopo tutto Mosè non scriveva per uno scopo puramente scientifico, ma soprattutto per
la gloria di Dio e la condotta degli Israeliti, il che non comportava precisioni matematiche dettagliate e sviluppi tecnici minuziosi. Vuol dire che Mosè non avrebbe potuto entrare in dettagli di questa natura e che egli non sia, come alcuni pretendono, che un piacevole narratore di favole oltre che un abile legislatore? I fatti potrebbero portare una smentita a tali supposizioni.
Gli Egiziani (che, bisogna rimarcarlo, credevano alla sfericità della terra) hanno costruito numerose piramidi di cui la più grande e una delle più antiche, quella di Cheope, ha rivelato agli astronomi moderni una scienza insospettata della geografia.
Alla base della costruzione della Grande Piramide si trova un'unità di misura, il cubito sacro. Ora questo cubito, moltiplicato per 10 milioni, dà esattamente la lunghezza del raggio polare della terra (6.356.600m), dice l'abate Moreux, secondo l'astronomo inglese Piazzi Smith11. In realtà, il grande cubito egiziano doveva misurare solo 0,6125m; l'approssimazione è nondimeno già soddisfacente per l'epoca. La lunghezza dell'anticamera precedente la camera del Re, nella Grande Piramide, moltiplicata per 3,1416, dà esattamente la durata dell'anno: 365,342 giorni. Il volume della Grande Piramide moltiplicato per la densità delle sue pietre dà la densità della terra: 5,52.
Ciò che sembrerebbe indicare che la piramide conteneva delle misure è questa nota del
colonnello Braghine secondo il quale la parola deriverebbe dal copto "pirimit" o "piramit" significante "la decima misura in numero". Il copto dice più sobriamente:
Pe-Rèmèt = il decimo.
Piazzi Smith ha scoperto nella piramide di Cheope molti altri numeri aventi significati geodesici o astronomici. Noi non lo seguiremo in tutte le sue interpretazioni di cui talune sono discutibili; ne attribuiremo una larga parte anche alla fertilità della sua immaginazione, resta tuttavia un certo numero di coincidenze stupefacenti concretizzate in cifre.
Da dove gli Egiziani avrebbero potuto avere queste nozioni, dato che non avevano certamente avuto i mezzi materiali di misurare la terra con precisione? Da dove, se non da una tradizione venuta da Noè? E da chi le aveva prese Noè se non da una tradizione venuta da Adamo istruito da Dio?
Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'intelligenza degli intelligenti.
Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta
la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto
Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione … Perché ciò che è stoltezza di Dio è più
sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli:
non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo
è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel
mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi
davanti a Dio (S. Paolo, I Cor. 1, 19-29)
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