di Luigi Negri
Tratto da Tracce
Il filo conduttore di molti fenomeni determinanti il XIX e il XX secolo, a prima vista così diversi e addirittura in contrapposizione, è proprio il tentativo di creare una società senza Dio. Una società autosufficiente nella quale l'uomo trovi la sua definitiva espressione. Se si riesce a costruire sulla terra una società che, essendo programmaticamente e violentemente senza Dio, assicura la piena espressione della vita umana, si dimostra che l'uomo basta a se stesso e non ha bisogno di Dio. Avendo sostituito ad una concezione della vita personale come appartenenza una concezione intesa come potere, si deve dimostrare che l'uomo è autosufficiente. Ciò è possibile solo coinvolgendo gli uomini nella costruzione di un progetto che si pretenda definitivo. La condizione per tale costruzione è l'eliminazione del passato, e quindi la lotta alla Chiesa che lo incarna.
L'espressione "separazione della Chiesa dallo Stato" è soggetta ad un equivoco grave. Fino alla rivoluzione francese non c'è stata nessuna unificazione fra Chiesa e Stato. Vi può essere stata un'unificazione contingente, ma, sul piano della concezione, è sempre valsa la distinzione di papa Gelasio (V secolo) secondo la quale esistono due ordini, quello religioso e quello politico, il primo dei quali esercita una supremazia di carattere morale e spirituale (non di carattere politico).
Secondo questa distinzione, la dimensione religiosa dell'esistenza, cioè la libertà di coscienza, non può essere assoggettata allo Stato, in quanto è più grande di esso; la Chiesa, da parte sua, quando interviene nelle vicende politiche, non lo fa per esprimere valutazioni di carattere politico, bensì per difendere una concezione religiosa e morale che la vita politica ha messo in discussione.
Anche oggi, nella nostra società, quando l'autorità ecclesiale si rivolge ai cattolici per formare la coscienza viene per questo accusata di ingerenza nella vita dello Stato; sopravvive una concezione assolutistica secondo cui lo Stato, in ultima istanza, deve formare le coscienze.
Questa convinzione si cala dentro orientamenti di pensiero che sembrano i più radicalmente diversi, da quello comunista a quello fascista, e ne costituisce, al di là delle differenze, un elemento unitario. Da questo punto di vista essi sono, in sostanza, diverse sfaccettature di un unico fenomeno.
La logica è sempre la stessa: lo Stato finisce per essere non l'insieme delle condizioni che permettono alla varietà delle forme sociali, culturali e politiche di esprimersi, ma una centrale culturale, ideologica e politica. [leggi tutto]
Maria tu mi sostieni fin da piccolino, dammi forza e illuminami sempre, mio faro di luce
17 novembre 2009
13 novembre 2009
L’Universo dal Big Bang a Dio
intervista a John Barrow
L’universo ha bisogno di noi? John Barrow, 53 anni, astrofisico di fama internazionale e docente a Cambridge, ha una sola risposta: SI. E giustifica la sua idea con una teoria fisica che concilia la scienza e la fede, il Big Bang e Dio.
Barrowvuole trovare una risposta scientifica alla domanda fondamentale che l’uomo si è posto da sempre:”Perché esistiamo?” Una domanda che fino a ora ha trovato numerose risposte, ma o esclusivamente materialistiche (il Big Bang e la casualità) o esclusivamente di fede(Dio creatore).
Per la maggior parte degli scienziati credenti, religione e scienza possono coesistere, ma separate, senza che nessuno spieghi le ragioni dell’altra. Barrow va oltre questa convivenza da “separati in casa”, e ha sviluppato una teoria scientifica che giustifica la presenza dell’uomo in un universo regolato solo da leggi fisiche, nel quale l’uomo ha sempre avuto un ruolo marginale, casuale, sicuramente non indispensabile. Invece per lo scienziato inglese non è necessariamente così.
E se non siamo qui per caso, qualcuno deve averlo voluto.
Barrow, autore di oltre 400 articoli scientifici e di 18 libri per il grande pubblico tradotti in 27 lingue, proprio per le sue ricerche al confine tra Dio e il Big Bang ha appena vinto il premio Templeton, che assegna ogni anno 1,6 milioni di dollari (il più sostanzioso premio al mondo) a chi fornisce “contributi eccezionali all’avanzamento della conoscenza nel mondo spirituale e nei rapporti tra religione e scienza” .
Un premio visto però, da molti ricercatori con diffidenza e ironia, atteggiamenti che testimoniano la tensione esistente tra il mondo scientifico e quello religioso, tra la ricerca razionale e la fede.
Barrow non è mai stato turbato dalle reazioni dei suoi colleghi.
Con il suo stile tipicamente inglese, calmo, pacato e determinato, continua le sue ricerche scientifiche sul rapporto tra vita, universo e conoscenza umana.
In questo campo è nato il suo fondamentale lavoro sul principio antropico, una controversa teoria che spiega i più profondi misteri dell’universo, collegandoli all’esistenza stessa dell’uomo.
Le più avanzate ricerche cosmologiche dimostrano come le caratteristiche che rendono il nostro universo adatto alla vita siano in realtà estremamente improbabili da realizzare. Tali che nessuno scienziato scommetterebbe mai sulla formazione di un universo come il nostro.
Eppure, nonostante le probabilità avverse, noi siamo qui.
Quindi, dice Barrow, nello studio delle leggi che regolano il cosmo e per capire perché, tra tutti gli universi possibili, si sia sviluppato proprio il nostro,, così particolare, non si può prescindere dal fatto che noi esistiamo. Potrebbe essere una questione di pura fortuna, ma questa è solo una delle risposte possibili.
Una seconda attribuisce all’uomo un ruolo attivo nella determinazione delle leggi dell’universo..
Lo afferma la stessa fisica quantistica, secondo la quale ogni fenomeno fisico avviene solo se c’è qualcuno ad osservarlo.
Oppure, ancora, potrebbe essere valida la risposta religiosa, e l’uomo sarebbe davvero un essere privilegiato messo al centro di un universo creato a sua misura.
Al di là delle infinite discussioni tra fede e scienza, Barrow, con il suo principio antropico, ha lanciato ai cosmologi di tutto il mondo una sfida: trovare la ragione scientifica della nostra presenza nel cosmo.
Oppure, spiegare perché, tra tutti gli universi possibili, si è sviluppato proprio il nostro.
Una sfida razionale che la scienza non può non cogliere.
Il principio antropico e la fede di Barrow
Di Roberto Trotta, astrofisico dell’Università di Oxford
Professor Barrow, lei è famoso per il suo lavoro sul principio antropico. Di cosa si tratta esattamente?
- Le leggi della Natura, come noi le conosciamo, permettono l’esistenza di molti universi differenti, che si distinguono l’uno dall’altro per il fatto di avere avuto inizio in condizioni solo leggermente diverse.
Secondo questa teoria, chiamata “inflazione eterna”, in ogni punto dello spazio potrebbe nascere un nuovo sub-universo. Ogni sub-universo si espanderebbe molto velocemente e costituirebbe una bolla all’interno della quale le costanti della natura (per esempio, la costante di gravità o la velocità della luce, ndr) potrebbero essere differenti da quelle del nostro universo.
Il cosmo che conosciamo sarebbe in effetti una sola di queste bolle. Ma la generazione delle bolle, e anche del nostro universo, ha un aspetto casuale dovuto al fatto che segue le leggi della fisica quantistica. Nella meccanica quantistica, infatti, le leggi fisiche sono probabilistiche, e quindi legate al caso. Possono solo fornire la probabilità e non la certezza che un certo fenomeno si verifichi.
Tra gli universi possibili, il nostro è eccezionale, perché è adatto alla vita. Il principio antropico è un modo di interpretare questo fatto straordinario, e spiegare scientificamente la nostra stessa esistenza nell’universo.
Come può una teoria scientifica giustificare la presenza di vita intelligente nel cosmo?
- La domanda che dobbiamo porci è: “quale probabilità di esistere ha un universo che abbia determinate proprietà, per esempio l’esistenza di forme di vita in grado di osservarlo? “
Consideriamo per esempio la costante cosmologica, detta Lambda, che indica la densità dell’energia oscura presente nell’universo e il cui valore è stato determinato solo sperimentalmente.
Possiamo ipotizzare che esista una teoria in grado di determinare in maniera precisa il valore di tale costante. Purtroppo al momento non disponiamo di tale teoria e, per quanto ne sappiamo, può anche darsi che la quantità di energia oscura presente nel nostro universo, pari al settanta per cento dell’universo stesso, sia semplicemente il risultato di un processo casuale.
Se però Lambda avesse un valore più grande di quello che effettivamente osserviamo, allora non ci potrebbe essere la vita come noi la conosciamo.
Nelle leggi della fisica oggi utilizzate per descrivere il cosmo, infatti, ci sono degli elementi casuali.
Un altro per esempio è rappresentato dall’asimmetria tra materia e antimateria. Il nostro universo è costituito da materia, e non da antimateria. E questo è il risultato di un processo casuale, che avrebbe potuto dare anche un esito diverso.
Dal punto di vista statistico, il nostro universo, fatto di materia, e dove Lambda ha il valore che effettivamente osserviamo, ha una bassa probabilità di esistere.
Altri universi, più probabili, sarebbero però del tutto impossibili da osservare, per il semplice fatto che le condizioni al loro interno non permetterebbero affatto l’evoluzione della vita.
Il principio antropico introduce la certezza che noi esistiamo nel calcolo delle probabilità dell’esistenza del nostro universo.
Secondo molti suoi colleghi, il principio antropico è solo una scorciatoia per aggirare la nostra ignoranza delle leggi fondamentali della natura. Come ribatte?
- Ancora non sappiamo come le varie leggi della natura siano scaturite da un’origine comune, fossero cioè unificate quando l’universo ha avuto inizio. E’ certo però che in futuro faremo ulteriori passi lungo la strada della loro unificazione. E secondo me il principio antropico è una parte fondamentale e irrinunciabile di questo processo. Non si può fare a meno dei principi della fisica quantistica, che determinano solo la probabilità che accada un fenomeno. E in fisica quantistica la presenza di un osservatore, cioè dell’uomo, è necessaria alla determinazione delle leggi fisiche, quindi della struttura dell’universo.
Non si rischia di scivolare nella filosofia, senza alcuna possibilità di verifica scientifica?
- La cosmologia è unica tra le scienze, perché non è possibile fare esperimenti, ma solo raccogliere osservazioni e cercare correlazioni fra di esse. Se, per esempio, una certa teoria predice che le galassie più massicce devono essere più blu, i cosmologi per provarla non possono fare altro che osservare un gran numero di galassie e verificare se effettivamente quelli più massicce sono più blu. Si tratta di un surrogato del metodo sperimentale, il quale richiederebbe di creare apposta in laboratorio una galassia massiccia e osservare se effettivamente sia blu.
Cosa che chiaramente non possiamo fare in pratica!
Il principio antropico rimane per me una parte fondamentale della nostra indagine sul cosmo, perché lega la nostra esistenza, i limiti della nostra indagine scientifica, alle caratteristiche che effettivamente osserviamo nell’universo che viviamo.
Trovo straordinario che l’universo sia così semplice che noi riusciamo capirlo e interpretarlo.
L’universo è molto più semplice del cervello umano, o persino della società umana”
Il principio antropico ha una forte connotazione religiosa. Da scienziato, come concilia la prospettiva spirituale con l’indagine razionale del cosmo?
- Molti dei recenti sviluppi nella scienza hanno avuto un forte impatto culturale e suscitato un grande interesse da parte di teologi e filosofi. Questo è particolarmente vero nel campo della cosmologia, perché in un certo senso si occupa di un progetto sovraumano.
Gli eventi cosmologici procedono molto lentamente e si sviluppano su enormi scale spaziali e temporali, dimensioni che li rendono fisicamente intoccabili, inattaccabili dall’influsso umano.
In confronto, tutta la biologia è un processo estremamente complesso e molto più disordinato.
Esiste una lunga tradizione di ispirazione reciproca tra il pensiero religioso e la ricerca astronomica.
Quando la scienza arriva a porsi domande fondamentali, come la nascita dell’universo, si crea una profonda risonanza con il pensiero religioso.
Quali sono, secondo lei, i rapporti tra scienza e fede?
- Penso che un approccio maturo permetta di riconoscere che entrambi gli aspetti sono importanti. Sono contrario a una materializzazione della scienza, del tipo sostenuto, per esempio, dal biologo Richard Dawkins. Si slitta nell’ideologia, che quando diventa fondamentalista è estremamente insoddisfacente, sia nell’ambito religioso che in quello scientifico.
Lei è una persona religiosa?
- Direi che sono una persona con una forte prospettiva religiosa, che però non è in contrasto con la mia attività di scienziato.
L’universo ha bisogno di noi? John Barrow, 53 anni, astrofisico di fama internazionale e docente a Cambridge, ha una sola risposta: SI. E giustifica la sua idea con una teoria fisica che concilia la scienza e la fede, il Big Bang e Dio.
Barrowvuole trovare una risposta scientifica alla domanda fondamentale che l’uomo si è posto da sempre:”Perché esistiamo?” Una domanda che fino a ora ha trovato numerose risposte, ma o esclusivamente materialistiche (il Big Bang e la casualità) o esclusivamente di fede(Dio creatore).
Per la maggior parte degli scienziati credenti, religione e scienza possono coesistere, ma separate, senza che nessuno spieghi le ragioni dell’altra. Barrow va oltre questa convivenza da “separati in casa”, e ha sviluppato una teoria scientifica che giustifica la presenza dell’uomo in un universo regolato solo da leggi fisiche, nel quale l’uomo ha sempre avuto un ruolo marginale, casuale, sicuramente non indispensabile. Invece per lo scienziato inglese non è necessariamente così.
E se non siamo qui per caso, qualcuno deve averlo voluto.
Barrow, autore di oltre 400 articoli scientifici e di 18 libri per il grande pubblico tradotti in 27 lingue, proprio per le sue ricerche al confine tra Dio e il Big Bang ha appena vinto il premio Templeton, che assegna ogni anno 1,6 milioni di dollari (il più sostanzioso premio al mondo) a chi fornisce “contributi eccezionali all’avanzamento della conoscenza nel mondo spirituale e nei rapporti tra religione e scienza” .
Un premio visto però, da molti ricercatori con diffidenza e ironia, atteggiamenti che testimoniano la tensione esistente tra il mondo scientifico e quello religioso, tra la ricerca razionale e la fede.
Barrow non è mai stato turbato dalle reazioni dei suoi colleghi.
Con il suo stile tipicamente inglese, calmo, pacato e determinato, continua le sue ricerche scientifiche sul rapporto tra vita, universo e conoscenza umana.
In questo campo è nato il suo fondamentale lavoro sul principio antropico, una controversa teoria che spiega i più profondi misteri dell’universo, collegandoli all’esistenza stessa dell’uomo.
Le più avanzate ricerche cosmologiche dimostrano come le caratteristiche che rendono il nostro universo adatto alla vita siano in realtà estremamente improbabili da realizzare. Tali che nessuno scienziato scommetterebbe mai sulla formazione di un universo come il nostro.
Eppure, nonostante le probabilità avverse, noi siamo qui.
Quindi, dice Barrow, nello studio delle leggi che regolano il cosmo e per capire perché, tra tutti gli universi possibili, si sia sviluppato proprio il nostro,, così particolare, non si può prescindere dal fatto che noi esistiamo. Potrebbe essere una questione di pura fortuna, ma questa è solo una delle risposte possibili.
Una seconda attribuisce all’uomo un ruolo attivo nella determinazione delle leggi dell’universo..
Lo afferma la stessa fisica quantistica, secondo la quale ogni fenomeno fisico avviene solo se c’è qualcuno ad osservarlo.
Oppure, ancora, potrebbe essere valida la risposta religiosa, e l’uomo sarebbe davvero un essere privilegiato messo al centro di un universo creato a sua misura.
Al di là delle infinite discussioni tra fede e scienza, Barrow, con il suo principio antropico, ha lanciato ai cosmologi di tutto il mondo una sfida: trovare la ragione scientifica della nostra presenza nel cosmo.
Oppure, spiegare perché, tra tutti gli universi possibili, si è sviluppato proprio il nostro.
Una sfida razionale che la scienza non può non cogliere.
Il principio antropico e la fede di Barrow
Di Roberto Trotta, astrofisico dell’Università di Oxford
Professor Barrow, lei è famoso per il suo lavoro sul principio antropico. Di cosa si tratta esattamente?
- Le leggi della Natura, come noi le conosciamo, permettono l’esistenza di molti universi differenti, che si distinguono l’uno dall’altro per il fatto di avere avuto inizio in condizioni solo leggermente diverse.
Secondo questa teoria, chiamata “inflazione eterna”, in ogni punto dello spazio potrebbe nascere un nuovo sub-universo. Ogni sub-universo si espanderebbe molto velocemente e costituirebbe una bolla all’interno della quale le costanti della natura (per esempio, la costante di gravità o la velocità della luce, ndr) potrebbero essere differenti da quelle del nostro universo.
Il cosmo che conosciamo sarebbe in effetti una sola di queste bolle. Ma la generazione delle bolle, e anche del nostro universo, ha un aspetto casuale dovuto al fatto che segue le leggi della fisica quantistica. Nella meccanica quantistica, infatti, le leggi fisiche sono probabilistiche, e quindi legate al caso. Possono solo fornire la probabilità e non la certezza che un certo fenomeno si verifichi.
Tra gli universi possibili, il nostro è eccezionale, perché è adatto alla vita. Il principio antropico è un modo di interpretare questo fatto straordinario, e spiegare scientificamente la nostra stessa esistenza nell’universo.
Come può una teoria scientifica giustificare la presenza di vita intelligente nel cosmo?
- La domanda che dobbiamo porci è: “quale probabilità di esistere ha un universo che abbia determinate proprietà, per esempio l’esistenza di forme di vita in grado di osservarlo? “
Consideriamo per esempio la costante cosmologica, detta Lambda, che indica la densità dell’energia oscura presente nell’universo e il cui valore è stato determinato solo sperimentalmente.
Possiamo ipotizzare che esista una teoria in grado di determinare in maniera precisa il valore di tale costante. Purtroppo al momento non disponiamo di tale teoria e, per quanto ne sappiamo, può anche darsi che la quantità di energia oscura presente nel nostro universo, pari al settanta per cento dell’universo stesso, sia semplicemente il risultato di un processo casuale.
Se però Lambda avesse un valore più grande di quello che effettivamente osserviamo, allora non ci potrebbe essere la vita come noi la conosciamo.
Nelle leggi della fisica oggi utilizzate per descrivere il cosmo, infatti, ci sono degli elementi casuali.
Un altro per esempio è rappresentato dall’asimmetria tra materia e antimateria. Il nostro universo è costituito da materia, e non da antimateria. E questo è il risultato di un processo casuale, che avrebbe potuto dare anche un esito diverso.
Dal punto di vista statistico, il nostro universo, fatto di materia, e dove Lambda ha il valore che effettivamente osserviamo, ha una bassa probabilità di esistere.
Altri universi, più probabili, sarebbero però del tutto impossibili da osservare, per il semplice fatto che le condizioni al loro interno non permetterebbero affatto l’evoluzione della vita.
Il principio antropico introduce la certezza che noi esistiamo nel calcolo delle probabilità dell’esistenza del nostro universo.
Secondo molti suoi colleghi, il principio antropico è solo una scorciatoia per aggirare la nostra ignoranza delle leggi fondamentali della natura. Come ribatte?
- Ancora non sappiamo come le varie leggi della natura siano scaturite da un’origine comune, fossero cioè unificate quando l’universo ha avuto inizio. E’ certo però che in futuro faremo ulteriori passi lungo la strada della loro unificazione. E secondo me il principio antropico è una parte fondamentale e irrinunciabile di questo processo. Non si può fare a meno dei principi della fisica quantistica, che determinano solo la probabilità che accada un fenomeno. E in fisica quantistica la presenza di un osservatore, cioè dell’uomo, è necessaria alla determinazione delle leggi fisiche, quindi della struttura dell’universo.
Non si rischia di scivolare nella filosofia, senza alcuna possibilità di verifica scientifica?
- La cosmologia è unica tra le scienze, perché non è possibile fare esperimenti, ma solo raccogliere osservazioni e cercare correlazioni fra di esse. Se, per esempio, una certa teoria predice che le galassie più massicce devono essere più blu, i cosmologi per provarla non possono fare altro che osservare un gran numero di galassie e verificare se effettivamente quelli più massicce sono più blu. Si tratta di un surrogato del metodo sperimentale, il quale richiederebbe di creare apposta in laboratorio una galassia massiccia e osservare se effettivamente sia blu.
Cosa che chiaramente non possiamo fare in pratica!
Il principio antropico rimane per me una parte fondamentale della nostra indagine sul cosmo, perché lega la nostra esistenza, i limiti della nostra indagine scientifica, alle caratteristiche che effettivamente osserviamo nell’universo che viviamo.
Trovo straordinario che l’universo sia così semplice che noi riusciamo capirlo e interpretarlo.
L’universo è molto più semplice del cervello umano, o persino della società umana”
Il principio antropico ha una forte connotazione religiosa. Da scienziato, come concilia la prospettiva spirituale con l’indagine razionale del cosmo?
- Molti dei recenti sviluppi nella scienza hanno avuto un forte impatto culturale e suscitato un grande interesse da parte di teologi e filosofi. Questo è particolarmente vero nel campo della cosmologia, perché in un certo senso si occupa di un progetto sovraumano.
Gli eventi cosmologici procedono molto lentamente e si sviluppano su enormi scale spaziali e temporali, dimensioni che li rendono fisicamente intoccabili, inattaccabili dall’influsso umano.
In confronto, tutta la biologia è un processo estremamente complesso e molto più disordinato.
Esiste una lunga tradizione di ispirazione reciproca tra il pensiero religioso e la ricerca astronomica.
Quando la scienza arriva a porsi domande fondamentali, come la nascita dell’universo, si crea una profonda risonanza con il pensiero religioso.
Quali sono, secondo lei, i rapporti tra scienza e fede?
- Penso che un approccio maturo permetta di riconoscere che entrambi gli aspetti sono importanti. Sono contrario a una materializzazione della scienza, del tipo sostenuto, per esempio, dal biologo Richard Dawkins. Si slitta nell’ideologia, che quando diventa fondamentalista è estremamente insoddisfacente, sia nell’ambito religioso che in quello scientifico.
Lei è una persona religiosa?
- Direi che sono una persona con una forte prospettiva religiosa, che però non è in contrasto con la mia attività di scienziato.
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